Covid 19. L’attesa del «picco» e il risveglio dall’incubo

21 marzo 2020
Carlo Ruta (Storico e saggista)

L’attesa del «picco» e il risveglio dall’incubo. Mentre il contagio del coronavirus in Italia si fa sempre più virulento, si insiste ad assicurare, come in una specie di liturgia scaramantica, che si sta aspettando il «picco»: ritenendolo ormai questione di giorni. Ma il picco di che? La situazione mi sembra troppo seria per non meritare una più ponderata visione delle cose, a partire da un dato di fatto: il morbo sta percuotendo l’Europa intera, con effetti che, sul piano del contrasto, rendono la prospettiva ancora più complessa e ingarbugliata. La mancata coesione nell’azione di contrasto allunga e diversifica infatti i tempi del contagio e non permette di gestirne in maniera unitaria l’evoluzione complessiva: diversamente da quanto è avvenuto in Asia, dove un chiaro orientamento strategico ha permesso di arrivare ad una sorta di reductio ad unicum, di riportare cioè ad unità, come nella favola del pifferaio magico, tanto il contagio virale quanto la risposta complessiva.
In realtà, i tempi e i numeri dell’infezione in Europa variano da Stato a Stato. Ogni paese avrà perciò i suoi picchi: di conseguenza, l’infezione, da un picco all’altro, da un paese all’altro, per contagio diretto o indiretto, di andata o di ritorno, tende a diventare sullo sfondo pandemico, pericolosamente, un’endemia continentale, con andamenti ciclici, un po’come il colera di altri tempi. Possono aprirsi allora problematiche nuove, di terreno, causate appunto, in larga misura, dal collasso operativo che sta caratterizzando questa fase.
Un problema a sé resta tuttavia l’Italia, dove è palese che sta mancando una risposta sanitaria e istituzionale coerente, e dove la drammaticità della situazione, peraltro prevedibile, sempre più assume toni paradossali. Il governo, la protezione civile, le regioni e perfino i comuni si muovono sempre più in ordine sparso, in un clima ogni giorno più teso, in cui va creandosi spazio, purtroppo, per atti fuori misura. Che bisogno c’era, ad esempio, di militarizzare le strade della città di Palermo, dove si contano ancora diverse decine di contagi e non esiste una emergenza di livello sanitario, mentre poteva bastare a fare la differenza, in questa fase almeno, l’azione forte, già avvenuta, della chiusura pressoché integrale dei collegamenti dell’intera Regione con l’Italia continentale?
In sostanza, malgrado il «peana» di queste settimane, non si avrà nel Paese un «picco» conclusivo e complessivo. La Lombardia avrà il suo, verosimilmente presto, ma dopo, a distanza di giorni, settimane, o addirittura qualche mese, arriveranno quelli dell’Emilia, del Veneto, della Toscana, dell’Umbria, del Lazio, della Puglia, della Sardegna, della Sicilia e così via, che rischiano di riaprire la partita. E nello specifico di ogni regione i picchi saranno ancora vari e dislocati nel tempo. A Codogno e in altre zone rosse a quanto pare c’è già stato, ma non è cambiato nulla, e verranno pian piano quelli di Lodi, Bergamo, Milano, Brescia e di altri centri. Se così stanno allora le cose, i conti istituzionali proprio non tornano.
È chiaro che questa vicenda si stenderà sul paese, come un sudario, per mesi e mesi. Ed è chiaro che l’ordine perentorio rivolto a tutti gli Italiani di stare chiusi nelle loro abitazioni, per quanto possa essere stato utile fino ad oggi, non può costituire la soluzione del problema, mentre rischia, a lungo andare, di paralizzare il Paese, con l’effetto di una catastrofe nella catastrofe. Non è la soluzione, intanto per ragioni oggettive. Alla fine potrà essere decisa anche la chiusura di tabaccherie e giornalai, ma non tutto può essere chiuso. Le fabbriche di rilevanza strategica, come dimostrano gli eventi bellici del Novecento, non potranno smettere di produrre, gli ospedali devono continuare a prestare la loro opera nel caos e a ritmi sempre più insostenibili, la produzione e il commercio agro-alimentare non possono fermarsi, gli uffici pubblici, statali, regionali e comunali debbono continuare a funzionare, le attività finanziarie non verranno fermate, gli organi dello Stato e territoriali continueranno a deliberare, i corpi militari e di polizia resteranno operativi, gli uffici della Protezione civile pure, i servizi di nettezza urbana pure, i vigili del fuoco pure, e ancora, i mezzi d'informazione, le organizzazioni umanitarie, e ovviamente si potrebbe continuare a lungo. Su tali linee, che occupano milioni e milioni di persone, potrà passare perciò, nonostante tutti gli sforzi e le quarantene in casa, il contagio. E non si tratta di un'opinione perché è appunto quel che dalle cronache sul campo stiamo apprendendo in questi giorni.
Occorre dirlo con chiarezza: il fatto che si mediti di continuare ad oltranza, con giri di vite e perfino con la militarizzazione dell’intero territorio nazionale, dimostra solo che non si hanno idee chiare e che, purtroppo, si ignorano le lezioni della storia. Bisogna fare in realtà il possibile per portarsi oltre lo scenario di questi giorni, in tempi brevissimi, di settimane e non di mesi. Occorre fuoriuscire, in altri termini, da quel che rischia di diventare un circolo vizioso.

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