Cooperative, Unipol e dintorni
aderiscono a Confindustria... non è che di Consorte ce ne può essere più
d'uno? C'è o non c'è un'incompatibilità di fondo fra economia
cooperativistica (cioè autogestita) ed economia [...] capitalistica?
Confesso di averci messo un bel po', per mettere giù queste poche righe
sulla vicenda Unipol ed il suo significato per il mondo cooperativo. Ho
rinviato coscientemente questo momento, per evitare superficialità e
polemicità inutili, che in queste settimane hanno impegnato troppi. Con
scarsa coerenza e poca capacità di sintesi e proposta.
D'altronde, vivo la creativa contraddizione di essere un esponente della
sinistra antagonista (il termine comunista meglio che non lo usi, un
anziano recensore delle mie opere storiche mi ha notificato che tutto
appaio, escluso che comunista) ed anche un cooperatore sociale, ed in
tale veste unico, nel sommo Gotha della Direzione nazionale di Legacoop,
a rappresentare immeritatamente e svogliatamente le ragioni di chi si
ostina ad attendere lo sbocciare del sole radioso della liberazione umana.
Sgomberiamo subito il terreno dalle connessioni con la vicenda politica.
Come ha già detto qualcuno autorevolemente, il Presidente del Consiglio,
a proposito di affari e politica, e soprattutto di politica ed affaracci
suoi, farebbe più bella figura a stare zitto.
Quanto agli amici pelosi della cooperazione: D'Alema, che tanti dicevano
vicino a Consorte, e Fassino, che appena ieri chiedeva nuove leggi sulla
cooperazione, le loro uscite televisive valgono più di una campagna
contro il canone Tv. Domanda retorica: chissà per quale ragione il primo
ha improvvisamente condannato la scalata di Unipol a Bnl? Per il
secondo, non sa neanche che la nuova legge sulla cooperazione l'ha già
fatta Tremonti, poco tempo fa, ed è stata dura venirne fuori senza la
liquidazione totale della cooperazione italiana.
Mezzo mondo ha scoperto che politica ed economia debbono stare lontane.
Grrrandisssima scoperta dell'acqua calda neoliberista: i ricchi debbono
essere lasciati a lucrare da soli, e la politica deve tenersi solo di
riserva per le situazioni di crisi (quando paga Pantalone). Come se
l'economia capitalistica fosse mai stata in piedi da sola, senza potenti
iniezioni di denaro pubblico.
Denaro... dove si trova? Sembra stia volentieri nelle banche. L'idea,
accarezzata da molti 'cooperativologi' è quella che le cooperative non
abbiano bisogno di una banca. Perché tanto non ci serve. Certo, non
sembrano aver sentito parlare di "Basilea 2", quella simpatica norma che
rende ancora più difficile l'accesso al credito per le cooperative,
soprattutto piccole e poco capitalizzate.
A questa regola, quella del "piove sempre sul bagnato", i
cooperativologi, fra cui alligna qualche autorevolissimo docente
universitario (che da anni si ostina a confondere volontari con
cooperatori, e non capisce perché i primi diminuiscano a favore dei
secondi... forse per acquiescenza al Dio Denaro che ci vede penare per
la fine del mese?), non hanno ancora trovato una soluzione. Magari ci
ripropongono il microcredito, che poi è come dire mettere insieme le
poche monetine che abbiamo in tasca, tirando la cinghia per poterci
comprare un'attrezzatura di seconda mano, un autoveicolo sgangherato,
una sede sovraffollata come la striscia di Gaza: beh, abbiamo già dato.
CI SERVE, ECCOME, UNA BANCA. Di banche, la cooperazione italiana, ne
aveva una, quasi dalle origini. Era la Banca Nazionale del Lavoro
attuale. Che non è stata "pubblicizzata": è stata sequestrata senza
indennizzo dal fascismo. Come le Case del Popolo, come le Cooperative,
come le Camere del Lavoro. L'Italia repubblicana non ce le ha mai
ritornate. E se poi la richiedi indietro, la banca, non solo devi
ripagartela, ma manco te la vogliono dare, perché non c'hai il pedigree
adatto.
PERCHE' POVERI SIAMO, E POVERI DOBBIAMO RESTARE... e dobbiamo limitarci
ai supermercati, dice l'elegantone di capo del padronato italiano. Lui,
che rappresenta un'azienda che senza soldi pubblici, e produzioni di
guerra, di Fiat farebbe solo i cioccolatini.
LA QUESTIONE E' UN'ALTRA. Ovverossia: quale banca ci serve? Con che
regole? Che dà prima i soldi alle coop piccole, a quelle che fanno
innovazione, a quelle che lavorano nel sociale, che creano il massimo di
occupazione, che fanno prodotti ecologici e pagano meglio che da
contratto? Oppure a quelle grandi, capitalizzate, già solide e
competitive? Ma allora la questione non è la banca: è la cooperazione,
il suo funzionamento, le sue regole!
Qualche esempio: ammettiamo (non siamo giudici, e non vogliamo
diventarlo!) che Consorte ed il suo collega abbiano accumulato un
gruzzolo per i fatti loro. Beh, furbi ce ne sono anche nelle migliori
famiglie: non è questo il problema principale. Hanno usato il denaro per
corruzioni? Speriamo proprio di no, ma comunque è sempre lavoro per i
giudici. Vogliamo però segnalare un problema, del tutto legale ma assai
preoccupante: se ci sono dirigenti cooperativi che si fanno le loro
aziendine private mentre sono impegnati nella cooperazione; se ci sono
altri dirigenti che investono in proprietà individuali, che poi
affittano alle coop che dirigono; se ci sono grandi cooperative in cui i
soci sono un'infima minoranza, e gli altri sono dipendenti senza diritto
di voto e pagati meno; se ci sono cooperative, che a forza di
sciommiottare i padroni aderiscono a Confindustria... non è che di
Consorte ce ne può essere più d'uno? C'è o non c'è un'incompatibilità di
fondo fra economia cooperativistica (cioè autogestita) ed economia
capitalistica? Non è il sistema che rischia di fare l'uomo ladro?
Un secondo esempio: un tempo (molto lontano, ormai), nessuno si sarebbe
scandalizzato a dichiarare pubblicamente che i soldi di cooperazione,
sindacato e partiti di sinistra servissero allo stesso scopo; che le
cooperative assumessero lavoratori disoccupati; che le giunte rosse
(quelle sì, altro che arcobaleni e tinte pastello) dessero il lavoro
alle cooperative per assumere i disoccupati; che i sindacati
costituissero cooperative, cui le giunte rosse affidassero lavori, per
assumere... i soliti disoccupati. Che altrimenti emigravano, o peggio
stavano qui a fare la fame. Ma allora c'era un comune sentire, uno scopo
unico, un progetto condiviso per l'avvenire. Si poteva essere d'accordo
o meno (e quelli meno ci hanno appioppato la prima dittatura fascista
del pianeta), ma era una cosa alla luce del sole, e del tutto onesta.
C'è, oggi, un progetto condiviso che unisca i vari spezzoni di quello
che fu il movimento dei lavoratori? Fatica, a vederlo! Con cooperative
di costruzioni che costruiscono caserme, ferrovie ad alta velocità e
ponti sullo Stretto di Messina; con cooperative che gestiscono i Cpt per
gli immigrati; con cooperative (del Nord) che hanno lavorato in appalti
al Sud, magari rifiutati da coop locali che non volevano averci a che
fare, con la mafia.
Ha ragione, nella sua ruvidezza, l'ex segretario della Cgil Bruno
Trentin: forse le coop hanno perso una parte della stessa anima. Anche
se il sindacato non ha avuto meno responsabilità: non capendo le
innovazioni, non volendo sperimentarsi a fondo nella pratica
dell'autogestione dei lavoratori, alternando di volta in volta rapporti
concertativi a polemiche durissime, accusando le coop di turpitudini e
firmando con le loro rappresentanze gli accordi per il salario
convenzionale (= mezza contribuzione di pensione, malattia e maternità):
anche durante la segreteria di Trentin. Facile oggi fare la lezione,
bisogna tutti (o quasi... anche se è antipatico, in questa situazione,
uscirsene con il fatidico "ve l'avevo detto...") ritornare alle origini.
Altrimenti questo fa la lezione a quello, e capita che il successore di
Trentin si trasformi nel Podestà di Bologna, tutto legge ed ordine.
E allora le discussioni vanno fatte apertamente. Non è possibile che io,
che faccio parte della direzione di Legacoop nazionale, apprendo dalla
televisione (e quindi ripago il canone...) che tale Gnutti sta dentro
Unipol, ed anche dentro il Monte dei Paschi di Siena: e scopro così che
le Legacoop emiliana e toscana si sono azzuffate avendo uno stesso
burattinaio finanziario! Non posso stare ad ascoltare i deliri
anticomunisti di Berlusconi, e scoprire che anche lui ha
compartecipazioni finanziarie nelle operazioni, e rischiava di
guadagnarci il controllo del "Corriere della Sera"!
E' ora di cambiare rotta, di tornare a mettere la barra del timone verso
gli obiettivi fondamentali. Coop più grandi va bene, se ce lo impone il
"mercato": ma alle nostre regole. Perché le coop sono quelle che fanno
la battaglia per alimenti ecologici, per prodotti retribuiti equamente
ai produttori del Sud del mondo, per prezzi bassi per la maggioranza
della popolazione, per servizi sociali, per una forma di governo
democratica, per un lavoro retribuito equamente, per il rispetto delle
regole. Gli altri, semplicemente non sono cooperatori.
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