Enel, Cile e diritti violati

Il tema è stato oggetto della tavola rotonda svoltasi mercoledì 16 novembre a Napoli su «Il diritto all’acqua in Patagonia: responsabilità italiane e forme di resistenza non violenta», nell’ambito della IV Edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani
25 novembre 2011
Marco Fasciglione

Nel 1981, il Cile della dittatura di Pinochet dava avvio ad un ‘esperimento’, all’epoca, unico nel suo genere: promulgare un testo legislativo, il «Código de aguas», che procedeva alla ‘privatizzazione’ dell’acqua potabile (laghi e corsi d’acqua inclusi) in tutto il Paese. Ispirato all’idea che anche i beni comuni a tutta l’umanità (i cosiddetti commons) come l’acqua potabile, l’aria ecc. debbano essere considerati una merce, secondo una visione cara alle teorie economiche neoliberiste propugnate da Milton Friedman e dai «Chicago Boys», questo folle esperimento finiva con l’attribuire a singoli privati il diritto di proprietà esclusiva su tali beni. La tavola rotonda

I suoi effetti perversi sono visibili, mai come in questi giorni, nella «guerra dell’acqua» che si è scatenata tra alcune delle più note multinazionali occidentali del settore energetico e una piccola comunità locale di cittadini cileni della Patagonia. Queste persone, infatti, da alcuni anni si oppongono alla realizzazione di un maxi progetto idroelettrico; si tratta del Progetto HidroAysén, cinque centrali idroelettriche da costruire lungo due fiumi della Patagonia cilena, il fiume Baker e il fiume Pascua: questi impianti potrebbero soddisfare il bisogno di energia del Cile centrale, ma al costo di danneggiare in modo permanente una delle aree più importanti del pianeta dal punto di vista naturalistico e con un impatto sociale devastante sulle popolazioni locali. L’opera da realizzare, frutto di una joint venture (la società HidroAysén che è proprietaria grazie al «Código de aguas» dei  due fiumi) tra Enel, Endesa, Endesa Cile, e la Colbún e in cui l’Enel possiede la maggioranza delle quote azionarie, avrà bisogno di una superficie piuttosto estesa: quasi 6.000 ettari composti esclusivamente da foreste, ricche di biodiversità, sia vegetale che animale, di cui buona parte, 5.910 ettari, saranno sommersi dall’acqua. Ma non è tutto, l’energia prodotta dovrà poi essere trasportata a 2.300 Km di distanza, tramite una linea di trasmissione composta di migliaia di torri alte decine di metri, che dovranno attraversare 9 regioni, 6 parchi nazionali e 67 comuni.

Pubblico in sala

La vicenda ripropone una delle questioni più importanti di questa fase storica: il conflitto tra due diversi sistemi di valori che ispirano le teorie sulla governance della società contemporanea, e cioè, da un lato, un sistema cosiddetto right-based, caratterizzato dalla centralità dell’individuo e dei diritti a questi ricollegati, nonché dall’attenzione particolare riservata alla garanzia di adeguati livelli di benessere per chiunque e, dall’altro lato, un sistema fondato, al contrario, sulla … ‘priorità’ delle esigenze delle strutture economiche e finanziarie rispetto alle strutture politiche e a quelle giuridiche. HidroAysén rappresenta, evidentemente, un modello ispirato alla logica del secondo tipo: un modello insostenibile che non tiene conto dei limiti del pianeta e respinge l’idea di coloro che sostengono che le risorse naturali sono beni comuni e che la loro gestione deve coinvolgere le popolazioni e le comunità locali direttamente interessate e non può essere delegata ad enti che perseguono esclusivamente il fine del profitto.

Il tema, estremamente complesso e articolato, è stato oggetto della tavola rotonda svoltasi nel corso della mattina di mercoledì 16 novembre su «Il diritto all’acqua in Patagonia: responsabilità italiane e forme di resistenza non violenta», nell’ambito della IV Edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli (dall’8 al 19 novembre 2011). La manifestazione, che si è svolta presso la sede del Forum delle Culture Napoli 2013, è stata curata da Valentina Ripa, ricercatrice dell’Università di Bari Aldo Moro che collabora da tempo con l’associazione Cinema e Diritti, ed è stata introdotta dalla proiezione di un film sull’argomento, “Life for sale”, di Yorgos Avgeropoulos (Grecia, 2010), nonché di alcuni brevi filmati tratti dal documentario Lucciole per lanterne, in corso di produzione sotto la regia di Mario e Stefano Martone. Alla tavola rotonda, moderata dal giornalista RAI Enzo Nucci e dalla stessa Valentina Ripa, sono intervenuti, oltre che uno dei due registi del documentario, Mario F. Martone, il prof. Alberto Lucarelli, ordinario di diritto pubblico presso l’università Federico II di Napoli e professore della stessa disciplina presso la Sorbona, nonché Assessore ai Beni Comuni del Comune di Napoli e tra i redattori dei recenti quesiti del referendum sull’acqua; padre Alex Zanotelli, missionario comboniano che da tempo si batte per evitare la privatizzazione dell’acqua; Marco Fasciglione, ricercatore CNR e studioso del tema dell’impatto delle attività delle multinazionali sulla protezione dei diritti umani; Caterina Amicucci, membro della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale e del Coordinamento italiano Patagonia senza dighe; Julio Santucho, fondatore dell’Instituto Multimedia DerHumALC di Buenos Aires; Silvio Cuneo, di Cine Otro Valparaíso - Festival de Cine Político, Social y Derechos Humanos.

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