I beni confiscati rischiano di tornare ai figli dei boss
Siamo tristi, in questi giorni, per la morte di mamma Felicia, la mamma di Peppino Impastato (e di tutti noi); ma siamo anche indignati perché i beni di chi ha ucciso Peppino, il boss mafioso Badalamenti, dopo essere stati confiscati, rischiano di essere ora restituiti agli eredi del mafioso.
E' stato uno dei mille spunti di una narrazione sociale, di esperienze, di coraggioso "saper fare" quotidiano che ha caratterizzato il convegno dell'Associazione "Libera", qualificato, rigoroso, di altissimo valore etico. Le belle relazioni di Enrico Fontana e di don Luigi Ciotti hanno introdotto il tema dell'utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, tracciandone le esperienze positive, i punti critici, le necessità di nuove normative adeguate.
Ne abbiamo discusso con parlamentari, con magistrati (come Caselli), con sindaci democratici, soprattutto con operatori di consorzi e cooperative sociali che fanno esperienze straordinarie di sviluppo autocentrato su beni confiscati alle mafie. Consiglierei di consumare pasta, olio, vino su cui è impresso il marchio di legalità antimafia.
Abbiamo evocato un tratto fondamentale della lotta alle mafie che pare a me, oggi, decisivo. Perché lavorare sui beni confiscati alle mafie è la paziente e coraggiosa ricostruzione, sul territorio, delle strutture dell'«antimafia sociale». Esse sono i presidi democratici della riaggregazione sociale, che possono innervare il territorio di una mobilitazione, di una "potenza civica democratica".
La questione criminale è, infatti, questione democratica e questione sociale. C'è il tempo della semina ed il tempo del raccolto. E' fondamentale. Ora è il tempo della risocializzazione, della restituzione alla società delle ricchezze ad essa espropriate dalla mafia. Il vino, l'olio, la destinazione sociale di beni strappati alla criminalità sono un passaggio essenziale di una presa di coscienza di massa.
L'antimafia "difficile", quotidiana, non spettacolare è quella che sa incidere sui processi di accumulazione, sui patrimoni, sulle ricchezze. Il governo parla molto di leggi speciali e di militarizzazione, ma sottovaluta la necessità investigativa permanente e, soprattutto, la necessità di colpire le mafie nell'accumulazione delle ricchezze.
«Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita. E vogliamo che i beni confiscati siano rapidamente conferiti alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza e lotta al disagio». Con queste parole iniziava la petizione popolare promossa da "Libera" che portò alla raccolta, nel 1995, di oltre un milione di firme. Una straordinaria mobilitazione che riuscì a conquistare una legge. Mobilitazione che è continuata per dieci anni, ogni giorno, con l'utilizzo sociale di tanti beni confiscati.
Sono stati coltivati terreni, sono stati utilizzati immobili; non esiste attività antimafia più efficace di quella che dimostra, alla comunità, che lo stabile di un boss è diventato un centro anziani o una scuola o un consultorio. Ma molta strada resta da fare. Don Ciotti ha evidenziato, partendo da splendide esperienze quotidiane, da magnifici vissuti collettivi di cooperative, consorzi, che occorrono norme più efficaci sui sequestri e sulle confische, più precise indagini poliziesche e giudiziarie sui patrimoni dei clan mafiosi e sulle misure di prevenzione. Forse non è un caso; forse è caduta, anche per responsabilità della maggioranza, una tensione di lotta alle mafie non puramente di facciata, di parata o giustizialista.
Certo è che l'andamento delle confische, negli ultimi anni, «è precipitato vertiginosamente: nel 2000 si contavano 927 immobili confiscati; 500 beni immobili nel 2001, 190 beni immobili nel 2002 e solo 28 nel 2003. Questi numeri pongono forti interrogativi».
Il convegno, con interventi molto qualificati, ha affrontato, con uno spirito profondo di ricerca e di innovazione reale, sia i nodi politici, sia i nodi strutturali, sia i nodi legislativi. Abbiamo deciso che presenteremo, nei confronti del disegno di legge del governo, che evidenzia vuoti, lacune, errori, emendamenti unitari e concordati non solo tra tutte le opposizioni, ma anche con quelle associazioni e cooperative che hanno sperimentato sul campo i problemi. Discuteremo di procedure, tempi, efficacia, sapendo che le norme specifiche dovranno abbandonare ogni economicismo (che si nasconde dietro l'alibi della redditività), esaltando, invece, il "marchio di qualità della legalità".
Vorremmo, insomma, che fosse valorizzato il fatto che dietro quella pasta, quel vino, quell'olio, quella marmellata c'è un lavoro socialmente utile di giovani e ragazze che lottano sul serio contro le cosche mafiose contemporanee. Collegando lotta alle mafie e lotta per il lavoro.
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