Religioni e universalismo

E' troppo poco

Non basta che Dio parli e sia ascoltato in una lingua, in una cultura e una storia particolare. O la sua parola è udibile da tutti, o chi parla non è il Dio di tutti. Se Dio non è di tutti, diventa l’arma più potente di alcuni contro altri. Se è di tutti, è il fondamento e l’appello della pace.
18 gennaio 2008
Fonte: Pubblicato su Interdependence, Rivista per il dialogo tra religioni e culture, per la pace e la cooperazione, abbonamenti@interdependence.it , www.interdependence.it , n. 7-8, 2007

«È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele, perciò ti farò luce delle nazioni, perché la mia salvezza raggiunga l’estremità della terra» (Isaia 49,6 dal secondo carme del Servo)
Una scelta di pace per tutti gli uomini


È troppo poco l’elezione di Israele: deve essere per tutti i popoli, e non per una terra, ma per tutta l’estensione della terra; non basta la prima alleanza e l’elezione nazionale; non basta la rivelazione ad un popolo, né una religione che prende il nome di quel solo popolo.
Non basta che Dio parli e sia ascoltato in una lingua, in una cultura e una storia particolare.
O la sua parola è udibile da tutti, o chi parla non è il Dio di tutti.
Se Dio non è di tutti, diventa l’arma più potente di alcuni contro altri. Se è di tutti, è il fondamento e l’appello della pace.
Quella prima parola è solo l’inizio di un discorso.
«Nella relazione con Israele, la chiesa è come l’Israele escatologico. Gesù non pensa di fondare un’altra religione, non pensa una chiesa come realtà altra da Israele, ma come il compimento di Israele. Perciò c’è ben più che una relazione: Israele è costitutivo della chiesa e la chiesa è il compimento di Isarele, il superamento del suo limite (vedi in Romani 11,18: radice e rami)» (riflessione raccolta dalla presentazione del libro di Roberto Repole, Il pensiero umile, Ed. Città Nuova, il cui ultimo capitolo è intitolato Una chiesa umile).
A loro volta, il cristianesimo, la chiesa, sono da superare nel loro limite storico e culturale, limite che può essere stato necessario (come per Israele) per avviare il cammino concreto, ma che diventa ostacolo e arresto al cammino stesso quando troppo si consolida: accade così quando papa Ratzinger insiste sulla lingua filosofica greca necessaria per dire il messaggio cristiano; accade così quando la garanzia del messaggio è identificata in una struttura gerarchica.
I cristiani guardano a Gesù il Cristo, ma non basta neppure una religione che prenda il suo nome: è troppo poco. Gesù rinvia allo Spirito, che è dappertutto e non sai donde viene né dove va; i suoi discepoli sono avvertiti che il peccato maggiore non è contro Cristo ma contro lo Spirito; e quando Cristo si assenta, ucciso, resta presente con la sua vita, comunicando lo Spirito che ha spinto e animato lui stesso; e i veri adoratori del Padre non lo adorano in questo o quel tempio, ma in Spirito e verità; cioè, la «vera religione» (tema ampio nella Bibbia) è il soccorso al prossimo bisognoso, chiunque esso sia, di qualunque nazione, religione e idea, perché su questo, non sulla religione e neppure sulla fede esplicita, saremo giudicati, alla fine. La «vera religione» è spirituale, interculturale, interreligiosa, è amore operante, anche se ciascuno di noi, giustamente, esprime questa verità in una sua lingua materna e domestica, purché intimamente comunicante con ogni altro linguaggio ed esperienza dell’unico Spirito.
Perciò, contrariamente alla religione diventata costume sociale, la festa più grande non è il Natale, e neppure la Pasqua ebraica o cristiana, ma la cosiddetta Pentecoste, perché è festa non di una o due religioni, ma festa universale e quotidiana dello Spirito, che riempie la terra, pur contrastato dalle tenebre, ed è effuso in tutti i cuori aperti e anelanti, comunque lo chiamino. Lo Spirito è il non-ancora-detto, dopo tutto il detto delle religioni.

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