Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil. Accadeva otto secoli fa
Il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica è un centro di ricerca le cui attività didattiche e scientifiche preparano a un dialogo teologico informato con i musulmani. Gli studenti, laici e religiosi, del PISAI provengono da ogni parte del mondo. La formazione che il PISAI dispensa, da oltre 50 anni, in vista del conseguimento della Licenza e del Dottorato in Studi Arabi e Islamistica, si basa sullo studio approfondito della lingua araba quale strumento indispensabile per avere accesso ai testi fondamentali dell’Islam. L’insegnamento di scienze islamiche si propone di presentare la storia e il pensiero dell’Islam tradizionale, classico e moderno, con spirito di neutralità scientifica. Fondato dalla Società dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi), il PISAI considera pubblicazioni e ricerca strumenti privilegiati di una preparazione seria e profonda al dialogo umano, teologico, interreligioso e interculturale. E stasera, si mette in evidenza che l’istituto fondato dai Padri Bianchi non solo permette la collaborazione di un frate francescano come docente, ma eleva l’incontro fra San Francesco e il sultano al-Malik al-Kamil come momento importante nella storia del dialogo tra musulmani e cristiani. In questo, il PISAI risponde alla chiamata di Papa Francesco, che indica nella sua predicazione l’importanza di quel momento, ma anche risponde al grande interesse tra gli storici e teologi negli eventi di Damietta ottocento anni fa, l’interesse che porta frutto in una abbondanza di pubblicazioni in questo ottavo centenario.
Tra gli studiosi dell’incontro tra Francesco e sl-Malik al-Kamil è emersa una grande sfida. Molti studiosi profondi conoscitori delle fonti francescane ritengono lacunose le fonti delle crociate, giacché molti testi dei cronisti non sono stati mai tradotti. D’altra parte, molti storici delle crociate non conoscono bene tutte le fonti francescane: conoscono la storia di Francesco stesso, ma sfugge loro sempre qualcosa quando considerano i dettagli dei testi agiografici.
Tenuto conto di questa premessa, il libro Francesco d’Assisi, al-Malik al-Kamil, Federico II di Svevia offre una presentazione equilibrata se lo si confronta con altre pubblicazioni. Si trovano contributi di tre studiosi seri: Carlo Ruta, Franco Cardini e Pino Blasone. Dirò due parole in apprezzamento di ogni contributo presente nel volume di Edizioni di Storia e Studi Sociali, prima di passare la parola agli autori presenti perché desidero sentire le loro osservazioni.
Lo stimato storico Franco Cardini non ha bisogno di una presentazione. Ha insegnato in ogni parte del mondo, ma qui in Italia, soprattutto nell’Università di Bari, l’Università di Firenze e la Pontificia Università Lateranense. I suoi molteplici libri e articoli su Francesco e il suo movimento sono ben noti e fondamentali per ogni studente di storia. Ringraziamo il professore perché non aveva già dato la sua ultima parola su questo argomento. Al contrario, la forza del secondo contributo al volume, con titolo Francesco e il sultano. Un incontro di otto secoli or sono, una lezione per il presente, il contributo più lungo del libro, esce soprattutto nelle risposte che il prof. Cardini offre altri studiosi che discutono il suo lavoro – tra loro si trovano Giovanni Miccoli e Jacques Dalarun – e il gran dibattito sulla vocazione missionaria di Francesco. Invece di ripetere gli stessi argomenti, ormai familiari, il prof. Cardini affila la spada con questo articolo, e il risultato è un contributo di vero valore che dovrà attirare l’attenzione di coloro che si interessano all’incontro.
Vorrei sottolineare soltanto un punto che mi sembra di estremo interesse: le divergenze tra le immagini dell’Islam nell’Europa di Francesco. Non dobbiamo supporre che tutti demonizzassero l’Islam esattamente allo stesso modo, e il prof. Cardini ci ricorda che i dotti teologi descrivevano l’Islam come un’eresia cristiana, mentre i poeti delle Chansons de Geste cantavano di un paganesimo demoniaco. I raffinati autori di romanzi cavallereschi, invece, raffiguravano l’Islam come una religione misteriosa i cui fedeli erano spesso cavalieri leali e coraggiosi. Con ragione, il prof. Cardini suppone che Francesco propendesse per il terzo modello.
Carlo Ruta è un prolifico storico delle civiltà mediterranee. Nel suo saggio intitolato “un secolo aperto, tra diversità culturali e confronti politico-religiosi”, si ricostruisce criticamente il contesto dell’epoca, nell’area geografica presa in considerazione. Si mostra come già il secolo precedente, il XII, era stato ricco di fermenti, scambi commerciali e culturali, nonostante la conflittualità in atto o ricorrente. Non meraviglia che il XIII, il secolo di Francesco, fosse un tempo fecondo e relativamente aperto alla conoscenza dialettica di sé e dell’altro. Vocazione personale a parte, non si spiega altrimenti l’apertura mentale di Francesco d’Assisi, la sua disponibilità al dialogo inter-religioso e a una pacificazione politica, sia pure facendo mente locale a quelli che erano le condizioni materiali e i limiti ideali di un Medio Evo ormai tardo.
Tali condizioni erano comunque notevolmente migliorate e progredite, rispetto a un passato ancora recente o sotto certi aspetti nei confronti dell’antichità greco-romana, promuovendo l’ampliamento dell’orizzone cognitivo e morale. Specialmente di questo ampliamento Francesco si fece portatore illuminato, non sempre compreso fino in fondo dall’entourage a lui contemporaneo o perfino successivo. Tuttavia, il santo non fu certo personaggio isolato, anche nella sua intraprendenza verso un Oriente fino ad allora non tanto poco conosciuto quanto non di rado misconosciuto nella sua essenza e spesso temuto in conseguenza. I suoi seguaci e confratelli gli fecero onore, al di là degli stessi confini varcati dal loro predecessore e fondatore. Ci informa puntualmente Carlo Ruta, in merito:
“I viaggi di religiosi in Oriente continuarono lungo tutto il Duecento con esiti talvolta straordinari, come nel caso di Giovanni di Montecorvino, alto prelato francescano, che negli ultimi anni del secolo, senza impedimenti di rilievo da parte del Gran Khān e delle autorità territoriali, fondò la missione cattolica in Cina. Cresceva quindi l’esperienza missionaria che ancora nella prima metà del secolo successivo mobilitava altri francescani, da Odorico da Pordenone, che intorno al 1322 veniva ricevuto a Pechino dall’imperatore Yesün Temür Khan, a Giovanni de’ Marignolli, che nei primi anni quaranta, su mandato di Benedetto XII, raggiungeva la corte di Usbek, Khān dell’Orda d’Oro. Erano passi significativi, di un dialogo possibile tra Occidente e Oriente...”.
Il terzo contributo del volume, di Pino Blasone, mi ha interessato tanto, per motivi ovvi: l’argomento tratta le fonti arabe riguardanti l’incontro tra Francesco e il sultano. Con titolo Il sultano al-Malik al-Kamil, tra San Francesco e Federico II di Svevia, la “Storia del monaco”, Blasone discute una figura non bene conosciuta, Fakhr al-Din al-Farisi, sceicco sufi nell’epoca di al-Malik al-Kamil. Mi preme precisare che, a quanto mi risulta, non esistono fonti arabe sull’incontro tra Francesco e il sultano, ed io considero, d’accordo con Blasone, che la presenza di Fakhr al-Din al-Farisi all’incontro tra Francesco e il sultano è da ritenere improbabile. Ma Blasone mette in luce l’importanza della “conversione” nella mente di Francesco, mentre Francesco “predicava” in presenza di un leader formatosi in ambito sufi, proprio nel momento della diffusione del sufismo al Cairo. Scrive Blasone: “La ‘conversione’ tentata dal santo può non essere stata quella di tenore religioso in senso convenzionale, quanto la riconversione della figura dell’alieno in quella dell’atro, vale a dire evangelicamente del prossimo. Insomma, in un altro senso ma comunque trascendente, il santo non avrebbe mirato tanto a convertire il sultano d’Egitto, quanto noi stessi hic et nunc, nelle nostre mentalità e sensibilità. In che misura il sultano e i suoi eventuali consiglieri abbiano recepito e collaborato all’intento, se ciò facesse parte o meno di una politica illuminata, questo è un altro problema.”
Dopo, Blasone cita il prof. Cardini che qualche cosa di questa predicazione di Francesco sempre resterà un mistero, sempre ci sfuggirà, “in quanto appartiene alla parte più riposta dell’uomo di Assisi; eppure il segreto del suo speciale rapporto con l’Islam, di quella simpatia – ricambiata – che da allora in poi ha sempre legato i Minori al mondo arabo-musulmano, sta almeno in una certa misura in quell’ambito per noi inattingibile”. Mi sembra che questa conclusione debba chiudere questa presentazione di un libro che presenta tre contributi buoni, capaci di esplorare e analizzare l’origine di questo speciale rapporto con l’Islam, speciale rapporto che continua ai nostri giorni, e tanto più in questo particolare momento di celebrazione del centenario.
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