Sveglia Napolitano, è la politica che non fa il suo dovere!
Il 17, 18 e 19 novembre Roma ha ospitato Contromafie, gli Stati generali dell’Antimafia. Sono stati l’occasione nella quale, così come don Luigi Ciotti ha più volte ribadito, le varie esperienze civili e sociali dell’antimafia si sono incontrate per tracciare un cammino comune per la sconfitta del cancro sociale rappresentato dall’illegalità mafiosa. Il giorno prima dell’inizio dei lavori don Luigi, insieme ad una delegazione di Libera e delle altre associazioni partecipanti a Contromafie, si è recato in Quirinale per la presentazione dell’iniziativa alla presenza di Giorgio Napolitano. Nell’occasione il presidente della Repubblica ha porto i propri saluti ed incoraggiamenti a don Luigi e Libera. Nel suo discorso spicca sicuramente il richiamo all’impegno e al coraggio della società civile, invitata a non aver mai paura e a non indietreggiare di fronte alle mafie. Silenzio totale invece sul ruolo della politica, su quanto coloro che hanno il compito primo della gestione della res publica dovrebbero fare. Alla fin fine la lettura del discorso di Giorgio Napolitano è l’ennesimo richiamo retorico e stantio ad un impegno generico e disimpegnato, che ricade ancora una volta sulla “società civile”, caprio espiatorio e valvola di sfogo di qualsiasi cosa accada sotto il cielo del Belpaese. Alcune settimane fa l’associazione Rita Atria(fa parte della società civile presidente?), insieme ad alcuni movimenti, riviste e comitati civici(sono esponenti della società civile on. Napolitano?) hanno promosso un appello diretto alla Presidenza della Repubblica e al Ministero di Grazia e Giustizia(il testo integrale è pubblicato anche sul nostro sito http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_19380.html ). Leggiamo nell’appello, quasi una risposta anticipata alle parole di Napolitano, “quante volte abbiamo sentito esponenti della politica dire che noi della società civile dobbiamo ribellarci alle mafie. Noi siamo d'accordo ma per ribellarci alle mafie abbiamo bisogno di affidarci a uomini di stato in cui crediamo e soprattutto abbiamo bisogno di sentirli dalla parte giusta.” Nelle stesse ore di Contromafie qui in Abruzzo ancora una volta politici di alto lignaggio sono stati arrestati e inquisiti per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche. Nell’intervento di Napolitano non c’è stato nessun riferimento ne alla corruzione imperante nelle pubbliche amministrazioni, ne all’appello(diretto a lui, non ad altri!) dell’associazione Rita Atria.
La società civile, nella quale Libera vive ed opera, si è sempre impegnata nel fronte antimafia. In questi anni è proprio la politica, ufficiale, di palazzo, che è stata latitante, pesantemente assente (tranne quando era in manette). Qui sotto riportiamo solo un piccolo elenco di avvenimenti, diversi ma tutti con un fil rouge ad unirli: dov’era la politica? Dove volgeva il capo presidente Napolitano?
Libera nasce nel 1995. Il primo impegno è quello di una raccolta firme per una proposta di legge popolare sulla destinazione sociale delle proprietà confiscate per mafia o corruzione. La legge viene approvata, ma i reati di corruzione(che sono poi quelli che più coinvolgono i politici) vengono stralciati. In questi anni nessuno dei vari tentativi di ripristinare la norma originale sono giunti al successo.
Carlo Ruta è un giornalista siciliano. Da anni si occupa di inchieste e avvenimenti di rilevanza sociale. Carlo ha portato a galla il malaffare e l’illegalità del suo territorio, partendo da piccoli casi d’ingiustizia(si legga qui http://italy.peacelink.org/migranti/articles/art_12180.html ) così come da importanti casi giudiziari ormai storici come l’assassinio del giornalista de “L’Ora” Spampinato. Nei mesi scorsi ha subito, a causa della sua esposizione in prima persona, una condanna a 8 mesi di carcere per diffamazione(http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_18857.html ). Carlo non è Lino Jannuzzi, non è Santoro o Biagi. E nessuna voce politica o sindacale si è levata in suo soccorso.
Marco Benanti è un simpatico ragazzetto siciliano. Come ha scritto una volta Riccardo Orioles somiglia pure un po a Michael Moore, ma come scrivere, un Moore “de noialtri” …
Il suo impegno di giornalista libero lo ha portato prima a perdere il suo posto di inviato in Sicilia dell’ANSA. Viene successivamente a perdere anche il posto di operaio alla base di Sigonella dopo la scoperta di alcuni suoi articoli pacifisti, che non piacciono agli “amerikani”. Dopo una comparsata pre-elettorale nessun politico si è più interessato a Marco (tutti i dettagli in una lettera aperta di Benanti a Bertinotti http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_19374.html )
Nei mesi scorsi Umberto Santino, presidente e fondatore del Centro Siciliano di Documentazione Pappino Impastato, è stato condannato per diffamazione. Santino, scrittore da sempre impegnato nel recupero della memoria e della storia della mafia, è stato condannato per aver riportato il testo(da lui espressamente non condiviso in mancanza di riscontri oggettivi) di un anonimo palermitano. Diverse associazioni si mobilitano di fronte ad una vicenda(che non è l’unica del genere) che “minano la possibilità di ricerche storiografiche e l'interesse pubblico alla conoscenza e all'approfondimento di fenomeni sociali come la contiguità tra mafia e politica.”(http://unimondo.oneworld.net/article/view/135211/1/ )
Nell’ottobre 2005 viene assassinato Francesco Fortugno. Dopo generiche e retoriche prese di posizione la politica ufficiale dimentica totalmente la Locride. In questi mesi vari attentati a cooperative sociali si susseguono (http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_16005.html ). Un anno dopo il vescovo di Locri, mons. Bregantini, afferma in un’intervista al settimanale Vita: gli adulti mi hanno deluso, dopo tante promesse nessun politico si è ricordato di noi.
Luglio 2004. Giovanni Impastato, fratello di Peppino(assassinato dalla mafia nel 1978), viene condannato per diffamazione(http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_7133.html ): la sua colpa quella di aver voluto difendere in una trasmissione televisiva la memoria del fratello. Il Centro siciliano di documentazione intitolato a Peppino lancia una campagna di solidarietà, alla quale moltissimi rispondono in brevissimo tempo.
15 gennaio 1993: viene arrestato Totò Riina, uno dei più importanti boss mafiosi, latitante da decenni. Negli anni i responsabili dell’arresto, gli ufficiali dell’Arma Mario Mori e Ultimo, subiranno una vera e propria persecuzione, culminata in un processo terminato alcuni mesi fa(http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_15185.html ). Escluse poche parole di circostanza nessun politico dagli alti palazzi si impegna in difesa di uomini che grande servigio hanno reso allo Stato. Non vi è traccia del diluvio che inonda i media quando in manette finisce un compagno di partito, un tesserato o un amico degli amici. E nessuno si schiera con “i nostri ragazzi”, come in altre circostanze, che a quanto pare meglio si prestano a retorica e propaganda.
Sono questi solo alcuni dei tanti episodi di antimafia sociale che ogni giorno innervano il tessuto civile italiano. Alle frontiere della legalità, nei luoghi dove più il peso mafioso e camorristico è imperante ci sono sempre operatori sociali, preti impegnati, comuni cittadini, amministratori locali(spesso lasciati soli se non contrastati dai vertici alti dei loro partiti), cooperative, associazioni, giornalisti indipendenti(ricordiamo ancora, oltre a Ruta, Santino e Benanti, Farid Adly http://lists.peacelink.it/news/2005/04/msg00008.html) che tentano di contrastarne lo strapotere. E’ la società civile che giornalmente si impegna. Ma, come afferma l’appello dell’associazione Rita Atria, hanno bisogno di un serio e profondo impegno della politica. Sarebbe meglio che Napolitano la prossima volta(che non mancherà sicuramente visto l’improvvisa loquacità di queste settimane sulla situazione napoletana) si volgesse su questo fronte, lasciando stare per una volta la retorica e gli appelli all’altrui responsabilità.
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