Manuel Pizzato: storia di un ferroviere
Manuel Pizzato è un ragazzo di 27 anni di Udine. Il 20 febbraio di tre anni fa, lavorava da tre giorni presso un raccordo ferroviario in un paesino della provincia friulana, a 20 km dalla sua abitazione. Era stato assunto da poco da un’impresa che si occupa di servizi sui raccordi e scali ferroviari in prossimità di zone industriali. Per poter lavorare, con questa azienda, Manuel ha dovuto superare visite mediche, test attitudinali, che si sono svolti a Verona presso le strutture selle Ferrovie dello Stato. Mancava solo un ultimo tassello per completare la sua formazione: la frequentazione di corsi per acquisire l’abilitazione per essere fisicamente ed operativo nell’ambito della manovra ferroviaria. Intanto, aveva iniziato l’affiancamento con colleghi già specializzati, per prendere confidenza con la sua futura mansione. L’affiancamento incominci mercoledì 18 febbraio 2004, con l’entusiasmo di chi era felice di aver superato prove preliminari e di fare un lavoro che permette di togliere sfizi, di fare esperienza e di avere una certa autonomia economica.
Il lunedì successivo avrebbe cominciato il corso… “Ed invece il venerdì, alle ore 16.00, un’ora prima di tornare a casa, il fatal incidente che mi ha cambiato la vita”. Manuel ha avuto lo schiacciamento del braccio fra due respingenti del carro ferroviario. “Un male ed un dolore indescrivibile… la sensazione di morire, qualcosa che non augurerei neanche al peggior nemico.” “Mi sono accorto della gravità, quando ho provato a chiudere la mano e non accadeva nulla, con il cervello davo il comando di chiudere la mano, ma … in poche parole non c’era reazione ai miei impulsi.”
Senza abilitazione nessuno poteva essere lì, anche Manuel non sarebbe dovuto essere lì, per leggerezza di qualcuno, era dove non poteva essere? Ma chi si rifiuta di fare affiancamento qualche giorno, appena assunto (e spesso prima di essere assunti)? A livello psicologico si vive una situazione di fragilità, subito si pensa “E se mi rifiutassi, perché le regole prevedono diversamente? Verrei subito discriminato? Incomincerei dando una brutta impressione?”, non c’è troppo tempo per rispondere a tutti questi interrogativi, la soluzione più adatta è: non si può rifiutare, e soprattutto non si può rischiare di perdere il posto di lavoro che permetterà di progettare il futuro.
Manuel ricorda tutto, è riuscito a non perdere i sensi. Arrivò l’ambulanza ed è stato trasportato all’ospedale civile di Udine, in preda ad i dolori sempre più acuti lo anestetizzarono. Si risvegliò dopo cinque giorni di coma farmacologico, nel reparto di terapia intensiva, con la brutta realtà che aveva perso il braccio destro. “Mi è stato amputato dopo numerosi tentativi di salvarlo con: varie operazioni e bay pass; ma a causa dello schiacciamento che avevo subito, i vasi sanguigni erano compromessi e dunque c’erano emorragie continue. Ho saputo successivamente che ad un certo punto, se i medici non avessero scelto l’amputazione all’altezza del gomito, potevo morire.”
“Il risveglio è stato terribile, la voce dell’infermiera che mi chiamava «Manuel, Manuel, Manuel, dai, su, svegliati…» poi ho aperto gli occhi… ho pianto non avevo parole, non sapevo che dire, ero provato, sconvolto, distrutto… ho fatto ancora un paio di giorni di terapia intensiva, e poi sono stato spostato nel reparto di Ortopedia. Qui ho conosciuto i chirurghi che mi hanno operato: ortopedici, specialisti vascolari… non posso che ringraziarli e parlare bene di loro, sono stato curato e seguito con molta professionalità e soprattutto umanità, che in queste situazioni è importante e fondamentale”.
Il contratto di Manuel era a termine. Dopo circa 18 mesi dall'infortunio è rientrato a lavoro, gli è stata cambiata la mansione ed ora lavora in ufficio al computer, non è facile rientrare e lavorare dove si perde così tanto.... e per di più magari, "ti senti dire che approfitti della tua situazione...che non lavori abbastanza e vieni paragonato come quantitativo di lavoro a persone normali" molte volte gli tocca ricordare che ha solo una mano e riesce a fare solo certe cose, una alla volta.... Hanno avuto la sensibilità civile, o un senso di colpa?
Comunque c’è un processo ancora in corso e chissà se percepirà un rimborso per il suo incidente. Percepisce una pensione di invalidità, ma di certo nessuno gli ridarà qualcosa che aveva prima. “Dovevo trovare e scoprire le mie nuove abitudini. Ero abituato a prendere l’automobile, uscire in completa autonomia. Ora invece ero vincolato dagli orari dei treni, degli autobus, anche per prendere un caffè.Il recupero che sono riuscito a fare ha un limite certe cose (almeno io) da solo non riesco più a farle, è inevitabile ho sempre avuto la potenzialità di due braccia, me ne trovo una, anche il cervello ha difficoltà, aguzzando un po' l'ingegno riesco a cavarmela... ma comunque è dura, e per niente facile!” La caparbietà non è mancata a Manuel e dopo un anno e mezzo dall’incidente è riuscito a prendere la patente, ed a riacquistare un po’ di indipendenza.
“Ho dovuto cercare una scuola guida che avesse un auto predisposta per i casi "particolari" o simili al mio, anche qui dopo molti mesi dopo lunga attesa da parte della Motorizzazione, ho preso la patente, e poi ho acquistato l'auto, finalmente riprovavo il senso di libertà e di autonomia: potersi spostare e muoversi senza dipendere da nessuno, senza guardare orari e coincidenze di autobus e treni.” Quello che tiene a sottolineare è l’aspetto burocratico. “In ospedale ero coccolato, ma una volta uscito le cose cambiano, la società fuori è una vera giungla. Nessuno mi ha detto i miei diritti, cosa mi spettava e cosa no. Ho dovuto scoprire tutto da solo, perché l’ho sentito dire, perchè l’ho letto.
Devi informarti, leggere, venire a conoscenza tramite qualcuno che purtroppo ci è già passato prima di te, ovviamente siamo in Italia e la burocrazia la fa da padrona, moduli, richieste, autorizzazioni, correre da un ufficio all'altro... ma per fortuna con tanta pazienza ne sono uscito e "regolarizzato" la mia posizione. Penso che una persona che subisce un incidente dovrebbe avere un’assistenza in automatico dagli enti che se ne dovrebbero occupare, soprattutto per le informazioni, sulle leggi che tutelano le persone invalide sul lavoro.
E poi una volta trovato l’ente o l’ufficio adatto, si potrebbe tirare un respiro di sollievo, ma gli addetti non fanno l’elenco delle cose da fare, delle carte da riempire, bisogna tornare e ritornare, chiede e richiedere, perché le informazioni vengono date una alla volta, e sempre su sollecitazione dell’interessato. Inoltre vorrei che la sensibilizzazione sugli infortuni nei luoghi di lavoro cominciasse dalle scuole, mi sono reso disponibile per portare la mia testimonianza.
Credo sia fondamentale il racconto di chi ha vissuto personalmente un infortunio e tutti i giorni convive con i postumi, ma per ora ancora non vengo contattato. Ciò che fa più male è scoprire da un giorno all’altro che non si possono fare le cose più semplici e naturali. Bisogna impedire che accada ancora sia a ragazzi come me che a qualsiasi lavoratore.Molte cose che prima facevo spensieratamente ora invece ci devo pensare, riflettere e vedere se riesco a farle...”
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