Scendiamo in piazza legando il 'no' alle guerre alle rivendicazioni sociali
Non possiamo che plaudire alla prospettiva che finalmente si concretizzi una grande manifestazione popolare contro la (LE) guerre: in effetti, dopo le prime manifestazioni alla fine di febbraio, quando Putin iniziò la guerra in Ucraina, la capacità di mobilitazione dell'area pacifista si è andata affievolendo, anche perché “intimidita” dall'atteggiamento manicheo dell'informazione dominante che tacciava di filoputinismo chiunque si spendeva per la causa della pace o, quanto meno, per la non continuazione della guerra. Questo annullamento della dialettica di pace non c’era stato durante i conflitti precedenti (Jugoslavia, Irak, Afghanistan) che pure avevano visto coinvolti tutti i paesi dell’Unione europea, così come non s’era registrata la forsennata corsa all’aumento delle spese militari come quella decisa nelle more di questa guerra, nonostante che la congiuntura economica post-covid indicasse che ben altri settori (come la sanità per esempio) sarebbero dovuti essere i destinatari di quei fondi, cosa – per altro – largamente attesa dalla gran parte della popolazione.
Oggi questo nodo è venuto al pettine perché l'emergenza che sta più che comprensibilmente prendendo il primo posto nelle angosce della gente è il vertiginoso aumento di tutti i prezzi e delle tariffe, con in più la crescente disoccupazione esasperata da esercizi e imprese costrette a chiudere, in una parola la carneficina sociale che era annunciata da tempo e ora comincia ad abbattersi.
Per chi si è formato politicamente nell'orizzonte ecopacifista e solidaristico dei decenni '60 - '80 è sempre stato naturale collegare strettamente le mobilitazioni contro le guerre con le vertenze riguardati l'ambiente, la salute e le disuguaglianze sociali: ma dagli anni '80, con l'indebolimento dei movimenti e della loro presa sulla realtà, i vari ambiti delle lotte si sono andati separando. Così oggi vi è un'area pacifista che per lo più (con le dovute eccezioni) non si impegna in modo diretto sui problemi dell'ambiente e per contro c'è un movimento ambientalista che per lo più si disinteressa ai temi della guerra: paradigmatico è il movimento dei Fridays for Future (ma anche Extinction Rebellion) che, a partire da Greta Thunberg, non ha mai incluso le guerre nella manifestazioni per il clima. Né si può dire che sul fronte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali grandi e piccole, il tema della guerra sia in cima alle preoccupazioni (con la grande ambiguità delle industrie che producono armamenti).
Ecco quindi che ci si presenta l’occasione di colmare questa lacuna con la manifestazione che sarà indetta, trasmettendo all'opinione pubblica il messaggio forte e chiaro che i drammi che stanno attanagliando le persone dipendono da una guerra che non solo non si vuole interrompere, ma si fa di tutto per prolungarla. È un'occasione unica dal momento che il collegamento fra la guerra, la lievitazione dei prezzi, la penuria energetica, il rincaro delle bollette, il numero crescente degli esercizi costretti a chiudere, i lavoratori che rimarranno sul lastrico (e al freddo), è sotto gli occhi di tutti. Se verrà elaborata una piattaforma chiara che evidenzi questi indiscutibili nessi, la piazza non esprimerà solo il punto di vista del mondo pacifista, ma potrà potenzialmente coinvolgere e mobilitare anche tanti strati sociali che vivono sulla loro pelle la drammaticità di questa situazione, per ribadire tutti insieme che se fra i vinti di una guerra è la povera gente che fa la fame, ugualmente è la povera gente che fa la fame tra i vincitori.
Questo è l'appello che ci sentiamo di lanciare. Saranno capaci le varie organizzazioni di raccogliere questa sfida superando gli ambiti tradizionali dei loro interessi?
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