I goliardi, libertini del XII secolo

Intellettuali e contestatori nelle università medievali

Con la rinascita culturale del secolo XII, che si accompagnava ad un forte sviluppo demografico e alla ripresa in Europa dei viaggi e degli spostamenti di massa, fece la sua comparsa un nuovo tipo di intellettuale girovago, ostile all'ordine costituito ed alla moralità del tempo: il goliardo. Pur dipendendo, data la penuria di mezzi materiali, dalla munificità di signori e prelati, i goliardi si scagliarono con la loro poesia, spesso caustica e volgare, contro un mondo feudale in progressivo disfacimento. In epoca contemporanea, mentre il loro spirito è stentatamente sopravvissuto in ambito universitario, il loro nome è diventato sinonimo di buffonesco, scherzoso. In questo brano Jacques Le Goff prova a tratteggiarne le origini e a metterne a nudo l'ideologia, nonostante la scarsa documentazione, spesso di parte avversa, che li riguarda.
14 dicembre 2003
Jacques Le Goff
Fonte: Da: J. Le Goff, Genio del Medioevo, Mondadori, Milano, 1959; il brano è in "Antologia di ricerca storica dalla società feudale al Novecento", a cura di Mario Matteini e Roberto Barducci, Casa editrice D'Anna

Ma questi Goliardi, chi sono? Tutto sembra cospirare per nasconderci il loro volto: l'anonimato che copre la maggior parte di essi, le leggende che essi stessi hanno fatto correre compiacentemente sul proprio conto, quelle che – tra molte calunnie e maldicenze – hanno propagato i loro nemici, e infine quelle inventate dagli eruditi e dagli storici moderni, messi fuori strada da false somiglianze, accecati da pregiudizi. Taluni ripetono le condanne dei concili, dei sinodi e di certi scrittori ecclesiastici del XII e XIII secolo. Questi chierici goliardici o vaganti sono trattati da vagabondi, ribaldi, ciurmadori, buffoni; sono descritti come zingari, pseudo-studenti; guardati ora con occhio benevolo – bisogna pure che la gioventú si sfoghi – ora con timore e disprezzo: perturbatori, spregiatori dell'Ordine, come avrebbero potuto non essere pericolosi? Altri invece vedono in essi una specie d'intellighenzia urbana, un gruppo rivoluzionario aperto a tutte le forme di opposizione dichiarata al feudalesimo. Dov'è la verità?
Stabilito che si ignora persino l'origine del termine Goliardo – una volta scartate le etimologie fantasiose che lo fanno derivare da Golia, incarnazione del diavolo, nemico di Dio, o da gula, la gola, per fare dei suoi discepoli dei mangioni e peggio (goliardus, ghiottone, parassita, lecheor o leccatore), e una volta riconosciuta l'impossibilità di identificare un Golia storico fondatore di un ordine di cui i Goliardi sarebbero stati membri – ci rimangono alcuni particolari biografici di certi Goliardi, delle raccolte di poesie poste sotto il loro nome – individuale o collettivo, carmina burana [cosí detti dal monastero germanico di Benediktbeuren, dove furono trovati] – e i testi dei contemporanei che li condannano o criticano.
Non v'è dubbio che essi abbiano costituito un gruppo in seno al quale la critica della società qual era a quei tempi si sviluppava con compiacenza. Noi non possiamo dire se essi siano d'origine urbana, contadina o anche nobile; ma è certo che sono prima di tutto dei vagabondi, tipici rappresentanti di un'epoca nella quale lo sviluppo demografico, il ridestarsi del commercio, la costruzione delle città fanno scricchiolare e scoppiare le strutture feudali, gettano sulle strade maestre o raccolgono nei loro quadrivi, che sono le città, uomini spostati, audaci o disgraziati. I Goliardi sono il frutto di questa mobilità sociale caratteristica del XII secolo. Che questi individui siano sfuggiti alle strutture stabilite è un primo scandalo per gli spiriti tradizionalisti. L'Alto Medioevo s'era sforzato di legare ogni uomo al suo posto, al suo lavoro, al suo ordine, alla sua condizione. I Goliardi sono degli evasi. Evasi senza mezzi, essi formano nelle scuole urbane quei nuclei di studenti poveri che vivono d'espedienti, si adattano a divenire domestici dei loro condiscepoli ricchi, vivono di mendicità, giacché, come dice Evrardo il Tedesco, «se Parigi è un paradiso per i ricchi, per i poveri è una palude avida di preda», ed egli piange sulla Parisiana fames, la fame dei poveri studenti parigini.
Talvolta, per guadagnarsi la vita, essi diventano giocolieri o buffoni, da che derivano senza dubbio i nomi con cui spesso vengono indicati. Ma bisogna anche pensare che la parola joculator, giocoliere, è in quei tempi l'epiteto con cui vengono insultati tutti coloro che appaiono pericolosi e che si vorrebbe tagliar fuori dalla società. Un joculator è un «rosso», un ribelle...
Questi studenti poveri, che non sono legati né da un domicilio fisso, né da alcuna prebenda, né da alcun beneficio, se ne vanno cosí all'avventura, avventura intellettuale, seguendo il maestro che li ha entusiasmati, accorrendo verso quello di cui si parla, spigolando di città in città l'insegnamento che viene impartito in ciascuna di esse. Formano cosí il corpo di un vagabondaggio scolastico anch'esso caratteristico di questo XII secolo, e contribuiscono a conferirgli il suo aspetto avventuroso, impetuoso, ardito. Ma non formano una classe. Di origini diverse, nutrono ambizioni diverse. Certo, hanno scelto lo studio a preferenza della guerra, ma i loro fratelli sono andati a ingrossare gli eserciti, le truppe delle Crociate; depredano lungo le strade d'Europa e d'Asia e metteranno a sacco Costantinopoli. Se tutti criticano, taluni, molto probabilmente, sognano di diventare come quelli contro cui rivolgono le loro critiche. [...] Tutti sognano un mecenate generoso, una grassa prebenda, una vita comoda e felice. Piú che a cambiare l'ordine sociale, essi sembrano aspirare a divenirne nuovi beneficiari.
Ciò non toglie che nelle loro poesie essi attacchino aspramente questa società. È difficile negare per taluna di tali composizioni il carattere rivoluzionario posto in rilievo da certi critici. Il gioco, il vino, l'amore: ecco, per cominciare, la trilogia che essi cantano di preferenza, il che ha sollevato l'indignazione delle anime timorate del loro tempo, ma ha piuttosto inclinato all'indulgenza gli storici moderni. [...]
È significativo che la poesia goliardica se la prenda – assai prima che ciò divenga un luogo comune della letteratura borghese – con tutti i rappresentanti dell'ordine dell'Alto Medioevo: l'ecclesiastico, il nobile, persino il contadino.
Nella Chiesa i Goliardi prendono per bersagli favoriti coloro che, socialmente, politicamente, ideologicamente, sono piú strettamente legati alle strutture della società: il papa, il vescovo, il monaco. [...]
A dispetto della loro importanza, i Goliardi sono stati respinti ai margini del movimento intellettuale. Essi hanno certamente proposto temi pieni di possibilità avvenire, i quali, tuttavia, nel corso della loro lunga carriera, si attenuarono notevolmente; hanno rappresentato nel modo piú vivace un ambiente desideroso di affrancarsi; hanno lasciato in eredità al secolo veniente molte idee di morale naturale e di libertinaggio, sui costumi o lo spirito, nonché la critica religiosa che ritroveremo nell'ambiente universitario, nella poesia di Rutebeuf [poeta francese morto all'incirca nel 1285], nel Roman de la Rose di Jean de Meung [poeta francese che portò a compimento fra il 1275 ed il 1280 il celebre poema cominciato da Guillaume de Lorris] e in talune proposizioni condannate a Parigi nel 1277. Ma il XIII secolo li ha visti scomparire. Le persecuzioni e le condanne li hanno colpiti, le loro stesse tendenze a una critica meramente distruttrice non ha permesso loro di trovare il proprio posto nel cantiere universitario che spesso trascuravano per afferrare le occasioni di una vita facile o per darsi al vagabondaggio, e la fissazione del movimento intellettuale in centri organizzati, le Università, ha alla fine fatto dileguare questa razza di erranti.

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