Morti d’amianto alla Pirelli
Come per la vicenda Eureco (1) la storia si ripete nel processo Pirelli. Ancora una volta lavoratori sacrificati sull’altare del profitto e, cosa ancor più aberrante, ancora una volta verità storica e processuale non coincidono al punto da non ammettere i Comitati come parti civili in tribunale. Il giudice ha giustificato la sua decisione sostenendo che il “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio” si sarebbe costituito solo dopo l’epoca dei fatti in giudizio e che l’attività del Comitato è nota solo dopo il 2004. Nel comunicato stampa il Comitato ribadisce che “è attivo dagli anni 80 nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro di Sesto San Giovanni e Milano” e che “la prevenzione primaria e la lotta per la messa bando di tutti i cancerogeni sono dimostrate da centinaia di lotte e assemblee molto partecipate, come dimostrano gli allegati consegnati al giudice nella corposa documentazione delle attività svolte, attività che è stata completamente ignorata”. Fatto ancor più inspiegabile è che il Comitato aveva chiesto solo un euro di risarcimento, pertanto l’esclusione può essere motivata solo dal fatto che l’intenzione è quella di escludere dal processo parti “scomode”. Anche se escluso dal processo, il Comitato sarà presente grazie ad alcuni associati (ex lavoratori della Pirelli) che, citati come testimoni, “ricostruiranno il ciclo produttivo e testimonieranno di essere stati costretti a lavorare con l’amianto senza essere informati dei rischi che correvano, rischi ben conosciuti dai dirigenti aziendali”. Nonostante il duro colpo i Comitati non hanno intenzione di arrendersi, la battaglia affinché i Tribunali non si limitino a monetizzare la salute e la vita umana non deve conoscere soluzione di continuità. I membri del Comitato vorrebbero che “i responsabili delle morti di tanti lavoratori e cittadini pagassero il loro debito nei confronti delle vittime delle famiglie e della società. Non ci interessa vederli in galera, anche se lo meritano”. Anziché la galera sarebbe auspicabile che i tribunali, “come forma di risarcimento, condannassero, chi ha anteposto il profitto calpestando ogni diritto, a fare un lavoro socialmente utile: accudire i malati e vivere accanto alle loro vittime assistendole nell’ultimo periodo della loro vita”
Teniamo alta l’attenzione su queste vicende. Solo così potremo cercare giustizia per i lavoratori morti per malattie causate dalle micidiali polveri dell’amianto. Nonostante i dirigenti della Pirelli abbiano dichiarato di aver “sempre agito cercando di tutelare al meglio la salute e la sicurezza dei propri dipendenti con le misure adeguate alle conoscenze tecniche a disposizione nel corso degli anni” (2) arrivarono, in un secondo momento, ad offrire tra i 70 e i 150 mila euro per ciascun operario deceduto. Ricordiamo che i fatti qui descritti si riferiscono agli anni ’70 e ‘80. Le accuse, per gli 11 dirigenti della Pirelli ancora in vita, sono omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e omissione o rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
(2)http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Per_i_Giornalisti/Rassegna_Stampa/Indice_Cronologico/2012/Luglio/20/SICUREZZA/info-1621832282.jsp
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