Caso Spampinato. La lunga rimozione, il difficile recupero della memoria, la giustizia possibile
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Il premio Saint Vincent di giornalismo conferito alla memoria a Giovanni Spampinato è indubbiamente un riscontro positivo al dibattito che da qualche anno va svolgendosi sulla vicenda. Si tratta di un passo significativo, ma è necessario che ne vengano altri, sul piano sostanziale, trattandosi di un caso che per tanti aspetti si presenta irrisolto.
Il giornalista, figlio di un comandante partigiano, venne ucciso a Ragusa nella notte del 27 ottobre 1972 da Roberto Campria, reo confesso, figlio dell’allora presidente del tribunale cittadino. Da mesi andava investigando sull’uccisione del costruttore ragusano Angelo Tumino, legato alla destra neofascista, avvenuta nel precedente 25 febbraio. E nel corso di tale lavoro era finito sulle tracce del Campria, assiduo frequentatore del Tumino. Il figlio del magistrato, costituitosi subito dopo l’assassinio del giornalista, dichiarò che aveva compiuto il gesto in un impeto d’ira, sentitosi ingiustamente accusato da Spampinato in diversi articoli apparsi sul giornale palermitano “L’Ora”. Ma sin dai primi passi dell’istruttoria Tumino, si era espresso in modo reticente e contraddittorio, mentre emergevano significative disattenzioni da parte degli inquirenti: motivo per cui veniva reclamato da più parti il trasferimento dell’istruttoria per legittima suspicione.
I magistrati avrebbero potuto imboccare sul caso Tumino la strada più logica se avessero incalzato il Campria, che, diversamente da quanto dichiarato, risultava essere stato in compagnia del costruttore nei momenti appena precedenti il delitto. E potevano contare al riguardo sulle coerenti dichiarazioni di una supertestimone, la bergamasca Elisa Ilea, vicina di casa dell’ucciso. Ma il dovuto non venne fatto, e, dopo la morte di Spampinato, tale atteggiamento, resocontato dalla stampa italiana più conseguente, produsse nel paese un moto d’indignazione. Accuse grevi alla giustizia ragusana vennero mosse da Achille Occhetto e Miriam Mafai, dai giornalisti Etrio Fidora, Mario Genco, Vittorio Nisticò, e numerosi altri, ma, con una mite condanna per il Campria e l’inevitabile archiviazione del caso Tumino, calò su tutta la vicenda un silenzio fitto, che ha retto per oltre trent’anni.
La situazione rimane complessa, perché la guardia degli ambienti cittadini che hanno fatto da sfondo ai due delitti viene mantenuta alta. Manca quindi una tesi argomentabile sui moventi. Le carte dell’istruttoria Tumino, uscite qualche anno fa dal Palazzo di Giustizia di Ragusa, offrono nondimeno una documentazione a tutto campo delle anomalie investigative verificatesi, tali da legittimare di per sé una riconsiderazione del caso in sede giudiziaria. E Campria, seppure con un ritardo di decenni, potrebbe essere chiamato a spiegare un po’ di cose. Non è facile beninteso che questo avvenga, perché esistono impedimenti a tutti i livelli. Ma un tale atto, consono a uno Stato decente, merita di essere reclamato fino in fondo, ed è importante che si muovano in tale direzione sedi riconosciute del paese civile.
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