Gli atteggiamenti educativi emozionali e di controllo comportamentale incidono sulle modalità di impostare la relazione educativa con gli allievi, dal momento che non sono delle dimensioni isolate, ma interconnesse ed interdipendenti con l’impostazione complessiva della personalità globale dell’insegnante. Le convinzioni socio-politiche, la visione del mondo e dell’uomo, gli atteggiamenti verso le persone in divenire, il modo di porsi rispetto al compito educativo e in rapporto a se stessi sono istanze comportamentali e modali che sono comprese nel sistema interdipendente della personalità. Mentre non esistono divergenze tra gli studiosi dell’interazione educativa sul fatto che gli atteggiamenti educativi sono strutture interdipendenti, non esiste invece unanimità nell’individuazione dei criteri su cui fondare tali atteggiamenti. Kessel, uno studioso marxista, afferma che solo gli insegnanti con un chiaro e fondato atteggiamento favorevole alla società socialista stabiliscono significative relazioni sociali. Secondo la Psicologia Individuale di matrice adleriana, il rapporto educativo deve essere fondato sull’interesse sociale.
Secondo la psicologia di orientamento cristiano, gli atteggiamenti educativi sono validi se fondati sulla carità e responsabilità, per altre correnti di pensiero sono validi se fondati sul senso democratico. Da questi esempi risulta che gli atteggiamenti educativi positivi sono considerati come possibili solo se radicati in specifici sistemi motivazionali di tipologia prosociale. La formazione o la modifica degli atteggiamenti educativi degli insegnanti non devono essere considerate attraverso dinamiche processuali orientate su principi pedagogici, ma devono comprendere l’intero paradigma sistematico di convinzioni ed atteggiamenti dettati dalla personalità. La modalità tramite cui l’insegnante definisce il suo rapporto relazionale con gli allievi, influisce sulle vicendevoli relazioni e modalità di approccio e di rapporto all’interno della classe. Nel momento in cui l’insegnante stabilisce un contatto in cui gli allievi si sentono accettati e stimati come persone e quando esercitano una funzione di guida in modalità sociale e integrativa, allora gli allievi non solo si sentono valorizzati, ma motivati a sentirsi come attori interagenti nel gruppo classe. A questo punto ci si chiede se è possibile educare alla pace e creare un clima scolastico in grado di dare sicurezza agli alunni e agli insegnanti e di sviluppare al massimo le risorse di ciascuno. Per coloro che hanno risposto negativamente, il rapporto educativo è una questione di potere, di controllo, di trasmissione efficace di contenuti da depositare nella memoria degli allievi. Per coloro che non sono stanchi di provare, di cercare rapporti di reciproco adattamento creativo e nonviolento, dentro una realtà strutturale che permane ancora ostile a queste mete, valgono gli obiettivi che sempre i migliori educatori hanno saputo conseguire, quali il mutuo insegnamento, la cooperazione, la fiducia e l'accettazione reciproca, il confronto aperto e alternative nonviolente nei conflitti nella comunicazione circolare e non unilaterale, con lo scambio continuo fra educazione e vita personale e sociale.
La valorizzazione personale nel gioco e nel lavoro di gruppo
Fin dalla scuola materna facilitare il gioco simbolico significa indirettamente agevolare la collaborazione e cooperazione nei contesti di gruppo. Occorre non interrompere la capacità del bambino di agire e interagire con una realtà inventata che è il duplicato della realtà quotidiana in cui è immerso. La capacità inventiva e di finzione si sviluppa ed evolve nella drammatizzazione, nel gioco di ruolo, nel teatro che costituiscono mezzi imprescindibili per lo sviluppo della creatività. La scuola, nel corso delle varie età evolutive, può utilizzare in un progetto di educazione alla pace il teatro e la drammatizzazione, al fine di mettere in scena i conflitti che insorgono nel gruppo classe, come anche tra le fasce e i livelli sociali e tra le nazioni. La simbolizzazione della rappresentazione teatrale e della drammatizzazione è facilitata dal decentramento dalla realtà in modalità sia verbali che ludiche, e costituisce la condizione per l’invenzione di strategie diverse maggiormente mediate e complesse rispetto a modalità aggressive adottate nella risoluzione delle situazioni sociali critiche. Ma la ricerca di soluzioni e alternative diverse non risulta attuabile se l’adulto interviene sempre dogmaticamente nell’imporre le proprie idee risolutive e strategie chiarificatrici. I bambini presentano generalmente una maggiore carica di aggressività dimostrando una inferiore capacità orientata al comportamento collaborativo, laddove l’adulto interviene in modalità sistematica ed incisiva nel dirimere sempre le contese infantili, imponendo definitivamente la propria soluzione al conflitto. Se l’obiettivo che l’adulto si propone è quello che i bambini giungano ad acquisire la capacità di reinventare e rielaborare la realtà, occorre facilitare questa operazione, tramite i mezzi e gli strumenti della simbolizzazione ludica e verbale. La valorizzazione del gioco e del lavoro di gruppo, quale momento di confronto, obbliga il bambino a rispettare i pareri altrui e a tenere conto delle opinioni di tutti, negoziando con gli altri soluzioni alternative. Il gruppo stimola e sollecita il bambino a confrontarsi ed incontrarsi con le opinioni ed i pareri altrui, facilitando un decentramento dal sé e dalle proprie posizioni, aprendo il pensiero al dialogo, alla comunicazione nella condivisione e comprensione degli altri. Questo ruolo positivo e altamente propositivo esercitato dal contesto di gruppo non si esplica automaticamente, per il semplice fatto che i bambini stanno insieme, ma solo se sono state soddisfatte in precedenza le condizioni quali la sicurezza, il confronto, la decentrazione cognitiva dalle proprie opinioni e se il bambino ha già raggiunto una buona capacità di simbolizzazione, senza cui nel gruppo subentrerà solo scontro, competizione e non progresso verso la collaborazione.
Laura Tussi
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