Presentato al Valle il libro “Chi ha ucciso Pio La Torre”

Non chiamiamola (solo) mafia

Al teatro Valle Occupato di Roma è stato ricordato il segretario siciliano del partito Comunista italiano Pio La Torre, ucciso a Palermo nel 1982. Dieci anni dopo venivano uccisi i giudici Falcone e Borsellino
23 maggio 2012

Teatro Valle, 18 maggio 2012. Presentazione del libro "Chi ha ucciso Pio La Torre"

Non aveva mai usato la parola “mafia”, Pio La Torre, e nemmeno locuzioni come “fenomeno mafioso”. Quello che doveva essere indagato e contrastato, nella sua visione, era invece “un sistema politico – affaristico - mafioso” che nasceva da un  liberismo selvaggio.

Sul palco del teatro Valle ci sono gli autori del libro “Chi ha ucciso Pio La Torre” (il giornalista Paolo Mondani e l’avvocato Armando Sorrentino). Prima degli autori, parla una lucida Adriana Laudani, esponente siciliana del Partito Democratico (interverranno anche l’editore Castelvecchi, il giornalista Marco Travaglio, il Procuratore della Repubblica Antonio Ingroia e il giornalista Claudio Fava).

Brindisi, nuovo orrore

L’incontro al teatro Valle Occupato aveva luogo il 18 maggio. Il mattino seguente abbiamo saputo di un crimine orrendo: lo scoppio di tre bombole all’ingresso di una scuola di Brindisi - intitolata al giudice Francesca Morvillio Falcone - che ha provocato la morte di una ragazza e il ferimento di altri otto studenti. Quel giorno a Brindisi era in arrivo la "carovana della legalità", iniziativa del movimento che ha avuto origine nel 1994, dopo gli attentati ai giudici Antonio Falcone e Paolo Borsellino. In ogni caso, l'orario dell'attentato denuncia la volontà - o comunque l'accettazione del rischio - di provocare una strage. Le indagini al momento, oltre a quella della criminalità organizzata, non trascurano altre piste

Aveva lavorato – giovanissima - al fianco di Pio La Torre nei mesi che ne avevano preceduto l’uccisione. 

Aveva chiesto di tornare in Sicilia, La Torre, con l’incarico di segretario del partito Comunista siciliano. Voleva fare qualcosa proprio lì nella sua terra, dopo aver ricoperto un incarico di responsabilità nel partito a Roma e quello di parlamentare per tre legislature. In quegli anni era stato membro della commissione d’inchiesta sulla mafia che terminò i suoi lavori nel 1976. In quell'occasione, aveva firmato una relazione di minoranza insieme a Cesare Terranova - giudice in aspettativa e parlamentare indipendente nel PCI - in cui si parlava dei legami tra mafia e uomini politici, in particolare con esponenti della Democrazia Cristiana (come Salvo Lima e Vito Ciancimino). Vi si sottolineava anche il ruolo attivo dei mafiosi nell'indurre i politici a chiedere denaro e favori. Entrambi i firmatari della relazione furono poi uccisi: il giudice Terranova il 25 settembre 1979 (dopo il ritorno in servizio, alla Procura di Palermo), Pio La Torre il 30 aprile 1982.  

La Torre aveva spiegato le ragioni dell’omicidio di Piersanti Mattarella (esponente democristiano e presidente della regione Sicilia), avvenuto nel 1980, e le aveva collegate alle vicende della bancarotta delle banche di Michele Sindona, legato a clan mafiosi. Mattarella, in Sicilia, rappresentava quello  che era stato Aldo Moro anni prima aprendo al partito Comunista. E il nome di La Torre -  insieme a quello del Ministro della Giustizia Virginio Rognoni - rimane legato a una proposta di legge che prevedeva l’introduzione di quello che è poi diventato l’articolo  416 bis del codice penale. In precedenza non era previsto un autonomo reato di “associazione mafiosa”, che veniva ora sanzionato con una pena per i suoi affiliati che poteva andare dai tre ai sei anni - oltre nei casi di banda armata - la decadenza della possibilità di ricoprire incarichi civili e la confisca dei beni riconducibili alle attività criminali. La legge fu approvata solo dopo la sua morte (e dopo l'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa).

Secondo Paolo Mondani – giornalista di Report e coautore del libro – le ragioni dell’uccisione di Pio La Torre quel 30 aprile del 1982 sono da collegare non tanto e non solo alla legge che porta il suo nome (all’epoca non ancora approvata), quanto alla volontà di fermare il processo di crescita della società italiana. Di questa crescita erano un segnale le manifestazioni pacifiste contro la collocazione di missili cruise e di testate nucleari nella cittadina siciliana di Comiso, nell’’81 e poi ancora negli anni successivi - in tempi di guerra fredda. C'era un movimento europeo contro tutti i missili. E' risaputo anche che le terre che si volevano utilizzare a Comiso per la costruzione della base Nato erano nel dominio della mafia. Mondani ricorda di aver conosciuto La Torre incontrandolo tra i manifestanti, tra i quali svolse un ruolo molto attivo: voleva che il Mediterraneo fosse un luogo di pace. Anche secondo Claudio Fava - esponente di Sinistra, ecologia e libertà e figlio del giornalista de “I Siciliani” ucciso dal clan dei Santapaola nel 1984 - le politiche della mafia si fondavano sulla stessa logica di subalternità del territorio a cui La Torre si opponeva con la sua attività anche a Comiso (come lo stesso segretario siciliano spiegava ai vertici del partito Comunista, che avevano metabolizzato le decisioni riguardanti la costruzione della base).

Comiso 1983

Un mondo per la pace. Comiso, trent'anni dopo

Nel foyer del teatro Valle, foto in bianco e nero propongono le immagini delle manifestazioni pacifiste dei primi anni '80 in vari paesi, come Francia, Russia, Inghilterra, Nuova Zelanda. Le foto provengono da una mostra realizzata anni fa a Comiso e sono ora affidate a Banca Etica. E' la mostra "Un mondo per la pace. Comiso, trent'anni dopo" (curata da Gianfranco Irlanda con la collaborazioone di Emiliana Renella)


                                           

A Comiso in quegli anni - da studente - c'era anche Antonio Ingroia. Oggi è Procuratore della Repubblica a Palermo e ricorda l’importanza della legge La Torre, che introduceva il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni, e che soprattutto divenne una norma di orientamento politico-culturale, influenzando la giurisprudenza. Da ciò derivarono anche la collaborazione del pentito di mafia Tommaso Buscetta, le incrinature del mito dell’impunità dell’organizzazione criminale e il successo del maxi-processo di Palermo, conclusosi in primo grado nel 1987 (che giudicò 475 imputati, condannandone 360). Ma ricorda che il profilo militare dell’organizzazione non esaurisce la mafia, che è un sistema di potere politico-criminale.

Secondo Ingroia, sembra passato un secolo dagli anni di Comiso e di Pio La Torre e da quella capacità di lettura e di progettare una società diversa. Però alcuni principi sono penetrati nella cultura della maggioranza della magistratura. Il punto è che non è avvenuto altrettanto per la politica, né quanto a capacità di analisi e progettualità, né quanto a intransigenza morale, etica e politica.

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