La politica del dhamma di Ashoka
Dopo il ritiro di Alessandro dall’India nel 323 a.C. un uomo di umili origini incominciò a distinguersi, prima nelle guerre contro i greco-macedoni e poi contro i Nanda, che allora controllavano la parte centro settentrionale del subcontinente. Chandragupta era figlio illegittimo di uno degli ultimi monarchi Nanda, e la madre era una shudra, una serva appartenente cioè alla casta più bassa, tuttavia grazie al suo valore militare riuscì a sconfiggere i Nanda e a creare il primo impero panindiano della storia, o quantomeno riuscì ad unificare tutto il subcontinente ad eccezione della parte meridionale.
Dopo Chandragupta e suo figlio Bindusara salì sul trono di Pataliputra Ashoka, che regno dal 268 al 233. L’impero dei Maurya raggiunse con lui la massima espansione dopo la guerra per la conquista del Kalinga (l’attuale Orissa), tuttavia quella guerra fu molto sanguinosa, si parla di diverse centinaia di migliaia di morti e 150000 deportati come schiavi, e come conseguenza del rimorso per tutto quel sangue due anni e mezzo dopo Ashoka si convertì al buddismo.
Alla sua conversione non seguì un’imposizione del buddismo forzata, o la repressione o in ogni caso la penalizzazione delle altre religioni, tuttavia cercò in ogni modo di favorire lo sviluppo del buddismo sia all’interno che all’esterno dell’impero. Creò delle leggi conformi all’etica buddista che prevedevano il divieto di uccidere qualunque essere vivente, quindi non solo l’abolizione della pena di morte ma anche dei sacrifici degli animali, anche se non impose il vegetarianesimo a tutto il popolo ma solo alla sua corte. La guerra era considerata necessaria solo in caso di difesa, e il resto del suo regno fu pacifico, nonostante questo l’influenza dei Maurya crebbe anche senza bisogno di conquiste militari, la loro influenza si estese anche all’India meridionale, in particolare lo Sri Lanka si convertì totalmente al buddismo, secondo la tradizione grazie all’invio di uno dei figli di Ashoka, che inviò monaci un po’ in tutto il mondo, anche in occidente. Ashoka fece inoltre molte opere pubbliche per migliorare la qualità della vita della popolazione, costruendo strade, fontane, pozzi, poiché non ignorava che queste cose fossero necessarie per indurre gli uomini a rispettare la legge.
Questa è quella che comunemente è chiamata la politica del dhamma (o dharma se lo di vuole dire in sanscrito), cioè della giusta via buddista. Indubbiamente l’impero Maurya raggiunse un altissimo livello di civiltà e di splendore per quel periodo storico, Ashoka è stato il primo in India a teorizzare il dovere da parte del potere di occuparsi del benessere del popolo, non maltrattando gli schiavi e i servi come anche gli animali, non uccidendo senza esserne costretti, lasciando una totale libertà religiosa, seguendo gli ideali di non violenza e di benevolenza nei confronti di tutti gli uomini. Dal punto di vista politico le scelte di Ashoka si rivelarono fruttuose, riuscì ad aumentare l’influenza e il prestigio dell’impero senza bisogno di alcuna guerra ma attraverso l’esempio di un governo illuminato e tramite la propaganda missionaria del buddismo nel resto del mondo, dimostrando che non è necessaria la violenza per acquisire maggiore potere. A questi aspetti positivi si affianca l’istituzione di una polizia segreta per il controllo della moralità, fin da Chandragupta vi era stato un largo uso di simili sistemi, molto vicini a quelli usati dagli stati totalitari moderni, a parte il fatto che non avendo a disposizione gli stessi mezzi di oggi le spie maurya non potevano essere altrettanto efficienti. La decisione dopo 13 anni di creare questa polizia speciale è segno di com’era difficile imporre la morale buddista, e come la legge spesso non dovesse essere rispettata, questo derivava soprattutto dalla mancata diffusione del buddismo nelle campagne, essendo (soprattutto a quel tempo) una religione troppo complessa e difficile da comprendere per i contadini, che si attenevano ancora ai vecchi dei locali che in quel periodo stavano venendo incorporati dai bramani nel pantheon induista. Anche dopo Ashoka il buddismo non riuscì mai a conquistare le campagne, e questo fu il principale motivo della sua pressoché totale scomparsa dall’India diversi secoli dopo.
Finché Ashoka rimase in vita tuttavia il suo stato fu florido e prosperoso, ma alla sua morte nel 233 a.C. l’impero si disgregò con gran rapidità, perdendo la parte a sud del Narmada ed essendo diviso fra tre dei suoi figli, e di lì a pochi decenni dopo l’India divenne costellata di tanti piccoli stati. Questo avvenne perché l’impero Maurya aveva un’estensione enorme, impossibile da gestire efficientemente in epoca premoderna, Ashoka riuscì a tenerlo insieme con la sua abilità e il suo prestigio, ed anche grazie alla politica del dhamma.
Ashoka può ricordare i sovrani illuminati europei di molti secoli dopo, un re che sia per l’interesse dei sudditi sia per poter più facilmente mantenere il potere senza usare la forza ha cercato di ben governare, cercando di conformare la sua vita al buddismo per essere lui stesso un esempio per il popolo, e attenendosi all’idea di Buddha per cui ogni azione ha delle conseguenze corrispondenti alla natura di quell’azione, e se si vuole creare un mondo buono e giusto l’unico modo è attraverso azioni buone e giuste. Il governo di Ashoka è anche un esempio nei confronti dei politici moderni, che nel mondo occidentale comunemente pensano che la morale sia una questione personale in cui lo stato non deve entrare, come se l’ordine e l’aumento della ricchezza e del benessere della popolazione debbano essere gli unici doveri di uno stato, in questo modo finché i cittadini sono ricchi e vivono bene lo stato può al di fuori dei propri confini commettere qualunque atrocità, tanto non ha alcun dovere morale nei confronti di nessuno, né i cittadini s’interesseranno mai di problemi morali finché sono presi dal fare soldi e divertirsi. Ashoka invece nei suoi editti incisi sulla pietra sparsi per tutto il paese spiega come abbia fatto tanti lavori per migliorare la vita dei suoi sudditi, non perché il miglioramento delle loro condizioni materiali fosse l’obiettivo ultimo del suo governo, ma perché in questo modo potevano rispettare la legge senza avere ragioni materiali come la povertà o la fame per commettere dei crimini. L’altro punto in cui Ashoka ha molto da insegnare ai politici, ma non solo occidentali o moderni, è quello che Cesare sintetizzò nel motto “la parola conduce, l’esempio trascina”, egli, infatti, ha cercato di vivere secondo gli stessi principi che hanno ispirato le sue leggi, ottenendo così il rispetto anche di chi non seguiva la via del Buddha, mentre la maggior parte dei politici se non la quasi totalità, non sono ispirati da alcun principio nel fare le leggi, se non magari il proprio personale interesse, dunque godranno del disprezzo della popolazione e le loro leggi saranno altrettanto disprezzate di conseguenza, e con tutta probabilità saranno sia sbagliate che poco rispettate.
Ciò che Ashoka ha lasciato alla storia è dunque la necessità per un governante di occuparsi di ciò che è giusto, sia per se stesso sia per il popolo, e non sfruttare la propria posizione per ottenere fama e ricchezze, e pur con tutti i dubbi lasciati dall’istituzione della sua polizia segreta il grande imperatore Maurya ha se non altro dimostrato che è possibile (nonostante quello che diceva Macchiavelli) agire rettamente anche essendo un monarca, e se anche è impossibile creare un paradiso, e ancora più impossibile farlo durare per molto, almeno ci si può provare.
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