Antifascismo, revisionismo e democrazia
Articolo tratto dal discorso introduttivo di Ferruccio De Bortoli al convegno Antifascismo e identità europea presso la Casa della Cultura.
Può sembrare vagamente retrò il titolo del libro di Alberto De Bernardi “Antifascismo e identità europea”, perché è sentimento diffuso che dopo la caduta della prima Repubblica, la scomparsa del movimento sociale, la svolta di Fiuggi, possa apparire retorico ad alcuni il richiamo alla democrazia nata dalla resistenza in Italia. E così lo stesso ragionamento si potrebbe fare per l’Europa con la Germania unificata, con i paesi dell’ex patto di Varsavia che fanno parte quasi tutti della NATO e parimenti il titolo potrebbe indurre a pensare che lo studio di Alberto De Bernardi e Paolo Ferrari, unitamente all’impegno dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia e la Fondazione Memoria della Deportazione, possano essere semplicemente una risposta ad una letteratura così detta revisionista - anche se la storia va continuamente riletta con lo spirito libero del dubbio e senza l’influsso di pregiudizi e di ideologie, essendo questo il compito degli storici veri -.
La letteratura revisionista a volte è inutilmente persistente in una sorta di moda luddista nella distruzione e nell’appannamento della memoria. Studi quali il libro “Antifascismo e identità europea” sono liberi da posizioni preconcette, il cui contributo può aiutare nel riscoprire le ragioni storiche dell’antifascismo in Italia e in Europa e a comprendere come i valori della democrazia, della libertà individuale e della solidarietà sociale costituiscano già gli aspetti essenziali dell’antifascismo tra le due guerre, che è poi sfociato nella Repubblica e nella stesura della Costituzione.
Parlarne attualmente è indispensabile per meglio definire non solo il valore della nostra democrazia liberale, fondata sui principi dell’attuale Costituzione, e del significato di estrema attualità, ma anche soprattutto per definire l’identità europea, di cui non abbiamo ancora una carta costituzionale ed un documento identificativo. Sussiste un problema di radici cristiane dell’Europa e di ancoraggio, non solo non formale a quella che è la grande tradizione dell’antifascismo. Un concetto esso stesso vittima di revisionismi e strumentalizzazioni, come l’eccessivo appiattimento che in alcuni casi è stato fatto sulla resistenza di una parte sola e generalmente comunista, che occupò tutto lo spazio del ricordo finendo per cancellare anche la memoria dei vinti. Il rispetto per la parte avversa è un modo di essere del vero antifascismo, oppure l’eccessiva retorica sull’eroismo partigiano, che ha messo a volte nell’angolo la memoria di sacrifici civili e di servizi leali dello Stato, oppure il rifiuto di accettare la rappresentazione “defeliciana” di quella che fu l’Italia del consenso al regime fascista sul finire degli anni’30.
L’antifascismo degli anni ’30 fu la migliore risposta alla dittatura, la peacement di Monaco, una città riportata all’attualità con esempi che ricorrono in questi ultimi tempi, a proposito dell’atteggiamento europeo nei confronti della guerra in Iraq.
La mancata coincidenza tra antifascismo ed antitotalitarismo, - per esempio, gli italiani di Stalin, fino ad arrivare all’89 – è stato uno degli elementi che hanno compresso questo concetto di antifascismo. Così come la perdita di questo connotato antitotalitarista ha caratterizzato negativamente l’atteggiamento di parte della sinistra europea e ha costituito un collante, con cui dovremmo fare i conti perché costituisce una tossina che permane nel tessuto di un vissuto imprescindibile nei Paesi dell’Est e anche ex comunisti che hanno aderito ultimamente all’Unione Europea: nel nome dell’antifascismo si potevano, per esempio, sacrificare, in quei regimi e in quelle ideologie, diritti e libertà.
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