Il Sessismo in Filosofia
“La diversità è la base su cui si costruisce la vera uguaglianza”.
Moni Ovadia.
In questo tempo in cui "apparentemente" sembra che l'evoluzione della donna abbia raggiunto il suo culmine e che i diritti ed i doveri di parità tra uomo e donna sono stati raggiunti, confermati e legiferati dalla società italiana, adesso ci si potrebbe interrogare su cosa potrebbe mancare ancora.
Esiste tutt'oggi la necessità di richiamare l'attenzione sulla questione femminile: che cosa di fatto ancora discrimina?
Sembra che ci sia un’ unica risposta: il costume, l'atteggiamento quotidiano, un progetto educativo che ancora non tiene conto neppure di quei cambiamenti che la legge impone, preconcetti peraltro duri a morire; un prendere in considerazione la donna come persona, come partecipe della comunità secondo modelli superati dalle proposte della società civile, impone una nuova riflessione.
La filosofia veicola contenuti sessisti più di ogni altra disciplina. Una semplice strategia critica può solo scalfirne la superficie concettuale senza intaccarne però il nucleo valoriale perché il costrutto androcentrico della filosofia risulta talmente sedimentato da non esserne minimamente intaccato.
Il carattere patriarcale dell'impianto filosofico deve essere constatato e segnalato da un nuovo smascheramento critico, da una strategia operativa, in quanto corrisponde ai principi elementari di correttezza, in senso antidiscriminatorio, come deve implicare la strategia educativa di una società democratica. Dunque il silenzio rispetto al modello patriarcale soprattutto nella filosofia si estende al patriarcalismo nell'intera tradizione, in quanto la cultura misogina viene tramandata complessivamente, opponendosi così ai presunti ideali egualitari della società democratica.
Dunque la discriminazione sessista e la misoginia risultano un modello interpretativo marginale che non confuta la validità universale della disciplina filosofica.
La supposizione che Heidegger con il proprio pensiero abbia sostenuto l'ideologia nazista, infastidisce la comunità intellettuale contemporanea, ma invece la certezza che la filosofia tradizionale sia sessista, ossia discriminatoria nei confronti dell'universo femminile, suscita solo una indulgenza divertita.
Per questo le filosofie femministe contemporanee si adoperano per smascherare la complicità misogina e discriminatoria supportata da tale indulgenza.
La problematica principale consiste nel comprendere la motivazione per cui la filosofia contemporanea e l'editoria scolastica continuino a nascondere gli aspetti palesi di tale sessismo discriminatorio. Comunque non si eliminano la misoginia e il sessismo censurando i passi o i testi filosofici dove essi appaiono più espliciti, ma rivelando la loro presenza nella teoria disciplinare. Finché si tace sul fenomeno sessista e se ne cancella la realtà, diventa molto difficile la sua eliminazione.
Le studiose femministe decostruiscono i testi filosofici per dimostrare come la concezione fallologocentrica non rappresenta un aspetto irrilevante, ma è fondante dell'assetto strutturale ed epistemico della disciplina che si moltiplica negli snodi della teoria.
Per esempio della dottrina politica di Aristotele in un manuale tradizionale è esposta la celebre definizione per cui l'uomo è un animale fornito di logos e dunque un animale politico, quindi con una duplice funzione di “cittadino” nella polis e “padrone”, in ambito domestico, della moglie e degli schiavi. Questa affermazione risulta chiosata con l'esplicitazione che lo schiavismo e la subordinazione delle donne erano costumi normali.
La decostruzione femminista tende a riflettere la dicotomia tra sfera politica e sfera domestica. Queste affermazioni concettuali segnalano che la filosofia politica risulta costruita su fondamenti logici da cui le donne sono strutturalmente assenti e escluse. Quando la filosofia ripensa la politica questo fondamento concettuale rimane sintomaticamente identico.
Anche Hobbes e Locke, conclamati fondatori dello stato moderno e del teorema dell'uguaglianza, comunque non contemplano le donne fra coloro che suggellano il patto sociale. Nella prima prospettiva aristotelica la subordinazione della donna sembra dovuta ad un inevitabile ritardo della storia, come se, ammesse a pieno titolo anche le donne nella definizione di “animale razionale”, il difetto risulterebbe superato, ma questo presupposto è falso dal momento che la moderna inclusione delle donne nello statuto libero e razionale del soggetto, non elimina la dicotomia tra una sfera pubblica, pensata come innaturalmente maschile, e una sfera domestica, pensata invece come inevitabilmente femminile. Il legame tra l'universalizzazione della sostanza maschile dell'uomo e del soggetto e la dualità dicotomica tra pubblico e privato risulta strettissimo e coerente, perché risulta incluso in un sistema con risvolti fallocentrici che ne costituiscono l'essenza. La seconda prospettiva filosofica (Hobbes e Locke) focalizza la questione della differenza sessuale, assumendola come criterio della decostruzione delle discipline filosofiche. Dunque la questione della differenza sessuale e di genere orienta lo stesso orizzonte di fondazione di queste teorie, in una posizione non oggettiva e universale come quella tradizionale, ma con una prospettiva dichiaratamente parziale.
La categoria di differenza sessuale mette in evidenza la dualità dei sessi e che nessuno dei due sessi può ignorare la sua parzialità spacciandosi e contrabbandandosi per l'intera specie umana. Per il mondo maschile questo implica la rinuncia al privilegio della tradizionale universalità attribuita al proprio sesso e quindi il reidentificarsi, come parziali e impossibilitati a rappresentare l'intera specie umana e a riconoscersi in essa.
La differenza sessuale implica che originariamente non sussista l'uno, ma il due, ossia i due sessi, e il differire, la differenza tra i due sessi, senza che nessuno dei due sessi costituisca il prototipo originale da cui l'altro sesso differisce. Invece il termine Uomo ritaglia un'orizzonte simbolico in cui il prototipo dell'umanità è maschile. In questa modalità il mondo femminile può rientrare nel concetto “umanità” nella misura in cui differisce dal prototipo come una specificazione interna. Di conseguenza, la differenza non risulta più costitutiva di entrambi i sessi, ma diviene una differenza specificante, derivata, secondaria, in quanto il maschile della specie umana risulta universale, perché indica entrambi i sessi, mentre il sesso femminile ne risulta una sottospecie.
La filosofia opera per una costruzione oggettiva e veritiera della valenza universale del termine Uomo, basandosi su un pensiero che indaga l'entità dell'uomo, definendone la natura. Il termine uomo tende ad essere sostituito con termini astratti come soggetto, individuo, persona la cui stessa astrazione ne rafforza la valenza universale, ma non ne smentisce l'essenza maschile. Sotto queste maschere terminologiche sussiste sempre il prototipo originale che assolutizza i due sessi e si ostina a pensare la differenza sessuale come sottospecificazione piuttosto che differenza, in un'etica virile ed invasiva, presentandosi come universale. Questi sintomi evidenti segnalano il fondamento sessista di tale pretesa universalità. La relazione gerarchica tra ragione e passione risulta valida sia per il soggetto maschile sia per il suo rapporto con l'altro sesso, per cui la rappresentazione femminile, quale soggettività umana incompiuta, la inserisce al livello alogico della passione. Di conseguenza se il soggetto maschile costituisce il versante etico sul proprio autodisciplinamento riesce a inserire in questo quadro valoriale il ruolo subordinato del sesso opposto. Focault sostiene così che subentra “una morale virile, in cui le donne non entrano che a titolo di oggetti o al massimo di partner che è opportuno formare, educare e sorvegliare”. In questo modo l'etica legittima i consueti stereotipi del maschile e del femminile. La questione fondamentale è filosofica e coincide con la scelta fra il contraccambiare per universale una prospettiva maschile o decidersi a segnalare tale discriminazione, in quanto la scuola è tenuta a formare e non a conformare. La tradizione dell'universalismo androcentrico e fallocentrico trasmette una modalità culturale dove l’”altro”, non solo l'altro sesso, ma qualsiasi “altro”, viene impostato gerarchicamente in un ruolo inferiore.
Il modello androcentrico è sessista e razzista perché si pretende universale, in quanto discrimina ogni differenza culturale, etnica e sociale.
Infatti l'individuo, il soggetto Uomo è maschio, ma anche bianco e ricco di risorse e tende a giudicare e misurare gli altri popoli e le altre culture come differenza in ritardo, in errore e nell'incompletezza in rapporto ai valori universali dell'Occidente. La tradizione filosofica che crede il primato dell'uno rispetto alle differenze non è imparziale perché non concede spazio all'alterità. L'atteggiamento ovvio e scontato del patriarcalismo consiste nell'estendere agli altri il proprio modello, inglobando e uniformando ad esso, rinunciando alla differenza, per cui il dissimile deve assimilarsi. Infatti l'attuale fenomeno della globalizzazione appartiene a questa logica. Naturalmente la storia della filosofia comporta anche razzismi palesi, come il mito del buon selvaggio, ma più ardua risulta l'operazione di esplicitare il connubio tra razzismi palesi e il sistema di pensiero che ne legittima la produzione.
Il sistema filosofico sessista ha matrice nel modello dicotomico strutturato su serialità gerarchiche e oppositive, che non prevedono semplicemente due poli paralleli ed equamente classificati, ma presuppongono la centralità del polo positivo opponendogli una negatività, per cui ogni opposizione risulta una subordinazione. Con la definizione di uomo maschio, adulto e libero, seguono logicamente una serie di opposizioni come maschio/donna, adulto/minore, libero/schiavo, nello stesso identico sistema in cui si iscrivono tutte le serie di opposizioni gerarchiche e di conseguenza discriminatorie note alla storia quali ricco/povero, bianco/nero, civilizzato/primitivo, industrializzato/arretrato, eterosessuale/ omosessuale sino a giungere al delirante ariano/ebreo. Si tratta di opposizioni dicotomiche duali, che confermano l'idea della logica principale di tale economia binaria che si fonda e si basa precipuamente sulla differenza sessuale come fattore primario della dualità che sussiste nell'umanità, nella specie umana. La serie di opposizioni gerarchiche coincide sempre nello stesso cardine, ossia l'assunzione della differenza sessuale come dicotomia oppositiva e gerarchica. L'elemento maschile funge da soggetto strutturante e sovrano.
La differenza sessuale presenta una dimensione trasversale rispetto a questo sistema gerarchizzante e dicotomico. Infatti il sessismo è un fenomeno presente sia nei termini oppositivi che rappresentano il polo subordinante sia nel polo subordinato di tali opposizioni razziste. Per esempio, la dicotomia eterosessuale/omosessuale presenta il primo termine contenente infatti la modalità patriarcale che subordina il femminile, mentre il secondo termine “omosessuale”, appunto, raggruppa gli uomini e le donne che derivano dal modello patriarcale. Tutto appunto dipende da un significato di differenza sessuale e da una categoria di differenza interpretata come inferiorità e tradotta come discriminazione. Ma il superamento delle forme discriminatorie è attribuito al valore dell'uguaglianza come ideale e eliminazione di ogni differenza e non come base su cui impostare e legittimare la differenza, come il principio ispiratore di una nuova società non più sessista e razzista. Il principio di uguaglianza e l'ordine sociale e culturale che si ispira ad esso sembrano suffragare atteggiamenti di sessismo e razzismo.
In virtù del modello egualitario il sessismo e il razzismo si rivelano tali.
I valori e gli ideali antidiscriminatori del mondo attuale sembra che funzionino da criterio per leggere il carattere discriminatorio della tradizione.
L'ordine fallogocentrico della tradizione si rivela, osservando la prospettiva del principio egualitario, che non è il frutto di un'analisi teorica che rappresenta una struttura sociale veramente egualitaria. Il principio di eguaglianza risulta solamente elaborato dalla teoria e non coincide con una società di uguali diritti nella pratica, alimentando il divario tra uguaglianza sostanziale e formale. Il modello egualitario dichiara annullate le differenze tra uomini, ma non supera le discriminazioni della differenza sessuale. Dunque il principio di uguaglianza risulta rivoluzionario per le differenze degli uomini, ma è estremamente conservatore per il mondo femminile. Il principio di uguaglianza risulta rivoluzionario perché supera il sistema predominante basato su differenze di diritto, doveri e poteri, mentre si rivela conservatore perché non intacca l'antica distinzione, presente nella politica di Aristotele, fra una sfera pubblica, naturalmente concessa agli uomini e una sfera domestica destinata alle donne. La problematica dei diritti politici coinvolge anche la questione dei diritti sociali e civili, in una logica che travalica un vecchio ordine politico basato sulle differenze tra uomini, con un nuovo sistema politico incentrato sull’ uguaglianza tra uomini, rivolgendosi però agli uomini intesi come maschi, in quanto l'ipotesi teorica che stabilisce il principio di eguaglianza risulta attribuita a essere umani di sesso maschile.
L’integrazione delle differenze
Riconoscere la soggettività della donna corrisponde a riconoscere anche la differenza: la pari dignità non viene stabilita sulla base di una omogeneizzazione dei due sessi, ma sulla identificazione della differenza come valore. Non si vuole qui fare l’elogio del pensiero della differenza sessuale (che è comunque un momento alto della partecipazione femminile all’elaborazione culturale), ma sottolineare ancora una volta che la rilevazione della differenza sessuale come positività dà diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica, culturale appunto, ma anche di età, di salute, di stato sociale ecc.). Ciò sembra importante soprattutto in un momento in cui le differenze etniche-culturali stanno spaccando nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie diverse, in tanti piccoli satelliti.
Rimane certamente un problema quello delle varie forme di discriminazione e di violenza sulle donne e sulle bambine. Una questione grave è il precariato sul lavoro, il cosiddetto mobbing e la precedenza data al licenziamento, o alla messa in cassa integrazione, delle donne nelle situazioni di chiusura totale o di de-localizzazione delle aziende. Legati al fenomeno dell’immigrazione ci sono i problemi dello sfruttamento e del traffico di donne. Di crescente rilievo sociale, giuridico e morale è la piaga culturale che riguarda quelle donne immigrate le quali, lavorando in particolare quali badanti o infermiere nelle nostre case e nei nostri ospedali, fanno partecipi le nostre famiglie dello stato di disagio in cui si trovano le loro stesse famiglie rimaste nei paesi di provenienza: prive di madri, figlie, sorelle… La sfida del ricongiungimento del nucleo familiare ci coinvolge nel nostro più intimo vissuto quotidiano.
Partire dai diritti umani delle donne e delle bambine porta a considerare con mente nuova la pratica della socialità, della politica, dell’economia, dell’educare e del formare per un avvenire globale completo. Alla fine non può non scattare una più avvertita consapevolezza del valore della centralità della famiglia, del rilievo e della irrinunciabilità degli essenziali servizi sociali, della necessità di politiche pubbliche sostanziate di adeguate risorse.
E’ stato grande l’apporto femminile nella crescita globale dell’attenzione e responsabilizzazione verso i soggetti più deboli (bambini, anziani, handicappati) che, essendo un tempo gestiti individualmente dalle donne nell’ambito familiare, poi non venivano presi in responsabilità dal sistema sociale. Altrettanto grande è stato il contributo femminile alla sensibilizzazione verso le tematiche ecologiche, alla tutela e preservazione dell’ambiente, legata anche all’antica consuetudine, come donne, della gestione del quotidiano. Al femminile è la presa di coscienza dei grandi temi della pace, del ripudio della guerra, delle denunce alla violazione dei diritti umani in ogni realtà. Non vi è dubbio che per portare avanti un impegno in prima istanza individuale, una presa di coscienza, e poi collettiva, le donne devono innanzitutto conoscere e riconoscere se stesse per poter chiedere all’alterità un corrispondente riconoscimento. In questo senso le donne devono compiere ancora lunghi percorsi di emancipazione. In alcuni casi debbono creare e ricreare immagini di sé che non hanno avuto, non limitandosi ad un inventario dell’esistente, della realtà di fatto, del contingente.
Le culture si sono sviluppate sui tentativi successivi degli umani di superare le diversità, di colmare lo scarto, di rendere realizzabile l’utopico. La rivelazione della differenza sessuale come positività, attribuisce diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze, etniche, culturali, ma anche di età, intergenerazionali, di salute, di stato sociale. Questo è importante soprattutto in un momento in cui le differenze etnico-culturali sgretolano nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie diverse, in tanti piccoli satelliti. La differenza di sesso è forse attualmente quella che subisce i maggiori attacchi. Anche le scienze dimostrano che riconoscersi in un sesso è un processo culturale oltre che fisiologico e psichico. Le elaborazioni del neofemminismo hanno dimostrato che la partecipazione delle donne ai processi culturali è stata di notevole spessore, anche se sotterranea, tacita, priva di protagonismi, quasi ignorata dalle donne stesse.
Proprio nella quotidianità e non nelle orchestrazioni metafisiche si gioca il senso più rilevante della nostra esistenza, anche come donne. In questo senso Hannah Arendt scriveva con evidente lucidità: “E’ vano cercare un senso nella politica o un significato nella storia quando tutto ciò che non sia comportamento quotidiano o tendenza automatica è stato scartato come irrilevante”.
Abbiamo come donne forza, tenacia, creatività, capacità di resistenza anche in situazioni di tensione. Abbiamo anche una certa “innocenza” che deriva dal fatto di essere state lontane dai luoghi di potere.
Abbiamo dimestichezza con le origini della vita e della morte: “sappiamo” per retaggio atavico. Eros e Tanatos trovano ricomposizione nella nostra stessa esistenza.
Dobbiamo innanzitutto riuscire ad utilizzare le forze positive che si liberano nell’inevitabile conflitto tra i “diversi”, per sesso, per età, per cultura, come stimoli a cambiare, a crescere, neutralizzando la parte negativa del conflitto che si esprime in prevaricazione, ricerca di possesso dell’altro, tentativo di omologazione dell’altrui diversità ad un modello costruito a nostra immagine e somiglianza o per nostro tornaconto.
Il conflitto sessuale non è a se stante, ma partecipa di una conflittualità che permea tutto il reale, perché è un atto creazionale, proiettato nell’avvenire.
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