Nicolas Giudici, vittima dimenticata
Era il 16 giugno del 2001 quando Nicolas Giudici è stato assassinato nei pressi di Corte, nel nord della Corsica. Sono trascorsi dieci anni, ed è stato un anniversario triste, perché di fatto non è esistito, non ha evocato nulla, se non ai familiari, a pochi amici, a qualche collega del «Corse-Matin», con cui Giudici aveva a lungo collaborato. Sulla vicenda, sconosciuta in Italia e in altri paesi dell’Europa, la Francia, da Chirac a Sarkozy, ha tenuto un silenzio ostinato, che insiste ancora oggi. Essa ha deciso di non dare importanza alla morte di questo intellettuale sereno e documentato che aveva studiato i disagi profondi della terra in cui era nato. Il caso è stato posto sotto la luce di una faccenda isolata, locale, privata: copione noto nelle terre assoggettate al crimine politico e organizzato. Si direbbe che le istituzioni del Paese abbiano voluto evitare di rispondere alle domande che Nicolas aveva posto negli ultimi anni della sua vita, sulla condizione di degrado della Corsica, stretta dalla triplice morsa di un potere politico coercitivo e distante, dei clan criminali e dell’indipendentismo armato. Il caso potrebbe essere però più complesso. Le responsabilità, ancora più dolose.
Nato nel 1949 nel villaggio di Polveroso, in Alta Corsica, dopo aver studiato al liceo Marbeuf di Bastia e filosofia all’Università di Nizza, Nicolas Giudici aveva vissuto a Cannes. Avrebbe mantenuto tuttavia fino alla morte il contatto con l’isola, dove abitavano i suoi genitori e abitano ancora le sue sorelle Claire e Julie. Dopo una breve docenza universitaria in Filosofia, presso l’università di Cannes, aveva intrapreso il lavoro di cronista al «Corse-Matin». Lo avrebbe fatto per 22 anni di fila. Aveva deciso poi di ridurre questo impegno, per dedicarsi alla scrittura saggistica. Nel 1997 aveva dato alle stampe con Grasset di Parigi Le crépuscule des Corses, un raffinato lavoro di analisi, in bilico tra sociologia, antropologia e storia, sulle condizioni dell’isola. Il sottotitolo era Clientélisme, identité et vendetta. Con questo lavoro, egli denunciava tanto le ingiustizie del potere pubblico e l’assenza di una legalità autorevole, quanto i gruppi nazionalisti dell’isola, dilaniati da guerre intestine e disponibili, in alcuni casi, ad accordi con il milieu, la mafia della Corsica. «Il loro mito dell’indipendenza – scriveva non è autentico, perché nessuno in realtà crede in questo obiettivo fino in fondo. Si tratta solo di un velo che copre il vuoto della loro visione della società». Nicolas era stato ascoltato dalla Commissione parlamentare che si occupava della questione còrsa. E aveva continuato il suo lavoro. Nel 1998 aveva pubblicato per le Edizioni Milan Le problème corse, in cui, traendo spunto dal testo precedente, focalizzava ancora le cause dei disagi che colpiscono l’isola, nell’indifferenza dello Stato francese: altre pagine intense sulle faide tra le famiglie, i silenzi, il fratricidio, l’emarginazione, la legge arcaica del sangue. Poi l’uccisione, dopo che era uscito, ancora con Grasset, La philosophie du Mont Blanc, un tributo alla montagna, che era stata da sempre la sua passione.
Il corpo di Nicolas, ferito da proiettili calibro 6,35 al torace e all’addome, è stato trovato da un pastore alle ore 9 di domenica 17 giugno alla Fonte del Melo, nei pressi di Piedigriggio, lungo la strada che da Corte conduce a Bastia. Secondo la sorella Claire, che aveva incontrato il giornalista venerdì, durante la sera avrebbe dovuto raggiungere Nizza con il Corsica Express che partiva da Calvi. Per questo, intorno alle 17,15, un quarto d’ora dopo la conclusione di una riunione di studio universitaria cui aveva partecipato, egli aveva lasciato Corte, non si sa se in compagnia o da solo. L’uccisione era avvenuta di lì a poco, forse dopo una manciata di minuti, e intorno alle 19,30 la sua Fiat grigia veniva trovata in fiamme in un burrone a circa 40 chilometri dal luogo in cui era stato rinvenuto il cadavere, in direzione est, nei pressi del villaggio di San Nicolao.
Sin da subito è stata esclusa la pista politica. «Nel suo libro – ha spiegato un inquirente – Giudici ha solo analizzato fenomeni della società dell'isola, senza chiamare in causa nessuno». I nazionalisti, dal canto loro, si sono affrettati a negare qualsiasi coinvolgimento. Al quotidiano «24Heures» del 18 giugno un dirigente del FNLC, uno dei maggiori gruppi indipendentisti, ha dichiarato che Nicolas «non era un nemico della Corsica». Gli inquirenti hanno escluso poi che si potesse trattare di un delitto di mafia, per due motivi fondamentali. Il primo è che la pistola usata per l’assassinio, di piccolo calibro, non è un’arma da killer professionisti. Il secondo è che il giornalista non aveva ricevuto minacce. Intervistata dal giornale «Corse Matin», la sorella diceva che aveva trovato Nicolas «sorridente, rilassato e pieno di progetti». E testimonianze analoghe venivano rese dai partecipanti al seminario dell’università di Corte. Il magistrato Gerard Egron-Reverseau, come hanno riportato i giornali già dal 18 giugno, ha battuto quindi la pista del delitto occasionale, compiuto da balordi. E su questa linea si è lavorato con zelo, per un anno intero, fino a quando la gendarmeria di Ajaccio è riuscita a trarre in arresto un teppista trentenne, Didier Sialelli, autore di numerose rapine a mano armata.
Secondo gl’investigatori, nel pomeriggio del 17 giugno, dopo aver imboccato la strada per Bastia, Nicolas Giudici si sarebbe fermato per la foratura di una gomma, e in quella circostanza avrebbe preso a bordo il Sialelli, per motivi ignoti. All’interno dell’auto di lì a poco sarebbe scoppiata una lite, che sarebbe culminata appunto con l’uccisione del giornalista. L’assassino a quel punto avrebbe scaricato il corpo della vittima nei pressi di Piedigriggio e, impadronitosi dell’auto, avrebbe svoltato ad est, verso Cervione, dove, dopo un incidente, avrebbe abbandonato il mezzo, dandogli fuoco. Gli investigatori hanno dedotto tutto questo da dati e reperti materiali, ma soprattutto dalla deposizione di una automobilista, che dallo specchio retrovisore avrebbe intravisto Sialelli nell’auto del giornalista. Si è tenuto conto poi di alcuni riscontri. Qualcuno ha dichiarato che Sialelli, subito dopo il delitto, aveva cambiato pettinatura e abbigliamento, per rendersi forse meno riconoscibile. La gendarmeria accertava, dal canto suo, che almeno in due casi di rapina Sialelli aveva usato una pistola di calibro 6,35.
Il seguito della storia è curioso. Arrestato nei primi di agosto del 2002, il presunto assassino dopo un anno di carcerazione è stato liberato, in attesa del processo, per la scadenza dei termini di custodia. Ma non ha avuto il tempo di godere di quella libertà perché di lì a poco è stato ucciso, per motivi sconosciuti. E con questo epilogo, il procedimento giudiziario sulla morte di Nicolas, che avrebbe dovuto ancora chiarire non pochi aspetti in ombra, non essendosi mai staccato peraltro dal terreno indiziario, si è fermato. Restava da definire, tra l’altro, il ruolo che avevano potuto giocare nella vicenda due persone, ancora di Ajaccio: Cédric Campana e la sua compagna Yannick Bridoux, arrestati quali presunti complici dell’uccisore. Da una conversazione al cellulare, intercettata, gli investigatori avevano accertato che il primo, reduce pure lui da una sequela di delitti contro il patrimonio, era «ben consapevole» di fatti connessi al delitto. Dopo l’uccisione del Sialelli essi uscivano tuttavia di scena perché la legge francese non permette la continuazione del procedimento penale se l’imputato principale è deceduto. «La morte di Nicolas – spiega Claire – a quel punto è come finita nel nulla. Non abbiamo saputo più niente». Perché allora lo studioso còrso è stato assassinato?
I familiari ritengono che il delitto non presenti retroscena significativi, in grado di invalidare le tesi degli inquirenti. Escludono, soprattutto, che possa essersi trattato di un intrigo politico. «Nicolas – dice ancora Claire – ha condotto una vita bella e grande. Ha avuto solo la sfortuna di incrociare sulla sua strada, per pura casualità, un balordo, che agiva probabilmente sotto l’effetto della droga». Qualcuno non esclude tuttavia la pista del delitto organizzato. Lo scrittore Marc Bonnant, che di recente ha dedicato alla Corsica dei clan un intenso romanzo, Cunsigliu, sin dagli inizi è stato scettico sugli orientamenti dell’inchiesta ufficiale. Nel 2008, dopo aver rievocato sul suo blog la figura di Nicolas, in un articolo intitolato significativamente Acqua in bocca, ha ipotizzato un delitto pianificato, ponendo a se stesso e ai lettori una domanda forte: «Chi ha avuto interesse a far tacere Giudici?». E rimane di questo convincimento. «È sorprendente afferma oggi che un crimine compiuto da un balordo abbia lasciato così pochi indizi e testimoni. L’ipotesi di un delitto premeditato è più realistica».
L’impegno di studio di Nicolas non è stato ininfluente. Lo stesso Procuratore Generale di Ajaccio, Bernard Legras, intervistato nel settembre 1998 dal «Nice-Matin», ha definito Le crépuscule des Corses «un libro illuminante, che dovrebbe diventare una lettura d’obbligo per chi arriva nell’isola per la prima volta». E tanto più quelle denunce possono aver destato preoccupazione dopo l‘assassinio del prefetto Claude Érignac, avvenuto il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio, quando lo scrittore, con il rigore consueto, ha ribadito da diverse sedi, pure televisive, la deriva dei nazionalisti e la loro penetrazione nelle città, oltre che nella stessa università di Corte. Ne sono potuti derivare a quel punto seri risentimenti. Ciò malgrado, la pista dell’indipendentismo armato resta inverosimile. La presa di posizione pubblica dei nazionalisti dopo il delitto rivela un atteggiamento coerente e perfino un rispetto di fondo, nei riguardi di un intellettuale che, alla luce di tutto, per nessuna ragione e in nome di nessuna causa poteva essere presentato come nemico della propria terra. Spunti interessanti presenta invece la pista che riconduce al caso Kamal, la quale, evocata da Marc Monnant nell’articolo citato, solo agli inizi è stata presa in considerazione dai funzionari della gendarmeria. Poco prima della morte, Nicolas aveva presentato alla casa editrice Grasset un memoriale di Karim Kamal, noto in Francia per aver scoperchiato un affaire di prostituzione minorile nella Costa Azzurra, cui avrebbero partecipato alti funzionari di Stato. Quel memoriale sarebbe dovuto uscire di lì a poco. In realtà non è stato mai pubblicato.
Il caso di Nicolas Giudici rimane in definitiva aperto. E tale resta prima di tutto a livello morale. Il saggista còrso, ucciso a 52 anni, ha scritto una pagina esemplare nella storia civile della sua isola e in quella della Francia. La sua lezione ha lasciato tracce significative, nella ricerca socio-antropologica sull’isola della bellezza e nel vivo del Paese. Gli studenti, spiega la sorella Claire, ricercano ancora nei suoi scritti gli spunti per comprendere l’evoluzione della questione còrsa nel secondo Novecento. Si tratta tuttavia di una storia offesa, prima di tutto dai silenzi del Paese pubblico. Nicolas ha denunciato il male oscuro della sua terra, senza rimuovere però i torti antichi della Francia. Ha fatto tutto questo con intensità, ma anche con rispetto e perfino con soavità. L’esito è che ancora negli anni di Sarkozy la sua vicenda suscita disagi e timori. È importante e giusto, allora, che le società civili ne onorino la memoria.
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