Peace history: ma cosa si ricerca?
Molti ricorderanno il 2003 come un anno storico del movimento per la pace. Esso è apparso come l'altra (e unica) forza globale in grado di contrapporsi agli Stati Uniti. Il 15 febbraio 2003 il movimento per la pace ha riempito le piazze di 603 grandi città del mondo e per la tv americana Cnn sono scesi in strada 110 milioni di cittadini per dire no alla guerra in Iraq. Mai nella storia era accaduta - in simultanea mondiale - una cosa del genere. Il New York Times del 16 febbraio 2003 ha scritto che ci "sono due superpotenze sul pianeta: gli Stati Uniti e l'opinione pubblica mondiale".
Dopo quell'esperienza molti si sono chiesti: ma il movimento per la pace è nato di recente o ha radici lontane? Si può parlare di una storia del movimento per la pace anche per i secoli passati? E chi ha costruito la storia del movimento per la pace?
E' abbastanza intrigante chiedersi se il pacifismo ha radici anche nella storia antica o se nella preistoria gli uomini erano più pacifici dei loro discendenti che inventarono la scrittura e le altre forme di civiltà.
Se si è convinti che il movimento per la pace sia un soggetto storico è indispensabile scoprirne quindi le radici con un paziente lavoro di ricerca, simile a quello che gli umanisti realizzarono per portare alla luce le testimonianze di qualcosa che sembrava sepolto negli archivi della storia.
Altri movimento storici dotati di identità forti (ad esempio il movimento dei lavoratori o delle donne che hanno saputo ricostruire la propria storia) hanno scavato nel passato e hanno portato alla luce ciò che la storia ufficiale dei vincitori ha ignorato, taciuto o deliberatamente manipolato. Ogni soggetto storico consapevole dei propri compiti è tale solo se ha la consapevolezza della sua storia. E questo vale in particolare per il movimento per la pace che, prefigurando metodologie nonviolente di risoluzione dei conflitti del presente e del futuro, non può esimersi dal compito di verificare se i conflitti del passato abbiano sperimentato soluzioni innovative diverse dalla guerra.
La storia della pace ha avviato il suo percorso di ricerca da alcuni anni e negli Stati Uniti vi sono già degli studi di "Peace History". Chi conosce l’inglese può prendere contatto con realtà stimolanti come la Peace History Commission e la Peace History Society. Tuttavia fare storia della pace non è semplice. Vi è la difficoltà di reperire fonti alternative. Ma c'è anche un altro problema: una delle cose più complesse da definire è che cosa si intenda per "storia della pace". Ad esempio: la storia della pace deve studiare le guerre? Occorre cioè circoscrivere l'ambito storico e l'oggetto stesso dello studio al fine di compiere una opportuna ricerca e selezione delle fonti.
Personalmente ritengo che la storia della pace debba mettere in evidenza la biografia di tanti "piccoli" personaggi ignorati dalla storia ufficiale e di tante azioni positive che hanno costruito "l'altra storia". Un'altra società è possibile se diventa possibile un'altra storia che valorizzi non solo i grandi personaggi ma anche la gente comune che ha operato per il cambiamento pacifico e nonviolento. La storia occorre studiarla non solo come storia di mascalzoni e di mascalzonate altrimenti diventa una sorta di spauracchio da cui il lettore esce chiedendo aiuto. E da questa immagine di storia malefica se ne esce a volte con l'attesa del partito buono che ci protegge e che ci salva. E che ci chiede magari un complice silenzio altrimenti "vince il nemico". Una storia tutta centrata sulla malvagità che opprime gli uomini e devasta il passato fa piazza pulita - a pensarci bene - dei tanti che hanno costruito qualcosa di buono. Come in tanti giornali l'impegno positivo non fa notizia o non va in prima pagina, così anche nella storia il meccanismo rischia di riprodursi e di spazzare via la "piccola storia", le tante testimonianze profetiche e lungimiranti.
L'obiezione verso questo approccio è che si faccia la storia dei perdenti e delle buone intenzioni, dei "profeti disarmati" che caddero in rovina, come pensava prima Machiavelli e poi storiografia marxista. E in effetti vi è il rischio che la ricerca si arresti su una narrativa di storie commuoventi, piene di buoni sentimenti ma a cui sfugge la storia strutturale. I guasti delle guerre sono stati così profondi che la storia delle biografie, per quanto animata di ideali e segnata dalle sofferenze, non giunge ad analizzare compiutamente. Ad esempio i dati statistici, i retroscena economici e gli "invisibili" giochi di potere ci dicono della guerra tante cose che poi sono argomenti per la pace. La guerra si fa una tale brutta pubblicità nella storia che la storia della pace è anche storia del suo opposto dialettico, la guerra, con tutte le sue sfaccettature sia esperienziali che di tipo strutturale.
La storia "calda" (quella raccontata) e la storia "fredda" (quella analizzata) debbono convivere dentro la storia della pace.
La storia alternativa alla guerra è quella che si confronta con la guerra, non quella che vive in un mondo a parte separato dalla guerra. Quindi la storia della pace si occupa anche di storia militare ma lo fa con un occhio attento alla vicenda umana della sofferenza dei soldati, alle esperienze di diserzione e ribellione, alle conseguenze sociali, ambientali ed economiche dei conflitti armati.
Detto questo occorre però aggiungere che la storia della pace vive di un suo specifico che la innalza al di sopra del suo opposto dialettico (la storia della guerra) e che annota i progressi positivi - in campo sociale, istituzionale, culturale, artistico, ecc. - di chi ha lottato per essa. Possono essere conquiste "esterne" acquisite oggettivamente nella società o conquiste "interne" della coscienza collettiva.
La storia della pace è la storia della dignità delle persone, ossia della costruzione dei diritti umani, della democrazia, della giustizia, della legalità. E' la storia di regole e di garanzie, è la storia della costruzione del tessuto di rapporti e norme che fanno esprimere la volontà generale e che al tempo stesso tutelano i diritti delle minoranze. E' la storia della progettazione e realizzazione delle regole del conflitto sociale nonviolento in cui non prevale il più forte e il più violento ma chi acquisisce più consenso: è quindi la storia della democrazia.
Nel libro “Con il mondo a scuola” è citato il caso di un preside americano che all’inizio di ogni anno scolastico scriveva ai suoi insegnanti questa lettera: “Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti, bambini uccisi con veleno da medici ben formati, lattanti uccisi da infermiere provette, donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università. Diffido - quindi - dell'educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l'aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani”.
Anche la storia rientra in questo discorso educativo. La storia non può e non deve essere un esercizio di assuefazione alle guerre, alla logica della violenza e della sopraffazione altrimenti diviene più che mai attuale il grido poetico di Salvatore Quasimodo: “Dimenticate i padri” .
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