Educazione interculturale

Dall'Intolleranza al Razzismo

Il Dovere di Ricordare
Laura Tussi25 maggio 2009

amicizia


L'intolleranza consiste nell'atteggiamento abituale di chi avversa le opinioni altrui, specialmente in materia politica e religiosa.
È un atteggiamento improntato ad una rigida e risentita chiusura dogmatica nei confronti degli altri, che si manifesta dalle origini dell'uomo, con la sottomissione degli schiavi, le persecuzioni degli eretici, l'antisemitismo e con fatti di violenza verso i migranti e i non comunitari.
L'intolleranza si manifesta anche contro i Sinti e i Rom perché gli abitanti delle nazioni che li ospitano si considerano appartenenti ad una patria costituita da una sola razza, poiché lo spirito nazionalistico li rende ostili a razze diverse.
Attualmente l'intolleranza ha raggiunto livelli non più sopportabili a causa della convivenza tra popoli differenti ed è motivata da un'ignoranza diffusa rispetto alle persone che la società reputa diverse, perché la gente ha sempre paura dell'ignoto e di tutto ciò che è estraneo e sconosciuto.
Un motivo che alimenta l'intolleranza è la mancanza di valori da parte delle persone che maltrattano i migranti e i non comunitari.
Anche in politica è diffusa l'ostilità.
Infatti, in modo frequente, in televisione, nei dibattiti e nei telegiornali si può assistere a discussioni molto animate tra uomini politici e anche queste sono forme di intolleranza.
Sembra impossibile che dalle scoperte di Mendel, il mondo debba ancora essere turbato dal prolungato uso del concetto di razza, reso insostenibile dallo sviluppo della genetica moderna.

La complessa opera di educazione e istruzione dello Stato popolare deve trovare il proprio coronamento nel riuscire a far diventare istintivo il sentimento di razza nel cuore e nel cervello della gioventù. Nessun fanciullo e nessuna fanciulla deve lasciare la scuola senza essersi reso conto fino in fondo dell'essenza della necessità della purezza del sangue.

Queste parole di Adolfo Hitler nel Mein Kampf inducevano alle incredibili crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio.
La biologia moderna ha dimostrato che il concetto di razza e di sangue sono infondati.
La genetica ha mostrato come non esiste una purezza di caratteri ereditari entro popolazioni umane. Nonostante questi fondamentali principi scientifici, si manifestano attualmente forme di razzismo nei confronti degli ebrei e di tutti i “meridionali” e i diversi del mondo.
Il termine razzismo indica l'ideologia che distingue la razza umana divisa in razze superiori ed inferiori e che prevede la supremazia della razza forte su quella più debole.
Attualmente e in passato, le vittime di questa ideologia razzista sono state la razza nera e quella ebrea.
Il razzismo comporta pregiudizi, stereotipi mentali, presenti nella società, che se anche non necessariamente si esprimono in discriminazioni, possono essere sfruttati da movimenti politici radicali, che tentano di mobilitare in lotte assurde e incivili, in nome della supremazia del più forte sul più debole.
In Germania avvengono ancora manifestazioni neonaziste, dove, da una parte, si distinguono i nostalgici, i veterani di guerra, e dall'altra stanno invece giovani estremisti per cui il nazismo è un elemento di aggregazione.
Questi ultimi, detti naziskin, hanno bisogno dell'autorità di un capo che li guidi e abbia capacità di scelta e dia loro l'impressione di essere forti e non avere paura di niente.
L'intolleranza è diffusa e radicata nella nostra società, come violenza morale e fisica manifestata contro le persone portatrici di una diversità, tra cui gli ebrei, gli immigrati, le persone di colore, gli omosessuali.
L'intolleranza si manifesta in forma violenta e pericolosa.
I naziskin si rifanno agli ideali nazisti di violenza e intolleranza contro una vasta gamma di tipologie di persone considerate inferiori e diverse.
In Italia, oltre al problema naziskin, esiste il razzismo che rappresenta l'intolleranza per eccellenza. Cosa è possibile fare per escludere questo problema dalla società? Risulta necessario eliminare le discriminazioni anche all'interno di uno stesso popolo, per esempio in Italia, tra settentrionali e meridionali, perché prima di giudicare occorre conoscere.
Il razzismo, che per anni è rimasto sotterraneo, tenuto a bada perché combattuto dai partiti di sinistra, dall'associazionismo cattolico, trova adesso legittimità, in un momento di crisi economica, politica e culturale, nei fenomeni di violenza di gruppo, nei gruppi di tifosi intolleranti, nelle ronde organizzate, che fomentano raduni per eliminare lo straniero, l'immigrato, il diverso.
La crisi economica, morale e culturale che colpisce il nostro paese rischia di travolgere anche le ultime trincee della solidarietà e dell'aiuto reciproco, dove il vero problema è quella sorta di indifferenza e di silenzio che ottenebra le persone.
Ciò che più meraviglia è che proprio l'Italia, un Paese risorto sulle ceneri del regime fascista, trova difficoltà a reagire al problema del razzismo e non riesce a trovare nella propria storia e nella sua memoria gli anticorpi per risolverlo.
Stiamo perdendo la memoria storica e un popolo senza memoria non ha futuro.
Cresce sempre il rischio che si diffondano maggiormente atteggiamenti razzisti come conseguenza dell'insicurezza generale che si vive con la crisi economica, morale e culturale.
In un periodo di profonda incertezza politica, le paure vengono amplificate e cresce così la necessità di difesa.
Tutti in un certo senso siamo razzisti, almeno implicitamente nei fatti, nel silenzio, nella debolezza delle reazioni, nella scarsa volontà di capire, nell'esibire striscioni razzisti allo stadio.
Il paradosso di questo nostro Paese è che la parola solidarietà appare vuota e inutile anche se viene costantemente ripetuta e gridata.
Il razzismo si deve affrontare non solo sul piano politico e psicosociale, ma anche sul piano globale, a livello culturale.
L'oscuramento della ragione si deve all'aver accolto, forse all'inizio inconsapevolmente, per una scarsa coscienza morale, i miti dell'intolleranza fanatica, della disuguaglianza tra gli uomini e della conseguente riduzione dell'avversario a una condizione subumana e della convinzione della sovrumana qualità del proprio gruppo perennemente costretto a difendersi dall'oscura congiura dei sottouomini corruttori della propria razza primigenia e perfetta.
L'ignoranza degli avvenimenti della nostra storia recente è causata non soltanto dai programmi scolastici e nemmeno dal poco tempo che rimane all'insegnante di storia, oppresso dalla vastità della materia, ma dalla coscienza civica di ogni singolo individuo nella scelta di trasmettere quanto è avvenuto con il dovere di ricordare.
Il contatto diretto con i protagonisti dei lager è l'aspetto più affascinante, ma anche pericoloso della storia orale perché inevitabilmente soggetto all'emotività.
Quello che manca delle testimonianze è un quadro complessivo, una serie di narrazioni che permettano un paragone, un confronto tra diverse storie ed una racconto del quotidiano, delle giornate sempre uguali e spossanti, nell'obiettivo e nel fine ultimi del deportato: arrivare a sera, rimanendo vivo.
La resistenza alla spersonalizzazione e all'annientamento era costituita da piccoli episodi, che si presentavano ogni giorno e dovevano essere superati se si voleva, e poteva, evitare di essere sommersi.
È possibile essere nazisti, in maniera praticamente inconsapevole, anche in un paese democratico, attraverso quella promozione istituzionale dell'aggressività che consiste nel far parte delle forze armate e di sicurezza, le quali sono considerate indispensabili anche in un paese che voglia mantenersi neutrale.
Forze di polizia ed eserciti rappresentano una riserva di aggressività istituzionalizzata e autorizzata, con il fine di conservare il sistema, generando dimestichezza e abitudine all'aggressività, confermando una cultura della violenza suffragata e dimostrata dai mass media.
Un altro esempio di promozione istituzionale è l'emarginazione.
In ogni paese considerato civile sussistono organizzazioni pubbliche e private che si occupano istituzionalmente del controllo della devianza, che viene così messa sotto controllo per non nuocere e non creare problemi.
Dunque occorrono dei devianti per attribuire al resto dei cittadini la patente di normalità.
Questo accade nel nostro mondo equilibrato e civile come ha assunto connotazioni drammatiche nell'Europa nazista e attualmente ancora negli Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente negati e violati.
Il disimpegno è un altro esempio di promozione istituzionale che privilegia lo status quo, il noto, il già collaudato, le mode e la non partecipazione attiva, la stasi e la non consapevolezza.
In questa mentalità sono inserite anche la scuola, le istituzioni politiche, culturali e religiose quasi a sottolineare che il pensiero sociale, progressista e lungimirante non paga, sia a livello individuale, sia collettivo.
Questo atteggiamento molto diffuso ha vantaggi in termini di governabilità, perché la banalizzazione dell'esistenza, la minaccia dell'emarginazione, se non si seguono le leggi della subcultura del proprio gruppo di appartenenza, l'aggressività e la violenza vissute come valore accettabile in determinati contesti, sono la risoluzione per governi mediocri, in lotta per la supremazia e per garantire a chi detiene il potere la minore opposizione possibile, dove i mass media sono in grado di pubblicizzare rapidamente il nemico e il capro espiatorio, come la minoranza etnica, l'atto terroristico, la catastrofe ecologica, fino al più banale dei fatti di cronaca.

Laura Tussi

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