Intervista di Laura Tussi a Danilo Minisini

Una porta aperta: punto di incontro e di accoglienza laico

Un'associazione dove accogliere in modo amichevole e promuovere relazioni personali e di gruppo positive in un contesto di volontariato laico 
Laura Tussi27 marzo 2020

Intervista a Danilo Minisini

Intervista di Laura Tussi a Danilo Minisini

 

“Una porta aperta” è un punto di incontro e di accoglienza laico aperto alle persone in situazione di disagio e di esclusione sociale. Come nasce questa esperienza?

 

Nella città di Rivoli sono presenti molte associazioni di volontariato. Per quanto riguarda il sostegno a persone in difficoltà le parrocchie, attraverso le Caritas e il Centro di ascolto, tra le altre, svolgono un ruolo importante di aiuto per le famiglie più fragili. Nell’inverno del 2015, grazie alla collaborazione tra istituzioni comunali, associazioni e persone singole è stato aperto un dormitorio che ha dato, per alcuni mesi, ospitalità notturna a una decina di persone. Persone fragili, quasi tutte senza lavoro, con situazioni familiari pesanti e spesso con alle spalle situazioni di dipendenza. Si sono create delle relazioni con queste persone che sono proseguite, in maniera più o meno continuativa, negli anni successivi. Nei nostri limiti di disponibilità abbiamo seguito alcuni di loro nei percorsi di vita che sembrano normali per noi ma che rappresentano spesso, per chi vive in maniera precaria, grandi fatiche. Pratiche burocratiche, accesso ai dormitori e alle cure sanitarie e così via. Forti del sostegno dell’Associazione Opportunanda di Torino, e facendo riferimento alla loro esperienza, abbiamo deciso di creare, nell’autunno del 2016, un’associazione che si occupasse principalmente di queste persone. Il primo obiettivo era aprire un centro diurno che ospitasse, tutte le mattine, chi passava la notte in strada o nei dormitori. Offrendo la colazione e una parola amica.

I volontari che fanno parte dell’associazione, una quindicina, arrivano da esperienze diverse, quasi tutte legate alla solidarietà sociale. La scelta della laicità dell’associazione è stata unanime, pur nella diversità delle provenienze. Tutti abbiamo sottolineato come questa scelta qualificante fosse importante e rappresentasse un valore fondamentale di inclusione.

 

 

Accogliere in modo amichevole e promuovere relazioni personali e di gruppo positive: parlaci del tuo ruolo nel punto di incontro “Una porta aperta”.

 

All’interno dell’Associazione svolgiamo diverse attività. Quella nata per prima è, come detto, l’apertura del centro diurno. Ogni mattina due o tre volontari accolgono le persone che ci avvicinano. Quasi sempre non si tratta solamente di offrire un caffè, ma, più importante, è ascoltare esperienze di vita, racconti di relazioni familiari interrotte, percorsi di vita accidentati e faticosi. Ascoltare senza la pretesa di dare risposte. Un ascolto che raramente i nostri ospiti trovano in altre realtà, anche perché, come sottolineato nel nostro statuto, è un ascolto senza pregiudizio e senza giudizio. Personalmente il mio turno è il mercoledì mattina. Un lavoro a volte faticoso anche perché può capitare che tra gli ospiti ci sono situazioni di conflitto e di pregiudizio. A volte pare che proprio tra le persone più fragili non ci sia quella solidarietà che ci si aspetterebbe.

In seguito abbiamo intrapreso altre attività: accompagnamento ai servizi del territorio, gestione di due convivenze finanziate dalle istituzioni ma gestite da noi, sostegno anche economico per sopperire alle necessità più urgenti degli ospiti. Oltre a questo la gestione di tutta la parte burocratica dell’associazione: in particolare sono il cosiddetto tesoriere che si occupa della gestione economica.

  

 

Questa realtà a Rivoli vuole sostenere chi prova a superare il disagio e la sofferenza. È un punto d’incontro paragonabile alla comunità di Don Gallo a Genova?

 

Il nostro è un punto d’incontro di una piccola realtà, che vuole rimanere tale. Agisce su un territorio limitato e per un numero limitato di persone. Siamo consci dei nostri limiti e in particolare un limite importante è legato all’età media, alta, dei volontari.

Due particolarità ci paiono particolarmente interessanti e qualificanti. Nella nostra associazione non esiste la figura del/la leader carismatico/a: tutti, indipendentemente dalle esperienze personali, ha uguale “voce in capitolo”. Inoltre ci incontriamo tutti i martedì per discutere, oltre alle questioni pratiche legate alla vita quotidiana dell’associazione, anche le situazioni personali degli ospiti che ciascun volontario conosce in maniera più approfondita nell’ambito dell’attività settimanale. Tutti, quindi, abbiamo presente, almeno a grandi linee i problemi e i tentativi di soluzione di ciascun ospite. Un lavoro faticoso, questo, ma che ci sembra originale e particolarmente utile.

 

 

Quante altre realtà laiche come “Una porta aperta” operano nel nostro paese e quali similitudini hanno tra loro?

 

Siamo una realtà giovane e quindi non conosciamo a fondo le realtà simili alle nostre sul territorio nazionale. La nostra esperienza, come detto, fa riferimento, nelle linee di lavoro essenziali, alla realtà di Opportunanda, un’associazione storica di Torino, nata più di vent’anni fa, una realtà laica, che ha un campo di azione più vasto del nostro ma che lavora con la stessa nostra ottica. E’ un’associazione che ha anche alcuni dipendenti e che, oltre al centro diurno, gestisce alcune convivenze e si occupa anche di tematiche legate alla ricerca di lavoro e, come noi, ritiene essenziale il rapporto con tutte le realtà del territorio che si occupano di marginalità sociale.

Ci confrontiamo con una certa regolarità e quattro nostri volontari preparano una cena che mensilmente viene offerta agli ospiti di Opportunanda.

  

Con quale spirito e forza di volontà affronti questa difficile realtà quotidiana di impegno sociale? E come hai maturato questa scelta laica di volontariato?

 

E’ un impegno particolarmente impegnativo, sia a livello fisico che psicologico. Una realtà nuova per me, che mi sono sempre impegnato nel campo del volontariato nel movimento per la pace (esiste a Rivoli l’Associazione per la pace), nel movimento notav che non è solo una lotta contro un treno ma anche un impegno per muoverci verso un modello di vita più attento ai bisogni fondamentali delle persone e meno consumista e soprattutto, come insegnante in pensione, al sostegno di ragazze e ragazzi, la maggioranza migranti, nel lavoro scolastico. Sono volontario dell’associazione ASAI che, tra le altre attività, segue allieve e allievi con un doposcuola.

Una caratteristica che sento particolarmente è che spesso, non sempre per fortuna, ho la sensazione di svolgere un lavoro che non dà i risultati che mi aspetto. Le persone che incontriamo spesso sembrano non riuscire a far fronte, nonostante la nostra vicinanza, alle difficoltà che hanno segnato la loro vita. Un passo avanti e un passo indietro, molto spesso. A volte mi prende un senso di frustrazione, di inadeguatezza, se non di inutilità.

Forse perché, nelle altre esperienze di volontariato, qualche risultato l’abbiamo intravisto. E’ come se avessimo bisogno, almeno a me capita, di verificare subito l’efficacia del nostro lavoro. Mi sembra di essere poco allenato all’attesa, alla semina, al fatto che spesso occorrono tempi lunghi per i cambiamenti, al fatto che non sono adeguatamente preparato a gestire gli insuccessi. Condividendo all’interno dell’associazione anche queste nostre difficoltà quotidiane come volontari, il confronto ci consente trovare energia e stimoli per continuare con serenità e spesso con gioia il nostro lavoro.

Note: Intervista a Danilo Minisini: insegnante in pensione, è stato ed è impegnato in movimenti e gruppi di base come comitati di quartiere, comunità di base, movimento per la pace e presidente della Cooperativa Tempi di fraternità, che pubblica l’omonima rivista mensile

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