In alcune canzoni il camorrista è dipinto come un eroe, un condottiero

"Il mio amico camorrista"

In un’affollata sala del Parco della musica a Roma, accolto da un affettuosissimo applauso, lo scrittore Roberto Saviano riesce a ridere insieme al pubblico parlando dei "cantanti neomelodici". Ma invita a non trascurare un sud vitale e dolente e soprattutto i suoi giovani
4 aprile 2010

 

Roberto Saviano

Lo aveva annunciato poco prima della conferenza, durante la diretta dalla Festa del libro trasmessa da Radio3 Suite: “Parlerò stranamente di qualcosa di divertente”. Accolto nella sala Sinopoli con calore, Roberto Saviano ringrazia il pubblico, e anche la scorta che non si è arrabbiata per l’invito accettato... Poco abituato a vedere tante persone, si dice contento che ci si possa guardare negli occhi. Quindi passa a raccontare il Sud attraverso la musica – il tema della conferenza – che significa in questo caso presentare i cantanti neomelodici e dar loro la parola. Naturalmente grazie a You Tube. E’ un fenomeno che ha al suo centro Napoli, ma non si ferma a questa città. Questi cantanti hanno un successo invidiabile e un mercato anche nelle altre regioni del Sud, come la Calabria o la Puglia.

Si comincia subito con una stranezza che fa sorridere: “Questi cantanti si autofalsificano…”, immettono sul mercato migliaia di loro falsi CD, sconfiggendo così la concorrenza dei pirati.

Sono voci forti, veri professionisti, ma... “non crederete alle vostre orecchie”, aggiunge. E in effetti  le canzoni hanno dell’incredibile! Lo scrittore proietta alcuni video rintracciati su You Tube. 

Il mio amico camorrista

La prima canzone che ascoltiamo la canta Elisa Castaldi e si chiama “Il mio amico camorrista”. Nel video le immagini ruotano intorno a un giovane di bell’aspetto e occhiali scuri e la cantante funge da narratrice.  Il camorrista è un eroe, segnato dal suo destino di condottiero. Ha folle di ragazzi con sé. “Bastano due parole: andate là… E’ un uomo pieno di qualità...” (le risate in sala sottolineano i passaggi più suggestivi).  Con la paura e col coraggio va a braccetto. Rischia la vita e la libertà”.

Anche il secondo pezzo, “O killer”, non è da meno. Lo canta Gianni Vezzosi: “Inizio questa giornata facendo male a questa città... Uccido questo o quello... Del denaro che me ne devo fare? Non posso stare insieme ai figli e a mammà!” Il killer  tornerebbe indietro, ai tempi in cui per strada non doveva avere paura. E’ stanco e non vuole più essere comandato.. la famiglia lo aspetta. Si capisce però che quello che importa non è uccidere o non uccidere: il killer, solo e poco libero nei movimenti, in fondo lamenta un problema tecnico.

In qualunque altro posto una cosa simile sarebbe impensabile. Anche in un dialetto diverso l’autobiografia del killer suonerebbe stonata, e suonerebbe inconcepibile un accostamento così diretto tra l’immagine di un assassino e il tenero pensiero della casa e dei bambini.

Questa prima inquietante trilogia si conclude con “Nu latitante”, di Tommy Riccio. Oltre 780.000 clik (ascolti), al momento. Si racconta la stessa sofferenza, la valigia fatta in fretta, il ricordo di un amore da cui ci si separa, gli occhi dei bambini. “Nu latitante non tiene più niente, l’ultimo amico diventa importante… per portare un regalo a chi aspetta a papà”. Poi c’è il dialogato: i bambini, tristi, ricevono il regalo, la mamma risponde alle loro domande e poi piange, il ricordo dell’ultima domenica in famiglia si affaccia in bianco e nero, splendidamente descritta in poche immagini: la sveglia con il caffè, i bimbi nel lettone...

Fammi la carità … non mi svegliare!

Si passa poi a temi più leggeri. Un padre rimprovera bonariamente il figlio prendendo spunto dalla descrizione della bella fidanzatina, per i cui occhi il ragazzo si è perso e ”sta comprando Napoli”. Insomma sperpera i soldi guadagnati dal padre (il titolo della canzone è “Bancomat ogni mattina”). Però il ragazzo non è un delinquente! “Io sono già contento che non mi fai piangere. Sono fiero di te”. Addirittura fiero! La canzone successiva (di Ciro Rigione) si chiama spudoratamente “Odio lavorare”. Descrive la tortura del risveglio ogni mattina e il sogno di passare giornate oziose, insieme a propri simili altrettanto ispirati.

In queste canzoni ci sono feste, passioni, difetti e gesti familiari. Alcune mettono insieme anche nel titolo musica, macchine e donne, stereotipi e vecchi pregiudizi. Le ragazze che non cedono sono le regine di alcune canzoni di Gigi D’Alessio; poi ci sono le donne legate per sempre che non si libereranno facilmente. “Anna si sposa…  già tene ‘a casa” (risate nervose in sala di chi non riesce a trovarne una...).  Se davvero ti sposi in chiesa con un altro fai scemo a Gesù…”. La gelosia rispecchia dinamiche che hanno a che fare con il controllo, non proprio con l’affetto.

Per fortuna le cantanti svolgono di solito una funzione modernizzatrice, dipingendo donne indipendenti e sessualmente liberate.

Ma l’uomo ideale è sempre legato a un modello di machismo e successo sessuale, e a una nuova ossessione estetica che si ritrova, ad esempio, nella cura che alcuni boss mostrano in carcere per la propria persona. Per le mani, soprattutto, tenute lontane da occupazioni umili. 

Altre canzoni, in modo divertente e un po’ ossessivo, si occupano di sms, di videochiamate e di cinesi sparsi per i vicoli. Immagini nuove si mescolano ad antiche suggestioni, a frasi della tradizione come “anima e core”; il cellulare viene tratto dal seno come una volta le lettere più preziose. E dentro i vicoli si gira su piccole moto clandestine (quelle che i cinesi regalano ai figli dei boss come omaggio per l’appoggio che consente loro il controllo del porto di Napoli).

Le canzoni a cui siamo abituati - diciamo normali – descrivono una vita lontana dal reale (difficilmente parlano di lavoro, di “fatica”,  come si dice qui). Queste canzoni “esagerate” entrano invece nella quotidianità e innescano un processo  d’identificazione. Il pathos di un uomo che si sottrae all’arresto saltando da una finestra non è poi così lontano dalle esperienze e dai racconti delle persone. Siamo dentro un trattato di sociologia.

La distanza dei media

I grandi media – sottolinea Saviano – sono molto lontani, e così tanti intellettuali. Anzi, si può dire che più in generale non raccontano di noi e di quello che sta succedendo. I cantanti neomelodici, in ogni caso, hanno occhi attenti sul mondo e vale la pena di prestare loro attenzione.

I media tacciono anche su altri fatti. Dopo una sparatoria o un’esecuzione, ad esempio, i morti vengono spesso dimenticati. Molti sono giovanissimi, uccisi per errore o per far arrivare a destinazione un messaggio. Non è sempre un caso, spesso la notizia viene “congelata”, ingenerando sospetti. Quando ci si accorge che l’ucciso non era un affiliato ai clan o non era un pedofilo (voce montata ad arte per le persone più scomode, come accadde per il giornalista Pippo Fava a Palermo e per il parroco di Casal di Principe don Giuseppe Diana) può essere ormai troppo tardi. Cronisti anche bravi, raccogliendo frasi non prontamente smentite in paese dalla polizia o dal sindaco, possono contribuire a delegittimare e a chiudere quelle morti nel silenzio.

Gigi e Paolo sarebbero dovuti andare in Grecia il giorno dopo ed erano in macchina, sotto casa, a guardare una cartina geografica. Sono stati scambiati per due guardaspalle e maciullati dai proiettili.  Per errore fu ucciso anche Dario Scherillo. Non se ne parlava facilmente. Sono scene di guerra che in paese si tende a rimuovere. I genitori e i fratelli delle vittime a volte lottano a lungo e con coraggio, ma c’è troppa resistenza all’idea di una violenza così feroce e capace di portarsi via dei ragazzi qualsiasi.

Il rap che scongela i morti

Nessuno ti scorda fratello.                                                                                                                                   

I “Co’ Sang” (col sangue) sono due giovani cantanti rap di Marianella, accanto a Secondigliano, e anche loro raccontano in dialetto la quotidianità di questi anni.

Secondo lo scrittore questi due giovanissimi autori sono diventati interpreti di una generazione.

Il pezzo “Polvere in mano” è dedicato alle vittime della faida tra gli scissionisti e i fedeli ai vecchi clan che ha martoriato il nord-napoletano tra il  2004 e il 2005. C’erano anche 2, 3, 4 morti in un solo giorno. I  cronisti contavano le ore dopo l’ultima sparatoria e il quotidiano inglese “The Guardian” titolava “Più morti a Scampia che in Iraq”.

Corrono e passano le canzoni alla radio. Parlano di chi è caduto ma vive ancora nelle parole.                                 

Io parlo dopo che i flash mi sono entrati negli occhi. Dove sto io angeli e diavoli insieme”. La canzone descrive situazioni familiari anche a Roberto Saviano. Si arriva sul posto della sparatoria e si trova una persona non ancora morta, intorno si sentono commenti e persino risate sui dettagli raccapriccianti: chi è, cosa avrà mangiato. I bambini sono in prima fila. Dietro le persiane le persone guardano. Il rione sa già chi morirà poche ore dopo.

Tutto è esperienza in mezzo a chi ha voltato le spalle alla coscienza. Si è perso il conto dei drammi e delle madri adolescenti”.

Queste canzoni fissano il ricordo terribile dei fatti. Ma la rabbia e la memoria addolciscono in qualche modo la sofferenza per queste brevi esistenze che la comunità non ha protetto.

 Resurrezione

Saviano conclude parlando del pericolo che in questo strano e complicato periodo i comportamenti illegali ritornino di serie B nell’informazione, e – comunque la si pensi - non provochino più sussulti. Proprio mentre le inchieste delle procure antimafia stanno accertando diffusi pesanti legami tra la criminalità e il mondo economico e politico (come emerso dalle indagini sul Caffè de Paris e altri locali del centro di Roma, su un sottosegretario di Stato e sul riciclaggio in una grande azienda come Fastweb).

A proposito delle elezioni, Saviano aggiunge che in alcune regioni del Sud le informative parlano di tariffari: un voto costa 22 euro, tenere un manifesto elettorale per un giorno 1 euro (5 euro con il presidio che garantisce che non venga strappato). Capi palazzo organizzano pulmini per trasportare ai seggi gli anziani.  A chi offre il suo voto, invece, probabilmente nessuno dice che il favore che potrà ricevere è poca cosa, che ognuno di noi ha diritto ad avere molto di più, mentre quell’eletto tutto il resto non lo farà. Le ferite e i rischi per la democrazia sono profondi e Roberto Saviano ritiene che ognuno di noi può e deve difenderla.

Alla fine del rap dei "Co’ Sang" si sentono uno dopo l’altro i nomi degli innocenti ammazzati. 

Qualcuno aveva solo 14 anni: Sandro, Lamberto, Annalisa, Francesco, Claudio, Attilio  persone che avevano il diritto di vivere in una terra normale.

Cantano:

"Non ti commuovere, non è un pezzo triste

E’ per salutare chi se n’è andato giovane

E’ polvere, non è memoria

La tocchi ancora con le mani

Ti aiuta per la vittoria, scorre nelle cose che fai "

 

Ancora un lunghissimo applauso saluta Roberto. Forse stiamo applaudendo, insieme, la speranza, il diritto di avere un futuro e un Sud migliore. 

Note: Roma 28 marzo. La conferenza di Roberto Saviano alla Festa del libro si può ascoltare cliccando su http://www.auditorium.com/eventi/4969215

Su Youtube "Il mio amico camorrista" lo si può ascoltare anche qui:
http://www.youtube.com/watch?v=WTd4C8pmNtg In questo video le immagini sono state aggiunte da trashopolis.com con un effetto completamente diverso (e anche una efficace ed eloquente traduzione dal napoletano all'italiano).

Per la biografia di Roberto Saviano: http://www.robertosaviano.it/biografia

Ecco gli articoli di PeaceLink in cui si cita Roberto Saviano:
http://www.peacelink.it/cerca/index.php?id_topic=0&q=saviano

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