Francesco d'Assisi e la repressione antiereticale
L’ordine dei frati Minori ha il suo riferimento storico in Francesco d’Assisi. Figlio di mercante, nei primi anni del Duecento – quasi contemporaneamente all’opera di Domenico –, si dedica ad una vita di povertà, penitenza, contemplazione e predicazione. A trasformarne le prospettive esistenziali fu l’incontro con i lebbrosi che significò l’incontro con il Cristo, con il Vangelo inteso come totale ribaltamento della logica delle umane cose e come scelta degli «ultimi». (...)
I seguaci di Francesco crebbero a dismisura in pochi anni. L’esperienza, accolta e definita nei suoi termini istituzionali dal crescente intervento della sede apostolica, andò via via modificandosi. Francesco stesso, ben prima di morire (1226), si trovò davanti a un organismo «estraneo alle sue spirituali inclinazioni e al primitivo programma». All’interno dell’ordine dei frati Minori permase, per tutto il secolo XIII e oltre, questa tensione tra il privilegiamento dell’originalità della testimonianza di Francesco, da riproporre fedelmente e costantemente, e l’adeguamento ai processi di conventualizzazione e chiericalizzazione, già iniziatisi mentre il «poverello» era in vita. (...)
L’impegno romano di disciplinamento di ogni forma di sperimentazione religiosa aveva come contestuale corrispondenza l’affinamento degli strumenti di repressione antiereticale. Tra gli anni venti e quaranta del secolo XIII Federico II, per cercare l’accordo con la chiesa di Roma e dietro richiesta del papato, emanò una compiuta legislazione contro gli eretici, che accoglieva le norme previste in precedenti decretali pontificie [lettere pontificie che assumevano valore di norma canonica], e nel 1231-1232 Gregorio IX precisò le prerogative dell'ufficio inquisitoriale, sempre piú spesso affidato a delegati papali per finire istituzionalmente nelle mani di Predicatori e Minori, operanti a nome della sede apostolica nella ricerca capillare, nel giudizio e nella condanna degli eterodossi. Una ben straordinaria metamorfosi dunque dei «figli» di Francesco che in perfetta umiltà aveva affermato di non voler essere un «carnifex ad percutiendum et flagellandum, sicut potestas huius seculi» [carnefice atto a percuotere e flagellare, come suole fare il potere secolare]!
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Da: «Regula prima» o «Regula non bullata», in A. Saitta, Il cammino umano, La Nuova Italia, Firenze, 1962
L’umiltà e la povertà, praticate in perfetta sintonia con la vita di Cristo, sono le costanti piú evidenti che emergono dalla Regula prima francescana, che divenne la regola definitiva dell’ordine dei frati minori soltanto dopo diversi emendamenti.
Cap. I - La regola e la vita di questi fratelli è di vivere in obbedienza, castità, e senza beni propri seguendo la dottrina e le orme del Nostro Signore Gesú Cristo che dice: «Se vuoi esser perfetto, vendi tutto e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni, e seguimi». [...]
Cap. II - [...] I fratelli, poi, quelli che promisero obbedienza, abbiano una unica tunica, col cappuccio e un’altra senza, se occorre, e cingolo [cordone usato in vita come cintura] e le brache. E tutti i fratelli siano vestiti di vesti vili e possano rappezzarle con pezzi di sacco od altro colla benedizione di Dio. [...] E anche se saranno detti ipocriti non cessino di far il bene, e non cerchino vesti preziose in questo mondo per poter avere un vestito nel regno dei cieli.
[...]
Cap. VII - Tutti i fratelli in qualunque luogo e presso chiunque si trovino a servire e a lavorare, non siano mai economi o cantinieri, né dirigano le case dei loro padroni, né accettino ufficio che sia di scandalo o faccia danno all’anima loro: ma siano minori e soggetti a tutti quelli che sono nella medesima casa. E i fratelli che sanno lavorare, lavorino ed esercitino l’arte che conoscono, purché non sia contro la salvezza dell’anima loro. [...] E possano per il lavoro ricevere il necessario, escluso il danaro e, se ci sarà bisogno, vadano questuando come gli altri poveri. [...] Si guardino i fratelli, dovunque siano, negli eremi o altrove, di appropriarsi qualche luogo, e di vietarlo ad altri. E chiunque venga a loro amico o nemico, ladro o assassino, sia accolto benignamente. [...] E cerchino di non mostrarsi tristi, accigliati o ipocriti, ma bensí lieti nel Signore, ilari e opportunamente gentili.
Cap. VIII - [...] Perciò nessun fratello, dovunque sia o vada, accetti denari neppure per causa di vesti, libri o compenso di lavoro, in nessun caso, salvo per manifesto bisogno di fratelli malati. [...] E se in qualche luogo troveremo denari non curiamoli piú della polvere che calpestiamo. [...] E se, Dio tolga, accadesse che qualche fratello raccolga o abbia denari, tutti i fratelli lo considerino come un falso fratello, ladro e assassino, se non si pentirà.
Cap. IX - [...] Tutti i fratelli cerchino di seguire l’umiltà e povertà di Nostro Signore Gesú Cristo e ricordino che niente altro ci occorre a questo mondo, come dice l’Apostolo: «Avendo il cibo e da coprirci stiamo di questo contenti». E devono rallegrarsi quando vivono tra persone miserabili e disprezzate, tra poveri, deboli, malati, lebbrosi e mendicanti della strada. E se ci sarà bisogno, vadano per elemosina e non si vergognino perché il Nostro Signore Gesú Cristo, figlio di Dio onnipotente, posò la sua testa su una pietra durissima, né se ne vergognò, e fu povero e ospite e visse di elemosine, lui, la beata Vergine e i suoi discepoli. E quando gli uomini facessero loro vergogna e rifiutassero l’elemosina, ne rendano grazie a Dio, perché di queste vergogne riceveranno grande onore al tribunale del Nostro Signore Gesú Cristo. [...]
[...]
Cap. XIV - Quando i fratelli vanno per il mondo non portino seco per via né sacco, ne valigia, né pane, né denaro, né bastone. E in qualunque casa entrino, dicano prima: «Pace a questa casa ...». Non resistano al male, ma a chi percuoterà loro una guancia, offrano l’altra: e non si oppongano a chi vorrà levare loro la veste o la tonaca, e non ridomandino le cose che loro sono state tolte.
Cap. XV - Impongo a tutti i miei fratelli, chierici e laici, che vanno per il mondo, che non tengano presso di sé o di altri alcuna bestia da soma, e non sia loro lecito di cavalcare, salvo per malattia o grave bisogno.
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