Fascismo, nazismo e stalinismo

I totalitarismi del XX secolo e la manipolazione delle coscienze

La storia deve fungere da memento per ricordarci gli errori del passato, errori che non dobbiamo più commettere. Imparando da essi, possiamo costruire qualcosa di migliore.
Daniele Marescotti20 marzo 2005

Fascismo, nazismo e stalinismo: i tre grandi totalitarismi del XX secolo

Quando facciamo riferimento ai grandi totalitarismi del Novecento, ci riferiamo ad una storia che ci appartiene strettamente. E, proprio in questo caso, i latini avevano pienamente ragione quando affermavano: “Historia magistra vitae”. La storia, infatti, deve fungere da memento per ricordarci gli errori del passato, errori che non dobbiamo più commettere. Imparando da essi, possiamo costruire qualcosa di migliore.
Illustriamo, a questo punto, quelle che sono le caratteristiche fondamentali dei tre totalitarismi più grandi del Novecento: fascismo, nazismo e stalinismo.
Una caratteristica importante dei tre dittatori che guidarono questi regimi fu la capacità di sfruttare ogni mezzo per la conquista del potere. Carisma e violenza, in altre parole, si rivelarono una combinazione vincente. Ma come fecero dittatori spietati come Mussolini, Hitler e Stalin a tenere il potere per lungo tempo anche quando le cose andavano male?

La manomissione della memoria

Illuminante a questo proposito è Todorov quando, nel libro Memoria del male, tentazione del bene, scrive: "I regimi totalitari del XX secolo hanno rivelato l'esistenza di un pericolo prima insospettato: quello di una manomissione completa della memoria". Manipolando la “memoria” e l’informazione, celando le cattive notizie e mettendo in luce solo alcuni aspetti di ciò che accadeva, i totalitarismi operavano un vero e proprio “lavaggio del cervello” mediante il quale assoggettavano al proprio volere le coscienze del popolo dominato. In tutto ciò, ovviamente, lo strumento per mettere a tacere coloro i quali la pensassero diversamente era la violenza.
Dopo questa analisi generale sui tre totalitarismi vediamo come ognuno di essi esercitò la violenza e il terrore.

Il regime fascista

Partiamo dal fascismo. Il regime, con a capo Benito Mussolini, inizia quando nel 1925, eliminato uno scomodo Matteotti, Mussolini dichiarò in Parlamento: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di quest’associazione”. Per garantirsi la stabilità politica il Duce emanò, nel 1926, le leggi “fascistissime”, eliminando la libertà di opinione, i diritti sindacali e dichiarando illegale ogni altro partito che non fosse il PNF (Partito Nazionale Fascista). Per controllare i “dissidenti” Mussolini istituì il Tribunale speciale e l’OVRA, una polizia fatta di spie che avevano il compito di scovare gli antifascisti. In una società in cui tutti sono potenziali spie, la delazione viene trasformata in una virtù e il dominio delle coscienze è la consolidazione ultima dell’ultimo anello della “catena totalitaria”.
Era compito degli squadristi, in un secondo momento, picchiare a sangue chi non era d’accordo con il regime. Manganelli e olio di ricino erano una prassi alla quale gli antifascisti non si sarebbero potuti sottrarre. Ma per esercitare a dovere terrore e repressione Mussolini dovette agire anche sotto il profilo giuridico modificando uno Statuto Albertino alquanto flessibile e che il re non faceva nulla per difendere. Anzi, era stato proprio Vittorio Emanuele III ad affidare il governo al Duce. Nel 1931 e nel 1942 Mussolini riformò rispettivamente il codice penale e di procedura penale ed il codice civile e di procedura civile.
A questo punto occorreva occuparsi della manipolazione delle coscienze. Fu così che, accanto al PNF, nacquero l’Istituto Fascista di Cultura e il Ministero per la stampa e la propaganda. Il fine era quello di operare una “fascistizzazione” della società attraverso il controllo degli intellettuali, della scuola e persino del tempo libero. In quest’ultimo caso strumenti utili per il regime furono la radio e il cinematografo.

Il regime nazista

In maniera analoga all’Italia, Hitler seppe sfruttare pienamente i mezzi di informazione a sua disposizione per la propaganda della quale si occupò con destrezza Joseph Goebbels. Fu lo stesso Goebbels ad introdurre l’antisemitismo e la concezione della razza tedesca come la migliore e dunque, necessariamente, la dominatrice. Occorreva eliminare e deportare nei lager le “mele marce” della società tedesca: gli ebrei. Una frase che può ben spiegare cosa accadde nelle menti dei despoti del XX secolo è quella di Courtois che, anche se riferita al comunismo, è adattabile anche alla situazione tedesca. Scrive Courtois: “Da una logica di lotta politica si scivola presto verso una logica di esclusione, quindi verso un'ideologia dell'eliminazione e, infine, dello sterminio di tutti gli elementi impuri".
Per esercitare il suo potere, Hitler si servì di alcuni collaboratori. A parte l’astuto Goebbels, già citato, il terrore venne esercitato dal fedelissimo Himmler, capo delle SS, la guardia personale del Fuhrer. Le SS, insieme alla Wehrmacht, crebbero notevolmente poiché Goering, altro fedelissimo di Hitler, decise di arruolare una gran quantità di persone per risolvere il problema della disoccupazione. Questo trasformò la Germania in una gigantesca macchina da guerra.
La figura del Fuhrer è stata molto ben interpretata da Charlie Chaplin nel film “Il grande dittatore” (1940).

Il regime stalinista

Analizziamo infine il caso russo. Alla morte di Lenin, Stalin prese il potere eliminando tutti i suoi rivali fra i quali Trotzkij, che il despota dell’URSS considerava un intralcio al regime in costruzione.
Gli oppositori al totalitarismo staliniano furono mandati nei gulag, corrispettivo dei campi di concentramento tedeschi. La “grande purga” era il nome dato dal despota sovietico al processo che portò all’eliminazione fisica dei vecchi rivoluzionari dal partito e dall’esercito.
Nell’Urss la prima epurazione la pagarono gli iscritti al partito; tra il 1936 e il 1938 furono eliminati 30.000 funzionari su 178.000; nell'Armata rossa in due anni furono giustiziati 271 tra generali, alti ufficiali e commissari dell'esercito.

Il genocidio come logica del nazismo

Una domanda che oggi attanaglia gli studiosi riguarda la crudeltà di questi tre regimi. Ci si chiede quale di questi sia stato il peggiore. Di certo tutti gli omicidi commessi sono egualmente condannabili. Tuttavia, fu solo il nazismo ad operare un genocidio, quell’uccisione di massa con “l'intenzione di distruggere completamente o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”. E’ questa la definizione incontestabile della Convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre del 1948.

Dal “Grande Fratello” alla “banalità del male”

Per avere un’idea di cosa vuol dire vivere sotto un totalitarismo sarebbe utile leggere 1984 di George Orwell in cui un dittatore baffuto appare costantemente su teleschermi giganti. Questi teleschermi sono presenti dovunque e, oltre a trasmettere immagini, controllano ogni istante della vita degli individui soggiogati sotto il regime del “Grande Fratello”. Hannah Arendt, nel suo libro la banalità del male, studia il profilo psicologico di Eichmann, colonnello delle SS responsabile delle deportazioni nei campi di sterminio, comprendendo gli ingranaggi che fecero funzionare un totalitarismo quale il nazismo. La cieca obbedienza di uomini “ben educati” garantì la stabilità di uno dei più spietati regimi totalitari della storia. Insomma, la Arendt mostra come la deresponsabilizzazione degli individui fu alla base dei regimi totalitari. Autori di grandi misfatti, come Eichmann, non si sentirono così responsabili del male commesso, dicendo di aver eseguito solo degli ordini. Infatti l’obbedienza era inculcata come la prima delle virtù nelle scuole totalitarie.
Significative sono le parole di Tocqueville: “Il totalitarismo è un potere che non annulla l’esistenza ma la regola; non tiranneggia, ma comprime, snerva, logora e stordisce un popolo, finché non sia tutto quanto ridotto a un gregge di animali timidi e industriosi di cui il governo è pastore”.

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