Governo, passaggio di consegne fra Letta e Renzi

Un passaggio opaco

Forse, per aiutare l’opinione pubblica a decifrare un’operazione che si fatica a non definire «di Palazzo», non sarebbe stato male chiarirla in Parlamento come chiedono le opposizioni
14 febbraio 2014
Massimo Franco
Fonte: Corriere della Sera

Si può anche ironizzare sull’incoerenza di un Matteo Renzi che dice una cosa per settimane e alla fine ne fa un’altra. Oppure additare l’irritualità di una crisi di governo che non si consuma con un voto di sfiducia parlamentare ma dentro la Direzione di un partito. L’impressione, tuttavia, è che ormai non serva a molto scandalizzarsi: il problema non è solo Renzi. Il paradosso di quanto accade in queste ore sono la lacerazione e il conformismo di un Pd che aspira a essere il pivot della politica. Ma intanto sprigiona instabilità, scaricando sull’Italia le sue faide interne. E passa in pochi giorni dagli applausi a Enrico Letta ad un ruvido benservito. Di fatto, opaco.

Non basta dare in «streaming », in stile grillino, i lavori della Direzione del Pd. Ci sarà tempo per rivedere la liquidazione di un governo nato tra mille difficoltà e boicottato proprio da chi doveva sostenerlo. Né basta la constatazione che, soprattutto nell’ultimo periodo, il premier apparisse esitante. Forse lo era anche perché avvertiva l’ostilità del suo partito. Presto si vedrà se la scossa promessa da Renzi, successore in pectore , ci sarà davvero: pur restando affidata alla maggioranza di prima, tanto bistrattata, con l’ipotesi di aggiungere schegge del Sel di Vendola.

L’ambizione di arrivare alla fine della legislatura è enorme, e affidata ad una velocità che confligge con una realtà da maneggiare con pazienza e prudenza. Ma il segretario del Pd conta sicuramente su doti capaci di sorprendere. Basta che tutto non si riduca a «effetti speciali» destinati a durare lo spazio effimero di pochi mesi, per poi presentare al Paese il conto di elezioni anticipate. Altrimenti, la scossa verrebbe percepita come il velo calato su un’operazione dettata da ambizioni personali e logiche trasformistiche.

Il modo in cui la nomenklatura del Pd ondeggia da una leadership a un’altra non sembra un indizio di convinzione, ma di un primitivo istinto di sopravvivenza. È difficile sottrarsi al dubbio che il grande consenso cresciuto intorno a Renzi non sia il frutto virtuoso delle primarie, ma della paura di un voto anticipato a maggio. Nel probabile presidente del Consiglio i gruppi dirigenti, politici e non solo, vedono la polizza di assicurazione per scongiurare il «tutti a casa»; e magari compiere l’ennesima spartizione. La speranza è che Renzi sventi queste manovre.

Gli manca l’esperienza, è vero, ma non difetta di spregiudicatezza e abilità. Forse, per aiutare l’opinione pubblica a decifrare un’operazione che si fatica a non definire «di Palazzo», non sarebbe stato male chiarirla in Parlamento come chiedono le opposizioni: a costo di sfidare strumentalizzazioni. Se l’unico motivo per archiviare il governo Letta con una riunione di partito è di non acuire le divisioni interne, è un po’ poco. Un Pd davvero convinto delle sue buone ragioni dovrebbe spiegare davanti al Paese i motivi della crisi. Altrimenti, la Terza Repubblica nascente rischia di somigliare ad una caricatura ringiovanita della Prima.

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