Educazione e cittadinanza planetaria
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L'istituzione scolastica, in passato, ha saputo affrontare con tempestività il problema della presenza dei bambini stranieri a scuola e approntare l'elaborazione di progetti di educazione interculturale, perché la scuola, rispetto ad altre istituzioni, ha registrato episodi limitati di intolleranza e xenofobia, manifestando invece grande sensibilità nella valorizzazione delle diversità, nella promozione di una convivenza costruttiva e democratica.
L'educazione interculturale impegna la scuola nell'accoglienza e nel coinvolgimento attivo dei ragazzi immigrati, in un reciproco arricchimento e diventa anche strumento necessario contro varie forme di razzismo e intolleranza, quale educazione al rispetto e alla valorizzazione dell'alterità e della differenza, dove l'istituzione scolastica assume una mentalità interculturale in un esercizio continuo e difficile di conoscenza e in una pratica impegnativa di relazione con gli altri.
Il mondo diviene sempre più un insieme di particolarità e di localismi, un coacervo di realtà molteplici, ma allo stesso tempo risulta sempre più diviso.
Gli antagonismi fra nazioni, religioni, fra città e religioni, modernità e tradizione, dittatura e democrazia, poveri e ricchi, occidente e oriente, nord e sud si compenetrano vicendevolmente e si esasperano dove sussistono religioni ed etnie ibride e frammiste, frontiere arbitrarie fra stati, rivalità e ingiustizie.
L'uomo planetario deve imparare a gestire la sua nuova condizione umana tra il carattere di globalità e di universalità, nella particolarità e diversità che lo contraddistinguono e lo separano dai suoi simili, nella consapevolezza che la diversità consiste nella vera ricchezza del genere umano che trova una matrice nella molteplicità di differenze insite nell'umanità.
L'educazione ha un ruolo centrale ed insostituibile nella formazione di una cittadinanza planetaria che si fonda su un impegno comune di pace, per cercare concretamente le occasioni e i mezzi alternativi alla guerra e a tutte le forme di violenza, perché l'educazione è lo strumento della pace, come principio pratico di umanità e organizzazione sociale, che esalta la natura dell'uomo, rendendolo cosciente del proprio potere nell'universo e questo principio deve condurre a realizzare la scienza della pace e l'educazione degli uomini alla risoluzione pacifica di ogni conflitto. Attraverso la pratica educativa è possibile formare e alimentare un pensiero della pace, opposto ad una concezione della guerra.
Il pensiero della guerra è obbediente e sottomesso ai voleri e ai poteri autoritari, non si interroga e non pone domande, teme l'incertezza e il dubbio, si fonda sulla norma, sull'autorità, piuttosto che sulla possibilità e l'imprevedibilità, dividendo anziché trovare congiunzioni di senso.
Il pensiero della pace è attivo, problematico e antidogmatico, quale forma concettuale interculturale, relazionale e dialogica, disponibile alla collaborazione, al confronto, alla cooperazione e alla solidarietà.
Il pensiero della pace è sostenuto dal pensiero di Gandhi, nel fondamento di principi e pratiche d'azione non violente, indispensabili per gestire la complessità della condizione umana. L'educazione deve insegnare alle donne e agli uomini a non sopraffare e dominare, ma comprendere il conflitto, nella solidarietà con l'altro, prendendosi cura del prossimo, tramite fondanti principi morali ormai urgenti ed essenziali in un presente oscurato da tragici scenari di violenza e morte, nella rinuncia della ragione, dove lo sbigottimento può trasformarsi in istinto di vendetta, se prevarrà la logica dell’opposizione invece del dialogo e del confronto, quando l'avvenire appare aperto a rischi di crescita di conflitti e antagonismi sempre più distruttivi proprio perché planetari.
Il futuro richiama incertezza, perché carico di progresso innovativo, ma anche di distruzione e barbarie, nella necessità di insegnare la comprensione fra donne e uomini, quale condizione e garanzia di solidarietà intellettuale e morale dell'umanità, in una comprensione che va costruita sul livello umano intersoggettivo, che richiede empatia e simpatia, emozione e ragione, compartecipazione alle gioie e ai dolori dell'altro, valorizzando la comune umanità, oltre le differenze etniche, religiose, sociali e culturali.
Una comprensione universale cerca di accogliere le diversità e consente l'espressione delle idee antagoniste nel conoscere le ragioni e i sentimenti degli altri, senza il rifiuto aprioristico delle differenze, dove comprendere significa condividere conoscenze ed emozioni, saperi e valori, riflettendo metacognitivamente sulle condizioni e le ragioni che rendono possibile la reciproca comprensione umana.
La pratica della comprensione non può esistere in contesti sociali e politici autoritari, ma richiede l'attivazione di governi e società democratiche, per cui la scuola e l'educazione devono insegnare la democrazia, attualizzandola come pratica di vita in tutte le istituzioni, dalla famiglia alla scuola, dal lavoro alle sedi di svago, di politica e di cultura, trasformando tutti i luoghi di vita comune in sedi di esercizio dialettico e argomentativo, nell'accettazione e condivisione delle regole del confronto, del dialogo e della partecipazione, nella conoscenza del pensiero e dei sentimenti dell'altro.
La democrazia permette a ogni uomo di vedere rispettata la sua diversità e autonomia, esaltando le differenze, promuovendo il conflitto nelle forme del confronto dialettico, in quanto la democrazia non nega gli antagonismi, ma li trasforma in dibattito costruttivo.
La complessa gestione delle diversità è dilatata a livello mondiale, nel difficile rapporto tra universalità e particolarità, in quanto la planetarizzazione dei sistemi e dei mezzi di comunicazione e di informazione unifica le differenze, ma produce anche radicalismi ideologici.
Dunque l'etica della comprensione planetaria deve essere estesa dall'istituzione scolastica, quale compito precipuo di ogni educazione, al fine di comprendere l'alterità, in ogni sua forma, concetto, estensione, idea.
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