Al cinema dei diritti negati

Il Mediterraneo mistificato del Tao FilmFestival 2011

Si conclude la peggiore edizione del festival cinematografico di Taormina. Premiato uno dei soci arabi di Berlusconi più controversi mentre i registi indipendenti del Magreb sono relegati a mere comparse. Al palestinese Suleiman un Award maledetto.
20 giugno 2011

Doveva essere un CineFilmFestival all’insegna del dialogo interculturale nel Mediterraneo ma a Taormina, purtroppo, di dialogo mediterraneo si è visto assai poco. Modernamente “liquidi” gli enti locali titolari di quella che è stata per decenni una delle principali rassegne cinematografiche nazionali (la provincia di Messina e i comuni di Messina e Taormina), autorelegatisi a bancomat di distribuzione delle ingenti risorse finanziarie che tengono in vita la comatosa kermesse, ci ha pensato il main sponsor  privato a imporre logo, ordini del giorno e contenuti alla 57^ edizione del festival appena conclusasi nella città siciliana.

La Fondazione Roma Mediterraneo del potente cavaliere-avvocato-professor Emmanuele Emanuele, sorta nel 2008 come costola della più nota Fondazione Roma (ex Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, importante azionista Unicredit), dopo le sedi di rappresentanza a Palermo e Rabat e le nuove di Valencia e Istanbul, sembra essere intenzionata a mettere radici a Taormina. La fondazione ha istituito quest’anno il Premio Award allo sviluppo del dialogo interculturale ed all’affermazione di una specifica identità mediterranea che sarà consegnato a un cineasta nella serata finale del festival di Taormina. In ringraziamento, con un ignoto atto amministrativo, le è stata intitolata la principale sala conferenze del palazzaccio dei Congressi, cuore operativo della rassegna cinematografica. Palcoscenico e riflettori invece per il banchiere-finanziere Emanuele, ospite d’onore dell’incontro “L’arte e la cultura in una società senza valori” all’interno del Campus formativo del festival destinato a centinaia di studenti liceali e universitari siciliani e non, grazie al contributo del Ministero della Gioventù. Un incontro in cui si è discusso assai poco d’arte e di cultura e nulla di Mediterraneo ma invece tanto e male di mafia e antimafia, causa la contestuale partecipazione del critico-polemista e sindaco di Salemi (Trapani), Vittorio Sgarbi.

Un’amicizia quella tra Emanuele e Sgarbi coronata dalla collaborazione della Fondazione Roma ad alcuni “progetti culturali” avviati a Salemi dall’attuale sindaco e che oggi si alimenta della mutua collaborazione alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia, dove l’avvocato-professore è presidente del Comitato degli intellettuali del Padiglione Italia su nomina del ministro per i beni culturali, mentre il critico Sgarbi è curatore della sezione espositiva italiana. Il lungo sproloquio di Vittorio Sgarbi ha lasciato attonita una parte del pubblico. Adirato dall’ispezione avviata dalla Prefettura di Trapani per verificare l’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa della città di Salemi, Sgarbi è andato pesante contro prefetti, questori, giudici e professionisti anti-mafia. “Sono loro i veri mafiosi perché la mafia in Sicilia non esiste ormai quasi più, è lo Stato la vera mafia e l’antimafia, che è assai peggio della mafia, continua ad alimentare la sua leggenda bloccando l’economia dell’isola…”. Il cronista registra, spera inutilmente in uno stop di Emanuele o della direttrice della rassegna e moderatrice dell’incontro, Deborah Young, poi sbotta con un “vergogna, basta parlare così agli studenti” e viene impietosamente tacciato da Sgarbi di “mafioso, mafioso, mafioso, gente come te è la vera mafia in Sicilia” ma finalmente il dibattito-sceneggiata viene dato per chiuso.

Non era certamente andata meglio prima la tavola rotonda sulle “rivoluzioni in nord Africa”. Per imprecisati “motivi tecnici”, gli organizzatori avevano modificato in extremis il programma, dividendo l’incontro in due diversi momenti. Il primo riservato ai giovani e brillanti cineasti Ibrahim El Batout, Habib Attia, Mourad Ben Cheikh, Leila Kilani e Soufia Issami, testimoni diretti del fermento sociale e culturale e dello spirito rivoluzionario che anima le nuove generazioni in Algeria, Tunisia, Marocco ed Egitto. Si è pensato bene però di concentrare l’attesissimo dialogo con il pubblico in poco meno di un’ora, per giunta dopo aver relegato la proiezione dei loro splendidi film (solo “tre e mezzo” le produzioni arabe in programma come amaramente sottolineato dal decano dei critici cinematografici siciliani, Citto Sajia) negli insostenibili orari del dopo pranzo. Il secondo appuntamento, invece, è stato di quasi due ore, una master class del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, socio di Silvio Berlusconi ed ex delegato ai rapporti istituzionali della Presidenza del consiglio con i capi di stato nordafricani (i “dittatori” Ben Ali e Moumar Gheddafi, tra gli altri). Al festival, tra l’altro, Ben Ammar è stato consegnato per la sua attività di produttore – caso più unico che raro nella storia delle rassegne internazionali - uno dei tre Taormina Arte Award.  Il suo intervento autocelebrativo ha ammaliato il pubblico in sala. Parole commoventi per i giovani nordafricani che sfidano il Mediterraneo per “esercitare il diritto alla libertà e consocere la cultura europea ma ingiustamente respinti dalle politiche migratorie dell’Unione”, lui che il 24 marzo 2011 aveva accompagnato i ministri Maroni e Frattini per stringere una nuova alleanza politico-militare con la Tunisia per ridare il via ai respingimenti in Africa dei migranti. Un’ovazione ha suscitato poi l’annuncio che presto prenderanno il via le riprese di un film interamente dedicato alla storia del venditore ambulante Mohamed Bouazizi che si è ucciso lo scorso dicembre dandosi fuoco e denunciare con il suo sacrificio le violenti repressioni della polizia e dell’esercito di Ben Ali. “Abbiamo il dovere che i nostri figli non dimentichino quanto è accaduto in questi mesi in Tunisia e nel mondo arabo e dello storico processo di affermazione dei valori di libertà e democrazia”, ha dichiarato Ben Ammar.

Un’ora prima i giovani registi nordafricani si erano detti però un po’ meno ottimisti sulla linearità dei processi rivoluzionari in atto.  “Il padrone è andato via ma i cani del padrone sono rimasti, abbaiano forte e cercano ancora di mordere”, ha spiegato il tunisino Mourad Ben Cheikh, autore del documentario Plus jamais peur (Mai più paura) su quanto accaduto in Tunisia nelle tragiche giornate del gennaio 2011. Modi antitetici di intendere la storia, la libertà, la democrazia e il cinema, che hanno costretto il FilmFestival ad evitare che si sedessero allo stesso tavolo registi e produttori indipendenti arabi e il magnate franco-tunisino. “Sì, è vero, ho lavorato per decenni in Tunisa sotto il governo di Ben Alì, ma è stata una scelta di realpolitik tesa a salvaguardare i miei affari e i salari delle maestranze, gli oltre 750.000 tunisini che in tutti questi anni ho impiegato per le produzioni dei miei kolossal”, si è giustificato Ben Ammar. “La location n nord Africa delle produzioni europee e nordamericane consente di ridurre le spese e ridistribuire ricchezza”, spiega il finanziere, omettendo che proprio le delocalizzazioni e le politiche neoliberiste imposte dalla finanza transnazionale hanno spinto centinaia di migliaia di giovani arabi a lottare per le “rivoluzioni democratiche”, come magistralmente documentato dallo splendido film Sul la planche della regista marocchina Leila Kilani presentato e superpremiato a Taormina, con al centro la decomposizione del tessuto economico e sociale generata dalla grande zona franza di Tangeri  (una coproduzione Marocco-Francia-Germania).

Tarak Ben Ammar, a differenza del socio e amico Silvio Berlusconi, respinge l’idea di buttarsi nell’agone politico, scegliendo di governare il paese in odo sommerso, attarverso il controllo dei canali finanziari, dell’economia e soprattutto dei nuovi media “indipendenti”. “Sono un uomo di cultura, non amo la politica e escludo categoricamente di coinvolgere la mia persona e la mia vita nelle competizioni elettorali”, ha dichiarato Ben Ammar, “onorato” di poter lanciare proprio da Taormina il suo nuovo kolossal Black Gold (Oro Nero), incentrato sulla “scoperta” del petrolio nel regno di Arabia ma interamente girato in Tunisia dal regista Jean-Jacques Annaud e dall’attore Antonio Banderas. “Il cinema deve produrre denaro”, spiega Ben Ammar. “La Tv è la banca del cinema e sono le banche che finanziano le Tv e ciò spiega perché ho scelto di fare ingresso nel sistema bancario internazionale e divenire membo del consiglio di amministrazione di Mediobanca”. Se poi c’è spazio, ma senza disturbare i manovratori, può subentrare anche la “cultura”…

Ancora più cinico e lacerante l’epilogo del FilmFestival del Mediterraneo negato e più volte mistificato da organizzatori e certi ospiti “di peso” della kermesse taorminese. Nello splendido scenario del teatro greco, la Fondazione Roma Mediterraneo di Emmanuele Emanuele ha consegnato il suo Award al dialogo interculturale al regista palestinese Elia Suleiman, autore di importanti film di denuncia sulla condizione di un popolo oppresso da ormai 64 anni di occupazione israeliana. Riconoscimento meritato, peccato che tra i membri “d’onore” del comitato scientifico della fondazione per “la cooperazione culturale ed economica nel bacino mediterraneo” compaia l’ex ambasciatore d’Israele in Italia, Avi Pazner, portavoce per decenni dei più guerrafondai governi della storia nazionale e strenuo oppositore delle risoluzioni ONU che invocano il ritiro militare dai territori della Cisgiordania pre-1967. Le organizzazioni non governative che compongono il coordinamento italiano per il boicottaggio d’Israele avevano inutilmente chiesto ad Elia Suleiman di disertare il “tappeto rosso” di Taormina esprimendo ancora una volta il proprio sostegno alla lotta palestinese. Dall’area dello Stretto, con una lettera aperta, anche la Rete No Ponte aveva invitato il regista a rifiutare un “premio maledetto”. Un mese fa uno striscione in memoria del pacifista Vittorio Vik Arrigoni apriva a Messina il corteo nazionale contro il progetto di realizzazione del ponte sullo Stretto. “Restiamo umani”, si leggeva, come il titolo del suo blog che per lungo tempo ha testimoniato i crimini israeliani a Gaza. Come la recente operazione “Piombo fuso” o il sanguinoso assalto alla Gaza Flottilla che l’ex ambasciatore Avi Pazner ha rivendicato e giustificato di fronte alla stampa e alla diplomazia mondiale. “Di piccoli fascisti il mondo è pieno e certamente non posso sindacare tutte le volte se qualcuno di loro si nasconda dietro un premio”, ha risposto Elia Suleiman in conferenza stampa a Taormina. “Sicuramente qui non sarà Avi Pazner a consgnarmi l’Award al dialogo, non vedo pertanto ragione di non ritirarlo o peggio ancora di boicottare la rassegna cinematografica”. Ancora una volta il trionfo della vanità sulla difesa dei diritti umani e della pace giusta in Medio oriente. 

 

Doveva essere un CineFilmFestival all’insegna del dialogo interculturale nel Mediterraneo ma a Taormina, purtroppo, di dialogo mediterraneo si è visto assai poco. Modernamente “liquidi” gli enti locali titolari di quella che è stata per decenni una delle principali rassegne cinematografiche nazionali (la provincia di Messina e i comuni di Messina e Taormina), autorelegatisi a bancomat di distribuzione delle ingenti risorse finanziarie che tengono in vita la comatosa kermesse, ci ha pensato il main sponsor  privato a imporre logo, ordini del giorno e contenuti alla 57^ edizione del festival appena conclusasi nella città siciliana.

La Fondazione Roma Mediterraneo del potente cavaliere-avvocato-professor Emmanuele Emanuele, sorta nel 2008 come costola della più nota Fondazione Roma (ex Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, importante azionista Unicredit), dopo le sedi di rappresentanza a Palermo e Rabat e le nuove di Valencia e Istanbul, sembra essere intenzionata a mettere radici a Taormina. La fondazione ha istituito quest’anno il Premio Award allo sviluppo del dialogo interculturale ed all’affermazione di una specifica identità mediterranea che sarà consegnato a un cineasta nella serata finale del festival di Taormina. In ringraziamento, con un ignoto atto amministrativo, le è stata intitolata la principale sala conferenze del palazzaccio dei Congressi, cuore operativo della rassegna cinematografica. Palcoscenico e riflettori invece per il banchiere-finanziere Emanuele, ospite d’onore dell’incontro “L’arte e la cultura in una società senza valori” all’interno del Campus formativo del festival destinato a centinaia di studenti liceali e universitari siciliani e non, grazie al contributo del Ministero della Gioventù. Un incontro in cui si è discusso assai poco d’arte e di cultura e nulla di Mediterraneo ma invece tanto e male di mafia e antimafia, causa la contestuale partecipazione del critico-polemista e sindaco di Salemi (Trapani), Vittorio Sgarbi.

Un’amicizia quella tra Emanuele e Sgarbi coronata dalla collaborazione della Fondazione Roma ad alcuni “progetti culturali” avviati a Salemi dall’attuale sindaco e che oggi si alimenta della mutua collaborazione alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia, dove l’avvocato-professore è presidente del Comitato degli intellettuali del Padiglione Italia su nomina del ministro per i beni culturali, mentre il critico Sgarbi è curatore della sezione espositiva italiana. Il lungo sproloquio di Vittorio Sgarbi ha lasciato attonita una parte del pubblico. Adirato dall’ispezione avviata dalla Prefettura di Trapani per verificare l’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa della città di Salemi, Sgarbi è andato pesante contro prefetti, questori, giudici e professionisti anti-mafia. “Sono loro i veri mafiosi perché la mafia in Sicilia non esiste ormai quasi più, è lo Stato la vera mafia e l’antimafia, che è assai peggio della mafia, continua ad alimentare la sua leggenda bloccando l’economia dell’isola…”. Il cronista registra, spera inutilmente in uno stop di Emanuele o della direttrice della rassegna e moderatrice dell’incontro, Deborah Young, poi sbotta con un “vergogna, basta parlare così agli studenti” e viene impietosamente tacciato da Sgarbi di “mafioso, mafioso, mafioso, gente come te è la vera mafia in Sicilia” ma finalmente il dibattito-sceneggiata viene dato per chiuso.

Non era certamente andata meglio prima la tavola rotonda sulle “rivoluzioni in nord Africa”. Per imprecisati “motivi tecnici”, gli organizzatori avevano modificato in extremis il programma, dividendo l’incontro in due diversi momenti. Il primo riservato ai giovani e brillanti cineasti Ibrahim El Batout, Habib Attia, Mourad Ben Cheikh, Leila Kilani e Soufia Issami, testimoni diretti del fermento sociale e culturale e dello spirito rivoluzionario che anima le nuove generazioni in Algeria, Tunisia, Marocco ed Egitto. Si è pensato bene però di concentrare l’attesissimo dialogo con il pubblico in poco meno di un’ora, per giunta dopo aver relegato la proiezione dei loro splendidi film (solo “tre e mezzo” le produzioni arabe in programma come amaramente sottolineato dal decano dei critici cinematografici siciliani, Citto Sajia) negli insostenibili orari del dopo pranzo. Il secondo appuntamento, invece, è stato di quasi due ore, una master class del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, socio di Silvio Berlusconi ed ex delegato ai rapporti istituzionali della Presidenza del consiglio con i capi di stato nordafricani (i “dittatori” Ben Ali e Moumar Gheddafi, tra gli altri). Al festival, tra l’altro, Ben Ammar è stato consegnato per la sua attività di produttore – caso più unico che raro nella storia delle rassegne internazionali - uno dei tre Taormina Arte Award.  Il suo intervento autocelebrativo ha ammaliato il pubblico in sala. Parole commoventi per i giovani nordafricani che sfidano il Mediterraneo per “esercitare il diritto alla libertà e consocere la cultura europea ma ingiustamente respinti dalle politiche migratorie dell’Unione”, lui che il 24 marzo 2011 aveva accompagnato i ministri Maroni e Frattini per stringere una nuova alleanza politico-militare con la Tunisia per ridare il via ai respingimenti in Africa dei migranti. Un’ovazione ha suscitato poi l’annuncio che presto prenderanno il via le riprese di un film interamente dedicato alla storia del venditore ambulante Mohamed Bouazizi che si è ucciso lo scorso dicembre dandosi fuoco e denunciare con il suo sacrificio le violenti repressioni della polizia e dell’esercito di Ben Ali. “Abbiamo il dovere che i nostri figli non dimentichino quanto è accaduto in questi mesi in Tunisia e nel mondo arabo e dello storico processo di affermazione dei valori di libertà e democrazia”, ha dichiarato Ben Ammar.

Un’ora prima i giovani registi nordafricani si erano detti però un po’ meno ottimisti sulla linearità dei processi rivoluzionari in atto.  “Il padrone è andato via ma i cani del padrone sono rimasti, abbaiano forte e cercano ancora di mordere”, ha spiegato il tunisino Mourad Ben Cheikh, autore del documentario Plus jamais peur (Mai più paura) su quanto accaduto in Tunisia nelle tragiche giornate del gennaio 2011. Modi antitetici di intendere la storia, la libertà, la democrazia e il cinema, che hanno costretto il FilmFestival ad evitare che si sedessero allo stesso tavolo registi e produttori indipendenti arabi e il magnate franco-tunisino. “Sì, è vero, ho lavorato per decenni in Tunisa sotto il governo di Ben Alì, ma è stata una scelta di realpolitik tesa a salvaguardare i miei affari e i salari delle maestranze, gli oltre 750.000 tunisini che in tutti questi anni ho impiegato per le produzioni dei miei kolossal”, si è giustificato Ben Ammar. “La location n nord Africa delle produzioni europee e nordamericane consente di ridurre le spese e ridistribuire ricchezza”, spiega il finanziere, omettendo che proprio le delocalizzazioni e le politiche neoliberiste imposte dalla finanza transnazionale hanno spinto centinaia di migliaia di giovani arabi a lottare per le “rivoluzioni democratiche”, come magistralmente documentato dallo splendido film Sul la planche della regista marocchina Leila Kilani presentato e superpremiato a Taormina, con al centro la decomposizione del tessuto economico e sociale generata dalla grande zona franza di Tangeri  (una coproduzione Marocco-Francia-Germania).

Tarak Ben Ammar, a differenza del socio e amico Silvio Berlusconi, respinge l’idea di buttarsi nell’agone politico, scegliendo di governare il paese in odo sommerso, attarverso il controllo dei canali finanziari, dell’economia e soprattutto dei nuovi media “indipendenti”. “Sono un uomo di cultura, non amo la politica e escludo categoricamente di coinvolgere la mia persona e la mia vita nelle competizioni elettorali”, ha dichiarato Ben Ammar, “onorato” di poter lanciare proprio da Taormina il suo nuovo kolossal Black Gold (Oro Nero), incentrato sulla “scoperta” del petrolio nel regno di Arabia ma interamente girato in Tunisia dal regista Jean-Jacques Annaud e dall’attore Antonio Banderas. “Il cinema deve produrre denaro”, spiega Ben Ammar. “La Tv è la banca del cinema e sono le banche che finanziano le Tv e ciò spiega perché ho scelto di fare ingresso nel sistema bancario internazionale e divenire membo del consiglio di amministrazione di Mediobanca”. Se poi c’è spazio, ma senza disturbare i manovratori, può subentrare anche la “cultura”…

Ancora più cinico e lacerante l’epilogo del FilmFestival del Mediterraneo negato e più volte mistificato da organizzatori e certi ospiti “di peso” della kermesse taorminese. Nello splendido scenario del teatro greco, la Fondazione Roma Mediterraneo di Emmanuele Emanuele ha consegnato il suo Award al dialogo interculturale al regista palestinese Elia Suleiman, autore di importanti film di denuncia sulla condizione di un popolo oppresso da ormai 64 anni di occupazione israeliana. Riconoscimento meritato, peccato che tra i membri “d’onore” del comitato scientifico della fondazione per “la cooperazione culturale ed economica nel bacino mediterraneo” compaia l’ex ambasciatore d’Israele in Italia, Avi Pazner, portavoce per decenni dei più guerrafondai governi della storia nazionale e strenuo oppositore delle risoluzioni ONU che invocano il ritiro militare dai territori della Cisgiordania pre-1967. Le organizzazioni non governative che compongono il coordinamento italiano per il boicottaggio d’Israele avevano inutilmente chiesto ad Elia Suleiman di disertare il “tappeto rosso” di Taormina esprimendo ancora una volta il proprio sostegno alla lotta palestinese. Dall’area dello Stretto, con una lettera aperta, anche la Rete No Ponte aveva invitato il regista a rifiutare un “premio maledetto”. Un mese fa uno striscione in memoria del pacifista Vittorio Vik Arrigoni apriva a Messina il corteo nazionale contro il progetto di realizzazione del ponte sullo Stretto. “Restiamo umani”, si leggeva, come il titolo del suo blog che per lungo tempo ha testimoniato i crimini israeliani a Gaza. Come la recente operazione “Piombo fuso” o il sanguinoso assalto alla Gaza Flottilla che l’ex ambasciatore Avi Pazner ha rivendicato e giustificato di fronte alla stampa e alla diplomazia mondiale. “Di piccoli fascisti il mondo è pieno e certamente non posso sindacare tutte le volte se qualcuno di loro si nasconda dietro un premio”, ha risposto Elia Suleiman in conferenza stampa a Taormina. “Sicuramente qui non sarà Avi Pazner a consgnarmi l’Award al dialogo, non vedo pertanto ragione di non ritirarlo o peggio ancora di boicottare la rassegna cinematografica”. Ancora una volta il trionfo della vanità sulla difesa dei diritti umani e della pace giusta in Medio oriente.

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