Eredità culturale e dialogo interreligioso nel Medioevo mediterraneo

Riflessioni sul libro "Francesco d'Assisi, al-Malik al-Kamil, Federico II di Svevia: eredità e dialoghi del XIII secolo", uscito nei giorni scorsi, mentre si avvicina l'VIII centenario dall'incontro pacifico che il frate di Assisi ebbe con il sultano d'Egitto, nel contesto di una crociata.
14 luglio 2019
Pino Blasone (Scrittore, studioso del mondo islamico)

Tre sono i saggi che compongono questo nuovo libro: "Francesco e il sultano. Un incontro di otto secoli or sono, una lezione per il presente", dellʼeminente studioso medievalista Franco Cardini; "Un secolo aperto, tra diversità culturali e confronti politico-religiosi", dello storico mediterraneo Carlo Ruta; "Il sultano al-Malik al-Kāmil, tra San Francesco e Federico II di Svevia", ricognizione documentaria e filologica di chi qui scrive.
In effetti, lʼopera in questione è frutto di un lungo e assiduo impegno con-cordato o convergente, sia nel campo della ricerca storico-culturale sia a livello editoriale. Tanto più, quanto si è voluta adottare una forma espositiva divulgativa, il più possibile lontana da quella spesso in uso presso uno specialismo accademico sia pure indispensabile e rigoroso, ma destinata principalmente alla lettura da parte dei cosiddetti addetti ai lavori.
Questa breve premessa nulla toglie alla complessità della materia trattata, e allʼesigenza di affrontarla con un approccio partecipe, ma critico e aggiornato allo stesso tempo. Lʼattualità maggiore consiste paradossalmente purtroppo nel fatto che il fenomeno dellʼintolleranza ha coinvolto e in certi casi insiste a coinvolgere più di una religione, perfino religioni monoteiste che possono considerarsi affratellate se non altro da unʼorigine e un indirizzo comuni.
Anche perciò, abbiamo cercato di mettere a fuoco – una volta di più, ma questa volta valutandoli insieme – episodi storici altamente significativi, quali gli incontri in terra dʼEgitto tra Francesco dʼAssisi e il Sultano al-Malik al-Kāmil, avvenuto nel lontano ma non proprio remoto 1219, e più tardi in Terra Santa fra lo stesso al-Kāmil e il Sacro Romano Imperatore Federico II di Svevia.

Copertina del libro
Infatti, tali eventi furono entrambi almeno intenzionalmente e tendenzialmente pacifici, in un teatro mediterraneo di belligeranza ormai cronica allʼepoca fra Europa cristiana e Vicino Oriente islamico. Peraltro, essi ben sembrano essere stati fra loro collegati e conseguenti. Da qui, il titolo stesso del volume di Edizioni di storia e studi sociali: "Francesco dʼAssisi, al-Malik al-Kāmil, Federico II di Svevia. Eredità e dialoghi del XIII secolo".
Una possibile «lezione per il presente», suggerisce Cardini fin dal titolo del suo saggio. Lezione di diplomatica santità, da parte specificamente di Francesco, o di intelligenza politica, da parte di al-Kāmil e Federico? Fu una collaborazione o convergenza, ma non una coincidenza, piuttosto rara e felice. Non dimentichiamo, in proposito, che i due sovrani furono saggiamente consigliati. A ben vedere, comunque, non importerebbe neppure troppo se il primo era un vero santo, quale egli attualmente fu nel senso migliore e nellʼaccezione generale del termine; o i secondi, governanti avveduti e illuminati.
Ciò che qui più interessa è che detti incontri risultano sufficientemente documentati dalle fonti storiche e quindi reali, al di là di ogni successiva leggenda, che aggiunse particolari più o meno miracolosi o agiografici. Il che sta ad attestare, in linea di massima, come la pace sia pur sempre auspicabile e possibile, soprattutto dipendendo da una reciproca conoscenza e condivisione di buona volontà. Francamente, il resto ha assai poco a che vedere sia con lʼumana ragionevolezza, sia con unʼautentica religiosità.
Si può obiettare che quella pace, susseguente al trattato stipulato tra Federico e al-Kāmil nel 1229, a sua volta e in parte attendibilmente ispirato dal precedente incontro dello stesso sultano con S. Francesco, ebbe breve durata. Una volta scomparsi i suoi firmatari, tornarono a prevalere a lungo interessi conflittuali, dogmatica irragionevolezza, addirittura superstizioso fanatismo. Tuttavia, questa sfortunata circostanza non sminuisce poi molto la fattualità ed esemplarità di tale accordo, se non altro perché esso è parimenti documentato – e fu aspramente osteggiato – da ambo le parti in causa. Certo, per essere davvero efficace, quella «lezione» andrebbe perlomeno adeguata ai mutati contesti della nostra epoca.
Se i contesti di oggigiorno sono difficili e complessi, dʼaltronde quelli tardomedievali contemporanei con gli eventi in oggetto non erano semplici né elementari. Questo, il tema principale del contributo di Carlo Ruta, il quale nondimeno si sofferma sulla loro ricchezza culturale, maggiormente che sulla negatività politica ricorrente in ambito specialmente mediterraneo. Ciò rientra in una visione dialettica, che non privilegia necessariamente i fattori ideali su quelli materiali, bensì restituisce alle ragioni culturali il loro giusto peso nella dinamica storica.
E quel Medioevo fu, non solo secondo Ruta e non solamente stando a questo ma anche ad altri suoi scritti, estremamente fecondo, che si guardi sia alla civiltà europea prevalentemente cristiana, sia a quella arabo-islamica confinante e per così dire dirimpettaia. Prendere in considerazione soltanto la conflittualità, che pure ci fu e fu accanita, anziché lʼinterazione da cui in qualche rilevante misura scaturirà quella che noi chiamiamo modernità, sarebbe un miope e fuorviante errore storiografico.
Ebbene, ecco allora che i «dialoghi» tra Francesco e al-Kāmil prima, e fra questʼultimo e Federico II Hohenstaufen dopo, non appaiono più tanto episodi sporadici o isolati, quanto logici benché eccezionali sviluppi di un dialogo ben più ampio e fondante, che aveva coinvolto non solo religiosità e perfino mistica, ma comprendeva anche la filosofia e le scienze o le tecniche. In buona parte, lʼeredità di quella civiltà classica greco-romana, alla cui preservazione e traduzione in particolare la cultura araba aveva largamente concorso. In altri termini, la missione umanitaria specialmente di San Francesco si iscriveva già in un orizzonte umanistico, nonostante imprevisti e disillusioni storiche a venire.

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