La crociata dei pezzenti e la crociata dei baroni
Effettivamente la maggior parte dei partecipanti venne dal Nord del regno [di Francia]. Fin dalla primavera del 1096 i «poveri» di questa regione si prepararono alla partenza. Urbano II, certo, aveva convocato anche loro. Nessuno, per la verità, si aspettava che si muovessero. Invece si precipitarono, e per primi. Fu come uno scossone dell'intera marginalità popolare. Come la ricomparsa delle carestie e come quelle improvvise crisi che si vedono scatenare periodicamente nelle ondate migratorie del contado di una provincia, questa mobilitazione spontanea, della quale si meravigliarono gli storici monastici e di cui forse esagerarono la portata, fu un effetto dell'esuberanza demografica. Ma essa derivava anche dai successi della riforma della Chiesa, che portava con sé dei germi di contestazione e di turbolenza. Nel discorso riformista risuonava come un'eco di quello, per il momento soffocato, degli eresiarchi [iniziatori di movimenti eretici]. Effettivamente esaltava la libertà, la ricerca spirituale, esortava a ritornare alla purezza, al rigore dei primi tempi del Cristianesimo, incitava a leggere con maggiore attenzione gli Atti degli Apostoli e suscitava nell'élite degli uomini di Dio la volontà di vivere come avevano vissuto i primi discepoli di Gesú, nella povertà e a colloquio con i poveri. Ai margini della Chiesa ufficiale si videro moltiplicarsi negli ultimi anni dell'XI secolo gli esaltati della penitenza. Furono numerosi coloro che s'inoltrarono nelle foreste dell'Ovest, nelle montagne dell'Est; ex canonici, persuasi che la riforma delle chiese urbane non dovesse fermarsi qui, se ne andavano lontano dalle città, a nutrirsi d'erbe e di radici, nella solitudine e nel silenzio, e una schiera di fanatici li seguiva nel loro ritiro.
Altri si sistemavano nelle piazze, nelle periferie delle città in espansione, pregando, denunciando i preti troppo ricchi e gaudenti, mostrando anche le vie della Terra promessa, e sulla loro bocca ritornava incessantemente il nome di Gerusalemme. Per mezzo di tali agitatori – uno di questi si chiamava Pietro l'Eremita – l'appello di Clermont [del concilio di Clermont-Ferrand del 1095, nel quale Urbano II bandí la prima crociata] riecheggiò nei quartieri instabili della società popolare. Delle orde si misero in marcia, perseguendo l'antico sogno millenarista, massacrando di passaggio gli Ebrei, ed essendo massacrate a loro volta.
Nella Francia del Nord, anche la cavalleria si mosse, ma senza fretta, tranquillamente ordinata dai príncipi, i quali, tutti o quasi tutti, presero la croce. Ai confini del regno i discendenti di Carlo Magno, Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, il conte di Boulogne, suo fratello, il conte di Hainaut, si consideravano designati dalle virtú della loro stirpe a prendere il comando della spedizione. Partirono anche il conte dei Bretoni, il duca dei Normanni, il conte di Blois, suo cognato. Roberto, conte di Fiandra, appena ritornato da un pellegrinaggio espiatorio in Terra Santa, si uní a loro. Alla fine dell'estate l'esercito del Cristo era pronto a mettersi in viaggio. Esso si mosse lentamente, seguendo diversi itinerari. Diviso. Distribuito in corpi autonomi, costituiti da casati molto importanti, simili alle corti itineranti che i duchi e i conti avevano l'abitudine di condurre incessantemente da un capo all'altro del loro principato, talvolta perfino lontano dal paese, quando erano presi dal desiderio di un lungo viaggio, sotto il pretesto di venerare certe reliquie o di partecipare alla consacrazione del re. Ognuna di queste compagnie, mescolando ai cavalieri della «patria» donne, servitori e tutti i giovani senza legami, rimase durante il tragitto gelosamente ripiegata su se stessa, non perdendo nessuna occasione d'imporsi sui vicini. L'ostilità reciproca dei diversi popoli della Gallia non venne mai meno durante un viaggio che durò tre anni, pieno d'insidie.
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