Giovanni Spampinato. Il caso non è chiuso

Assunzione d’impegni e prese di posizione da parte della Commissione Antimafia e di altre sedi politiche, perché sulla vicenda, mai chiarita fino in fondo, venga fatta giustizia.
26 marzo 2008
Carlo Ruta
Fonte: "L'Isola possibile" (inserto mensile de "il Manifesto")

Qualcosa va muovendosi intorno alla vicenda umana e professionale di Giovanni Spampinato, dopo oltre trenta anni di silenzi, che davano il senso dell’irreversibile. Al cronista siciliano, evocato fra l’altro da una interrogazione parlamentare presentata dall’ex ministro della Giustizia Diliberto e decaduta per la fine della legislatura, sono stati dedicati convegni, riflessioni, rilievi sull’informazione nazionale, con prese di posizione sempre più nette e significative. In particolare, il caso è tornato ad essere sollevato a vari livelli istituzionali, in relazione alle manchevolezze che caratterizzarono l’azione giudiziaria del tempo, e soprattutto le fasi istruttorie sull’uccisione del costruttore Angelo Tumino, antecedente storico del delitto Spampinato.

Ne danno anzitutto riscontro le recenti assunzioni d’impegno del presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione, il quale, nel richiedere ufficialmente gl’incartamenti giudiziari, ha dichiarato: “Ci sono troppe cose in quel processo e in quell’inchiesta che non mi convincono e su questo la Commissione Antimafia farà il suo lavoro”. In seno a tale istituzione parlamentare è stato formato peraltro un Comitato inteso a investigare i casi dei numerosi giornalisti uccisi dalle mafie. E si tratta di un fatto importante, inedito, che contraddice la logica degli insabbiamenti, teso a sottolineare comunque il carattere metodico che nel nostro paese ha registrato la soppressione di voci che con rigore hanno testimoniato sugli intrecci fra economia, politica e malaffare. Non meno significative appaiono poi le recenti dichiarazioni del senatore Giuseppe Di Lello, già partecipe del pool antimafia del magistrato Giovanni Falcone, circa la necessità civile di ritornare su quei fatti tragici, e le note, ugualmente ferme, venute da esponenti storici della sinistra iblea come il senatore Gianni Battaglia e l’ex sindaco di Ragusa Giorgio Chessari, già direttore di un giornale che ebbe come redattore, ancora ai primi passi, Giovanni Spampinato.

In realtà permangono le condizioni perché il caso giudiziario possa essere affrontato risolutivamente. E, se verrà confermata, la nomina alla procura di Ragusa di un magistrato di grande spessore civile come Carmelo Petralia, già operante in seno alla Direzione Nazionale Antimafia, potrebbe costituire al riguardo, rispetto al passato, una importante differenza. Esiste in particolare un cittadino, Roberto Campria, figlio dell’allora presidente del tribunale ragusano, che, pur recando una posizione visibilmente anomala, pur tirato in causa addirittura per nome appena qualche giorno dopo il delitto Tumino dalla supertestimone Elisa Ilea, non fu indagato nei modi adeguati. Tale persona, che potrebbe costituire il bandolo di una intricata matassa, dovrebbe essere quindi ascoltata oggi, con la dovuta determinazione. Se si considera poi che il Campria fu l’assassino confesso di Spampinato, che investigava sul delitto Tumino per i giornali L’Ora e L’Unità, si comprende che la definizione del primo caso giudiziario, finito archiviato, è l’unico tragitto che possa portare alla definizione piena del secondo.

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