«Gay, musulmano. E rifugiato»
Verona Salah, 25 anni, marocchino, omosessuale, ha ottenuto da pochi giorni lo status di rifugiato in Italia ed è in attesa del rilascio del permesso di soggiorno. La Commissione territoriale che valuta le richieste di asilo l'ha ritenuto idoneo, perché nel suo paese l'omosessualità viene punita in quanto tale. Per lui, fuggito dal Marocco dopo una detenzione di qualche mese e una condanna per «atti sessuali contronatura», si sono dati da fare con determinazione il circolo Maurice di Torino e l'avvocato Maurizio Cossa, che fa parte dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione). Anche se in Italia - secondo i dati forniti dall'Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati - sono una quarantina le persone omosessuali extracomunitarie che hanno ottenuto l'asilo o un permesso umanitario in virtù del loro orientamento sessuale, non sono molti quelli che accettano di raccontare la loro storia. Salah ha scelto di farlo per il manifesto.
«Mi sono accorto di essere omosessuale - racconta Salah- durante l'adolescenza. Mi piaceva ballare la danza del ventre e vestirmi da donna, quando vedevo i film guardavo solo gli attori maschi. A 17 anni ho iniziato ad incontrare altri ragazzi ma vivevo nell'ombra perché la gente non capisce, non puoi farlo vedere, devi fare l'uomo. Ci sono tanti gay in Marocco, anche nella mia città, Marrakech, e puoi incontrare qualcuno ma, se ti becca la polizia, sono guai. Devi fare tutto di nascosto ed è un problema anche entrare nelle case. Se ti trovano truccato o se pensano che sei effeminato, puoi prendere anche due-tre mesi di carcere. Se ti prendono in casa con qualcuno, la condanna va dai sei mesi in su. Naturalmente, se dai soldi, ti abbassano la pena ma comunque il problema rimane. A Marrakech c'era un bar-discoteca non totalmente gay ma dove la maggior parte dei clienti erano omosessuali. C'erano anche molti turisti, soprattutto francesi. Un poliziotto si è fatto assumere come cameriere in questo locale, fotografava i ragazzi che entravano e c'era anche la possibilità di controllare i dati perché all'entrata ti chiedevano i documenti. Dopo circa un anno hanno avuto abbastanza materiale per chiudere la discoteca e arrestare i proprietari, due francesi, che sono poi stati condannati a due e quattro anni di carcere. C'era anche un maresciallo marocchino, gay, si è preso anche lui quattro anni. Hanno cercato e controllato i clienti. Io ero uno di questi, mi hanno seguito per qualche giorno, fotografato. Allora lavoravo in un hotel e frequentavo la scuola alberghiera. Una sera sono andato a casa di due amici francesi e è arrivata la polizia: hanno trovato dei preservativi, un tubetto di burro-cacao e, sul mio cellulare, dei messaggi affettuosi. Ci hanno portato in commissariato, dove per quattro giorni mi hanno lasciato senza cibo, minacciato e malmenato. Poi mi hanno messo in carcere e processato. Mi hanno condannato a cinque mesi ma, siccome avevo già scontato parte della pena, sono riuscito a uscire. La mia famiglia ha saputo che io ero gay quando sono stato messo in prigione. Sono stati i miei amici frances ad aiutarmi ad uscire dal Marocco. Sono andato a Modena da un mio zio, poi ho avuto contatti con il circolo Maurice e sono venuto a Torino. Gli attivisti del circolo, che voglio ringraziare insieme al gruppo Abele, mi hanno portato dall'avvocato, che è riuscito ad ottenere la documentazione dei processi a cui ero stato sottoposto in Marocco. Io ho raccontato la mia storia e sono stato accolto come rifugiato. Ora abito a Torino, lavoro a part-time come assistente agli anziani, mi sono iscritto a scuola, frequento dei corsi di informatica e anche di artigianato. Non posso più tornare nel mio Paese, parlo con mia madre per telefono, non riesce ad accettare la mia omosessualità e mi propone di sposarmi, se ti sposi puoi cambiare, dice. Ho dovuto parlare al telefono con una mia cugina per dirle che non la voglio sposare. Ma vorrei tanto riuscire a far venire qui mia madre e i miei fratelli almeno una volta».
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