Quello che preoccupa della riforma della giustizia
La riduzione dei tempi in Appello e Cassazione
L’intento del ministro sarebbe quello di ridurre i tempi del processo penale ma il modo con il quale viene affrontato il problema desta preoccupazione. Ad esempio, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri ha dichiarato solo pochi giorni fa: “Temo che i sette maxi processi contro la 'ndrangheta che si stanno celebrando nel distretto di Catanzaro saranno dichiarati tutti improcedibili in appello".
La riforma infatti prevede un tempo massimo tassativo per i processi d’Appello (2 anni) e dinanzi alla Corte di Cassazione (1 anno). Trascorsi questi tempi, interverrà l’improcedibilità. In altre parole il processo potrebbe letteralmente dissolversi qualora i tempi dovessero dilatarsi oltre i quelli anzidetti. Questa modalità potrebbe letteralmente mandare in fumo tutti gli sforzi fatti per portare avanti maxi processi come quelli per associazioni a delinquere ma anche processi in materia ambientale (si pensi al caso di Taranto e dell’ex Ilva).
La proroga - di un anno in appello e di 6 mesi in Cassazione – per processi complessi relativi a reati gravi (ad esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione) che la riforma prevede come garanzia di giustizia, appare piuttosto breve e inconsistente.
Sempre secondo Gratteri “fissare una tagliola con un termine così ristretto", spiega il procuratore, "annullerà la qualità del lavoro dei magistrati e comporterà un aumento dei ricorsi in appello. Se prima qualcuno non presentava impugnazioni, con questa riforma lo faranno tutti, con l'obiettivo di giungere all'improcedibilità”.
La riforma preoccupa anche l'ex pm di Mafia Capitale Giuseppe Cascini che ha dichiarato: “Con la riforma delle giustizia salta la metà dei processi”.
La riduzione dei tempi per le indagini preliminari
La riforma riduce i tempi per le indagini preliminari, necessarie al pubblico ministero per chiedere il rinvio a giudizio e dare avvio al processo. Se finora per i reati di associazione a delinquere, narcotraffico e terrorismo si poteva arrivare a due anni, la riforma riduce il tutto a diciotto mesi. Tali tempi ridotti erano quelli normalmente concessi per tutti i reati meno complessi (per questi ultimi ora i tempi delle indagini sarebbero di soli 12 mesi).
In buona sostanza riuscire ad avere elementi sufficienti per i componenti di un’intera organizzazione criminale richiede tempo, ridurre questo tempo potrebbe essere un errore che depotenzia il processo già in partenza o potrebbe annientarlo direttamente. A ciò va aggiunto che finora il pubblico ministero, per chiedere il rinvio a giudizio, doveva acquisire elementi di prova sufficienti e idonei alla sua richiesta. La riforma però prevede che il pubblico ministero possa chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi acquisiti consentano una “ragionevole previsione di condanna”. Le parole sembrano suggerire un criterio più stringente che potrebbe porre non poche difficoltà ai PM.
L’ingerenza del Governo e del Parlamento sull’azione penale
Da sempre l’art. 112 della Costituzione prevede l’'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. Questa norma rappresenta il principio di indipendenza del Pubblico Ministero nell'esercizio delle proprie funzioni, oltre all'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
La norma trova la sua ratio storica anche nel principio di tripartizione dei poteri di Montesquieu, una norma illuminante e illuminista a garanzia del giusto equilibrio fra i poteri dello Stato.
La riforma però prevede che l’azione penale non sarà più a totale discrezione delle procure e il principio della obbligatorietà troverà un “correttivo” nelle indicazioni che verranno dal parlamento il quale stabilirà le priorità sulle quale concentrarsi. Ogni anno il Ministro della Giustizia, nella sua relazione sullo stato della giustizia, darà delle 'coordinate' sotto forma di atto di indirizzo. Questo punto sembrerebbe quindi porre più di qualche dubbio sulla sua aderenza ai principi sanciti dalla Costituzione italiana. E l’azione penale dovrebbe osservare le priorità che il potere politico di volta in volta indica alla magistratura.
https://www.centrostudilivatino.it/riforma-bonafede-cartabia-perche-non-va/
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