Lettera aperta di Marco Benanti al presidente della Camera dei Deputati

3 ottobre 2006
Marco Benanti

On. Presidente Bertinotti,
ci siamo conosciuti il 29 settembre del 2005, a Catania. E’ passato un anno, ma è tutto come fosse ieri.
Allora, nell’Aula Magna di Scienze Politiche, in una giornata di caldo afoso, davanti ai gruppi dirigenti di Rifondazione catanese, nella sala piena fino a scoppiare, Lei, nella sua veste di segretario, prese un impegno: “Non lasciatelo solo”
La sensibilità di alcuni avevano, infatti, sottoposto alla Sua attenzione il mio caso. In breve: sono un giornalista che, per sbarcare il lunario, ha fatto di tutto, anche nell’ “illegalità”, cioè “in nero”, da “irregolare” , da “abusivo”, da “biondino” o come si voglia.
Nel 2003, lavorai sei mesi –da operaio- nella base di Sigonella, assunto, per sei mesi, dal consorzio anglo-napoletano “Algese 2”. Una bella esperienza, anche se, per le “anime belle” del borghesume di provincia era un po’ come dimostrare una “sconfitta”. Già, la “sconfitta” –Presidente Bertinotti- questa mistificazione dell’esistenza che questo sistema ci propina ogni giorno.
Il “problema” era, però, un altro: come si può “accettare” che un giornalista faccia l’operaio? Uno scandalo, appena mimetizzato con le solite parole di circostanza: “… evidentemente non trova di meglio da fare…” Altri, più sbrigativamente e in “stile” Giuliano Ferrara: “un fannullone di meno, magari un po’ mammone…” Così del resto, viene descritta la mia generazione da parte consistente degli “opinion-maker” alla moda, magari con curriculum da “ex”: “rivoluzionario”, “comunista”, “antimafioso”, ex soprattutto.
In genere, io penso, gli irregolari sono trattati così: o senza volontà, magari un po’ “stupidi” o semplicemente “pazzi”. Magari, era successo soltanto che avevo dato fastidio: certo, facendo il giornalista e non il “velinaro”, capita a chi fa il giornalista, dico io. Ad altri capita, invece, di fare –magicamente- carriera.
L’operaio, quindi, come “sconfitta”? Siamo finiti a questo -Presidente? Siamo in questo pozzo di nulla, di vite ordinarie e “perbene”: e chi dovrebbe, allora, cambiare il mondo, se siamo tutti “giusti” e “ordinati”?
C’era, però, un’aggiunta che aggiungeva allo scandalo un sapore d’antico, di discriminazioni Anni Cinquanta: l’azienda, appaltatrice dalla Marina Usa, aveva deciso di fare fuori l’ “intruso”, l’unico dentro un gruppo operaio, poi regolarmente assunto a tempo indeterminato, con una motivazione, che in un Paese Democratico, rispettoso di Sé e quindi dell’Altro, avrebbe provocato un pandemonio: questo strano operaio scriveva….Presidente…scriveva addirittura, si era permesso di entrare nella principale base nel Mediterraneo del nuovo Impero e di portare il suo pensiero, non proprio “ortodosso”, secondo le Linee dell’Amministrazione Bush. La Linea giusta, Presidente: ricorda? Quella che veniva scagliata contro i dissidenti del finto socialismo dell’Urss: ieri, oggi te lo dicono sotto la bandiera della loro libertà misurata in quattrini, del loro “lavoro” usa e getta, da perfetti bestemmiatori della Libertà. Questa, però, era solo la versione ufficiale: sa, Presidente, soprattutto in terra di mafia, la verità bisogna cercarla oltre le menzogne.
Roba da temerari o da scemi? Il Procuratore dell’Azienda li aveva sventolati –quei fogli- sotto il naso del funzionario di Stato, chiamato giudice, il 24 maggio 2005: “Vede, Oh Giudice, questo signore si permette di scrivere queste cose….Siamo imbarazzati….il signore è sgradito al Governo Americano…ha capito, bene, oh Giudice?” Il funzionario dello Stato aveva sfogliato qua e là i fogli e commentato, rivolto, con un mezzo sorriso, verso l’autore del misfatto: “Ma se lei scrive queste cose, perché ci vuole andare a lavorare?” Già, perché i lavoratori della Fiat non omaggiano tutti –all’unisono e magari in ginocchio- la famiglia Agnelli? Presidente, mi aiuti a trovare una risposta, magari solo di primo istinto e non intelligente….
La mia di risposta non piacque al funzionario, che mi richiamò in nome della “non ironia” da farsi in quel posto serio, ma dove hanno luogo queste sceneggiate, che è il Tribunale: già l’ “ironia” contro l’arroganza senza freni, ignorante, pacchiana nel suo sentirsi intoccabile e sopra di ogni cosa, del Potere, che vuole anche importi cosa “produrre” nella tua testa: altrimenti, non ti fanno scaricare merce, non si mangia…. come se il problema fosse solo la pancia e non la dignità dell’uomo. Come avviene nelle dittature –Presidente: però, da tempo, mi raccontano che l’Italia è una democrazia ed è anche “antifascista”. Proprio così, naturalmente il tutto ridotto a rito, a coreografia, mentre l’arroganza del Potere realizza ogni misfatto, senza alcuna opposizione; però, l’importante è non dimenticarlo di dirlo, di dirsi “antifascisti”: il praticarlo, poi, forse, un’altra volta.
Quanto coraggio ci vuole ancora per sostenere che viviamo in una democrazia reale, contro tutti i fascismi, di quanta ipocrisia bisogna essere capaci per non provare anche solo imbarazzo, quando la vita di ogni giorno in questo paese da operetta è piena da vicende dal sapore inconfondibile dell’epoca che fu: un fascismo riverniciato certo, riadattato per il Terzo Millennio, magari solo più subdolo, ma con il solito tanfo insopportabile di violenza di Stato, di disprezzo di ogni pudore e di ogni libertà. In una parola: di mafia.
Ma che c’era scritto in quei famigerati scritti? Beh, insomma che la presenza americana in Italia non era proprio esente da critiche, che poi mica tutti sono dei novelli “Padre Pio” venuti a farci del bene, senza alcun interesse, che, poi, a Sigonella non era proprio un bel vedere, non era, insomma, un bello spettacolo quei mafiosi, come invitati a un gran galà, in entrata e uscita dalla base, senza che i “nostri” servizi di sicurezza gli rivolgessero qualche domanda, quegli appalti miliardari che puzzavano un miglio di lupara, e poi ancora “qualche” testata nucleare che continua a percorrere l’Italia….Era troppo? Era davvero “intollerabile”, tutto ciò, pubblicato ampiamente prima della mia assunzione e scritto anche da altri, da altri cittadini, a cui avevo offerto la mia firma di “direttore responsabile” di un sito, come si faceva un tempo? Ricorda, Presidente, i tempi della contestazione delle norme fasciste della stampa, di quell’ ordine dei giornalisti di cui attendo, invano, da decenni l’abolizione: cose di sinistra, cose che sapevano di uguaglianza, di lotta contro i privilegi, contro gli abusi di potere, insomma, la vecchia sinistra che non c’è più.
Ma evidentemente era troppo, sì era troppo per gli “anglo-napoletani” di “Algese 2” e per i loro dante causa, i quali, ancora oggi, a distanza di mesi, o meglio, non si esprimono ufficialmente, restano in silenzio. Ho conosciuto il volto “siculo”, per usare un’espressione del folclore di questa terra, degli americani: mi mancava anche questo.
Il “caso” non esiste: a Sigonella tutto scorre come se nulla fosse.
E’ così anche per il Sindacato catanese, caro Presidente: per il sindacato questa vicenda non merita nulla, nemmeno due parole nell’ultimo dei dibattiti che ogni tanto vengono organizzati.
Al mio fianco, è rimasto, del mondo sindacale, solo il Compagno di base Gaetano Ventimiglia. Ci sarebbe da fare riflessioni, da chiedersi perché, già perché?
Mentre l’accumulazione selvaggia del capitalismo familistico, mascherato da “modernizzazione”, produce danni sociali devastanti, si pensa ad iniziative di facciata, non si entra nel merito dei problemi, di parla d’altro, Presidente. Silenzio, solo silenzio e piccole battaglie per assicurarsi ristrette nicchie di consenso, da usare al tavolo della concertazione corporativa, dove si decide “chi sta dentro e chi sta fuori”: tutto qui e lo chiamano sindacato…
Sulla Camera del Lavoro di Catania, sul mio caso, è calato da tempo un silenzio omertoso della peggiore tradizione siciliana: chi tenta di aprire “il discorso” viene invitato a occuparsi di altro. Il resto è ordinario gioco di piccole e grandi calunnie, di piccole e grandi disinformazioni. E l’antimafia? Che fine ha fatto? Si occupa d’altro, di cose più grandi o forse solo più innocue ma “politicamente” più redditizie.
Sarà un caso, ma basta leggere i nomi di ha sottoscritto l’appello del comitato messo su con tanta passione da un pugno di cittadini, che non si rassegna a vivere in pantofole e televisione, per non trovarne alcuni: Anna Finocchiaro, Enzo Bianco, Claudio Fava, Adriana Laudani, tutte belle anime della sinistra catanese e siciliana, evidentemente impegnate in altro, in altre cose, più serie di questa.
Questa vicenda, infatti, non merita nulla –tranne rare ed estemporanee iniziative- anche per la classe dirigente del centro-sinistra.
Questa vicenda non merita nulla naturalmente anche per la stampa “che conta”: tranne “Liberazione”, “Manifesto”, “La Rinascita”, l’informazione –più o meno “progressista”- non s’interessa. Quella ufficiale siciliana semplicemente non ne parla. Come sempre, in questi casi. La Sicilia e Catania sono da seguire con prudenza, senza “estremismi” che fanno poi scappare –come è noto- i “moderati”, la borghesia “illuminata” e via chiacchierando. Anche questa è mafia.
Dimenticavo, Presidente: inaspettatamente, nel gennaio scorso, il funzionario dello Stato con la toga, alla fine, ha dato ragione agli “anglo-napoletani” (l’appello è stato fissato –mi pregio di sottoporlo alla Sua attenzione il dato- all’ottobre del 2009!) e poi sempre un altro impiegato, ma dell’Inps, ha scritto due righe per spiegare che la domanda per la disoccupazione con i requisiti minimi non veniva accolta. Sa perché, Presidente? Perché –se il lavoratore viene pagato a casa, forzosamente, per imperio dell’azienda- non avrà in seguito diritto a nulla, anche se aveva espresso volontà di tornare a lavorare. Già, perché è successo anche questo a Sigonella: in via cautelare, nel 2004, mi avevano dato (incredibile a dirsi) ragione, ma –si badi- in secondo grado, presentando le “prove” del danno sofferto (perdere il lavoro è o no un danno?) dopo un primo grado, infatti, concluso con una sentenza che grida vendetta a Dio e così l’azienda appaltatrice avrebbe dovuto riassumermi, per nove mesi. E cosa è successo, invece? Dall’azienda mi arrivò una letterina, in cui mi si spiegava che ero “dispensato” dal presentarmi al lavoro: quindi, pagamento a casa, per mezzo di corriere postale; poi, in seguito, naturalmente, non una lira di disoccupazione, perché – hanno cercato di spiegarmi dall’Inps- non risultavano ore lavorate! E come potevano mai risultare se mi era stato impedito -con la forza- di lavorare? Tradotto: la Volontà del Padrone diventa Legge del Padrone e quindi –per questo- diventa Volontà e Legge dello Stato- Il tutto, sotto il timbro di “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. E tutti zitti, Presidente.
Che altro poteva succedere, se anche l’ufficiale giudiziario, da me chiamato per ottemperare all’ordinanza di riassunzione del 2004, era stato respinto ai cancelli italo-americani? Non dimenticherò mai, quei fogli giudiziari sventolanti, quel grido “io sono un rappresentante dello Stato italiano” e il volto -quasi beffardo- ai cancelli: “Prego, chi siete?”
Un po’ come avveniva nelle colonie.
Presidente, concludo ringraziandoLa per l’attenzione; prima di cestinare questi fogli, scritti mali e in modo non corretto politicamente, La prego di rimanere certo che le sue parole non sono state inutili: “solo”, infatti, non sono rimasto, infatti, sono rimasto con Me e la mia Coscienza e magari con pochissimi amici, quelli veri, che in una terra non libera, non democratica, non antifascista se non per le coreografie da parata, è l’unica e ultima àncora in mezzo al grigio vivere borghese di una società di abitanti indifferenti.
Un saluto

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