Miserie all'ombra del Barocco
www.extramagazine.eu - 28 novembre 2008
In un periodo in cui si parla ripetutamente di crisi, crolli e povertà, ad essere inflazionati non sono solo i bilanci pubblici di tutto il globo, ma anche le parole per descrivere la situazione.
Crisi è una parola che viene usata spesso in tutte le salse possibili, tanto da perdere quasi qualsiasi collegamento con la realtà che dovrebbe descrivere e non avere più quel valore ammonitorio che dovrebbe esprimere. Abbiamo provato a descrivere quello che significa crisi analizzando la situazione di Martina Franca.
Il dato da cui partire è la rilevazione fatta dall’Istat all’inizio di novembre che riferisce di un’Italia in cui i poveri sono più del dodici per cento della popolazione. Relativamente poveri, dato il calcolo si basa su quanto una famiglia spende in un mese: se è composta da due persone e spende meno di 986 euro, allora è una famiglia in povertà relativa, perché, secondo la statistica, la spesa è indicativa del reddito.
La situazione del meridione è peggiore statisticamente rispetto al quadro nazionale. Secondo i dati dell’Istat, la percentuale di poveri è del 22 per cento di media, con picchi in Basilicata e in Sicilia.
Da dove viene la povertà: l’esempio del comparto tessile
Ci sono due tipi fondamentali di reddito: quello diretto e quello indiretto. Il primo è dato dallo stipendio mensile, che fa entrare in famiglia liquidità, e poi c’è il reddito indiretto che è dato dai servizi che lo Stato garantisce alle famiglie e per cui si pagano le tasse. Sono la scuola e la sanità per esempio. L’esistenza di una persona è garantita dall’interazione di questi due tipi di reddito.
Il reddito diretto è dato dal lavoro e il primo senza il secondo è impossibile. È notorio che il tasso di disoccupazione al sud sia più elevato e più elevati sono i numeri riguardo il precariato e il lavoro cosidetto grigio (quello per cui il salario percepito non corrisponde a quello segnato nella busta paga). Secondo le statistiche il tasso di disoccupazione in provincia di Taranto nel 2007 è del 10 per cento, con un percentuale doppia delle donne rispetto agli uomini (questi sono sull’8% mentre le donne si attestano intorno al 16%). Secondo il Centro per l’Impiego di Taranto, a su sedicimila persone iscritte all’Ufficio impiego di Martina, il 33 per cento di esse è disoccupato. Ma non è una percentuale esaustiva, dato che non tutte le persone si rivolgono a questo servizio se sono in cerca di occupazione.
Per capire meglio la questione possiamo prendere ad esempio un settore specifico dell’economia martinese: il tessile. Per anni questo comparto è stato considerato quello trainante di tutta l’economia martinese, ma ultimamente sta attraversando una crisi molto pesante, anzi due, considerando che la difficoltà di questo reparto si sta incrociando alla crisi strutturale dell’economia mondiale. In parole povere, negli ultimi tempi un settore che stava perdendo commesse a causa dello spostamento della produzione verso la Cina o i posti dove il lavoro costa meno, ma sopravviveva grazie alle commesse che arrivavano dalle ditte più grosse. Per lavorare, le confezioni chiedevano anticipi alle banche per poter pagare gli stipendi che poi rimborsavano una volta ottenuto il pagamento. Adesso le banche hanno chiuso i rubinetti e i lavoratori sono in mezzo alla strada. Secondo Giuseppe Massafra, della Filtea CGIL, non è ancora possibile stabilire l’entità di quello che accadrà nel futuro, i numeri sono destinati sicuramente a salire (è emblematico che, mentre facevamo l’intervista, abbia avuto una telefonata che gli annunciava il licenziamento di altri trentacinque lavoratori). È necessario, secondo lui, che le autorità prendano atto della tragedia e studino dei provvedimenti adeguati perché la cassa integrazione straordinaria dura solo un anno. E poi c’è la questione del Distretto regionale della moda, la cui sede è Martina. La cosa è diventata ufficiale da poco, e sarebbe paradossale che nel momento in cui viene riconosciuto il ruolo fondamentale delle manifatture martinesi, queste chiudono.
I numeri di Martina Franca
I servizi sociali di Martina offrono alle famiglie particolarmente indigenti, un sussidio minimo economico, una somma di denaro che permette loro di provvedere alle necessità primarie come la spesa o il pagamento delle bollette. Da 2005 ad oggi sono state fatte 674 domande, ma nell’ultimo anno sono aumentate notevolmente. A fronte delle 146 domande presentate l’anno scorso, quest’anno, fino a novembre, ci sono state 202 richieste.
Il sussidio rappresenta l’ultima spiaggia di chi è in difficoltà. Secondo l’assistente sociale Rapisardi che si occupa di questi servizi, la somma di denaro erogata dal comune una tantum è utile ma non è fondamentale nella gestione del problema, perché non è una soluzione: «È assistenzialismo – ci dice – ed è come dare un pesce all’affamato invece di insegnargli a pescare. I soldi messi a bilancio dall’amministrazione sono abbastanza, si dovrebbe puntare verso programmi che incidano in maniera più strutturale». E quando le chiediamo chi sono i poveri di Martina, ci risponde: «Non è possibile fare un quadro preciso della situazione, ma negli ultimi anni ho visto aumentare notevolmente le persone sole, uomini o donne di mezza età, che non hanno nessun tipo di reddito. Molto spesso la loro sopravvivenza si basava sulla pensione dei genitori e, venuti a mancare questi, non sanno più come andare avanti».
Una ulteriore misura per comprendere il fenomeno “povertà” a Martina, potrebbe essere quello del contributo integrativo del canone d’affitto. Sono soldi che la Regione affida ai comuni per aiutare le persone a fronteggiare le spese per la casa. Per accedere non bisogna superare il reddito di quattordici mila euro annui. L’ultimo dato disponibile è quello del 2007, in cui un totale di 503 famiglie hanno avuto accesso al contributo.
Quanto siamo poveri
Questi numeri possono raccontare la realtà fino ad un certo punto, dato che ad essi sarebbe necessario aggiungere tutto quello che è sommerso, tutti coloro che fanno la fila nelle sacrestie per avere un conforto non necessariamente spirituale. La Caritas di San Francesco prende in carico una media di venti casi all’anno, a cui fornisce pacchi viveri o piccole somme di denaro. Ma non è la norma a Martina: alcuni sacerdoti non sembrano essere molto sensibili nell’accoglienza dei poveri.
Un percezione migliore del fenomeno si ha girando per il mercato, oppure dando un’occhiata alle vie dello shopping cittadino e alla loro desolazione. La spirale è chiara: per garantirsi un maggior profitto si punta o sul precariato o sulla delocalizzazione dell’impresa. Si abbassa in questo modo il costo del lavoro ma contemporaneamente si inizia a licenziare o a pagare salari più bassi. Questo crea sacche di povertà che non potendo più garantire un numero costante di consumi provoca una crisi. I numeri martinesi sono preoccupanti, ma non sono ancora diventati allarmanti. Non dobbiamo però rattristarci: l’ottimismo è il profumo della crisi…
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