Il rischio della neutralizzazione del passato

Il Significato della Testimonianza

Tra razionalità e memoria
Laura Tussi6 novembre 2009

“La nostra meta non è di trasformarci l’un l’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e di imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro completamento”.

Hermann Hesse

 

 

L'epoca nazista ha lasciato ai posteri il problema del rapporto tra sapere e barbarie, tra scienza e persecuzione.[1]

Primo Levi traccia una limpida osservazione e nitida descrizione della Shoah, considerata come un accumulo di procedure, norme, pratiche, finalizzate alla progressiva cancellazione, fino all'annullamento della natura dell'essere umano.

Lo sterminio non fu solo una prerogativa ebraica.

Forse l’istituzionalizzazione di una giornata dedicata alla memoria della Shoah potrebbe rischiare di alimentare l'assuefazione, le recriminazioni e le tendenze a forme di relativismo morale.

Tra il senso comune degli europei e degli italiani e l'esperienza degli ultimi sopravvissuti dello sterminio si è aperto un baratro morale, da cui emerge la facile opinione che la scomparsa degli ultimi colpevoli nazisti abbia estinto la colpa.

Così la Shoah sta divenendo uno dei fotogrammi ultimi della storia dopo che questa è stata ridotta, dalle stesse proliferazioni istituzionali e celebrative, ad una successione di orrori.

Primo Levi insisteva sui caratteri dello sterminio nazista che ne definiscono l'unicità, come le deportazioni di massa, la volontà di genocidio, il ripristino dell'economia schiavista, l'annullamento della dimensione umana dell'individuo e la sua depersonalizzazione.

Attualmente si verifica un preoccupante fenomeno.

Le celebrazioni del giorno della memoria diventano sempre più numerose e diffuse, ma contemporaneamente si moltiplicano i segni di un senso di saturazione e di fastidio, i cui motivi devono essere indagati, per evitare che si giunga ad un rifiuto.

La trasmissione della conoscenza della Shoah è spesso affidata solo ai testimoni, senza un impegno di contestualizzazione sul duplice versante della storia del nazismo, del fascismo e dell'antisemitismo.

Spesso i testimoni, consapevoli dell'effetto meramente emotivo della loro esposizione, si sforzano di fornire anche gli elementi di una ricostruzione storica.

Nelle testimonianze dei sopravvissuti subentra la tendenza a narrare in modo standardizzato e organizzato come in una riproposizione recitata.

L'esperienza della Shoah diviene narrazione, dove la memoria è rappresentazione, necessaria a sopprimere la pena, il dolore, il senso di colpa, il disgusto per essere stati coinvolti in un'esperienza così tragica e umiliante.

Il rito celebrativo è memoria privata di dolore che svuota l'evento della sua carica negativa e destabilizzante, ristabilendo un equilibrio, perché la società civile possa continuare ad esistere.

Si corre il rischio di una neutralizzazione del passato della Shoah, in quanto progressivamente scompare la generazione direttamente coinvolta e si verifica l'inserimento nel corso naturale della storia ordinaria.

Tra gli elementi specifici di questo tragico passato subentra la conoscenza di una memoria luttuosa e accusatoria, intrisa dei sentimenti dolorosi di molte persone che restano inflessibili nell'insistenza sulla forma mitica del ricordo.

I ricordi angosciati dei sopravvissuti sono intessuti in una liturgia, evolutasi nel culto della rimembranza, con cerimonie, giorni sacri, santuari, monumenti e pellegrinaggi.

Il proposito di questa memorializzazione rituale consiste nell’assicurarsi che tutti non dimentichino o normalizzino le sofferenze delle deportazioni nei campi di concentramento e di sterminio.

Questo culto della rimembranza è diventato troppo settario e contribuisce a separare lo sterminio delle differenze dal suo contesto storico, inserendolo in una dimensione storica provvidenziale per essere commemorato, lamentato e interpretato in modo riduttivo.

Il rischio non è quello di dimenticare la Shoah, ma di fare un cattivo utilizzo della sua memoria, di imbalsamarla, chiuderla nei musei e neutralizzare il potenziale critico e farne un uso apologetico, ossia di dimostrazione della verità e positività dell'attuale ordine del mondo, quando si vuole vedere il nazismo come una legittimazione in negativo dell'Occidente liberale, considerato come il migliore dei mondi possibili.

La Shoah deve essere studiata storicamente, sapendo che consiste in un'anomalia che sfida le categorie interpretative, dove distanza e impatto emotivo sono entrambi necessari, se si vuole giungere a un'integrazione della memoria mitica delle vittime all'interno di una rappresentazione complessiva del passato, senza però porre ostacoli alla razionalità, alla storiografia razionale.

Accade che gli ebrei sentono la memoria della Shoah come un lutto non elaborato, mentre i non ebrei considerano quella memoria eccessiva, irrazionale e anche fanatica, dove gli uni e gli altri si sentono irreparabilmente divisi.

In base alla consapevolezza di questa difficoltà dovrebbe essere raccolta da entrambi, ebrei e non ebrei, la sfida più decisiva di rendere universale e non particolare la memoria della Shoah.

Il suicidio di molti testimoni della tragedia dello sterminio, dopo aver ritrovato la libertà, non è un fatto casuale.

Per sopravvivere occorre dimenticare e lasciarsi morire e suicidarsi ed è una tentazione molto forte, come forma estrema di manifestazione del sentimento di umiliazione e di dignità offesa.

Il pensiero del lutto individuale passa per quello collettivo, in un intreccio di domande irrisolte che assumono il carattere di un'ossessione.

Di fronte a un lutto estremo che coinvolge la collettività intera, anche la visione religiosa del mondo appare profondamente intaccata, chiedendo a Dio il perché sia accaduto.

Educatori, insegnanti e genitori sono continuamente posti di fronte al dilemma di come trasmettere alle nuove generazioni una memoria dolorosa, che può risultare insopportabile, senza intaccare in esse la felicità di vivere, di amare e di gioire, di sognare e immaginare un mondo diverso e migliore. Dopo lo sterminio nazista nulla poteva risultare uguale, dall'arte alla poesia, dalla filosofia alla teologia, non solo per l'entità della tragedia, ma per il modo in cui si è realizzato l'annientamento di massa e il luogo in cui è avvenuto, nel cuore dell'Europa con i suoi simboli costitutivi e con l'ideologia che lo ha sostenuto.

Il lutto ha investito i fondamenti della civiltà e dei suoi simboli religiosi.

Dopo Auschwitz il mondo non è più lo stesso.

Il cambiamento ha investito la teologia e l'immagine stessa del divino, in una frattura della coscienza collettiva, dove la Shoah è assurta a simbolo del male assoluto e a paradigma di ogni evento.

Uno dei problemi attuali aperti è quello del ruolo affidato alla memoria e alla storia della Shoah, nella difesa dell'esistente, nella paura di perdere il ricordo, ma al contempo con l'apertura creativa al mondo, alle nuove generazioni, erigendo barriere sempre più solide che impediscano la perdita del ricordo e trasmettano attraverso la Shoah insegnamenti e modalità sempre nuove di memoria e di storia.

Dunque la Shoah come paradigma dell'annientamento radicale di tutte le diversità presenti nel tessuto sociale e comunitario, a partire dall'antisemitismo, quale fondamento dell’islamofobia e pretesto di annullamento delle differenze razziali e di tutte le diversità implicite nell'essere umano. Il campo di sterminio come babele di diversità dove l'oppositore politico, lo scioperante era affiancato al Rom, dove il menomato fisico e mentale era eliminato insieme all’asociale e all'omosessuale, in un sistematico schema di sterminio omologante rispetto alla presupposta perfezione della razza ariana, ostentata e propagandata dall'ideologia nazista.

 

Laura Tussi

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[1] Meghnagi S. (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i “testimoni”, Donzelli, Roma 2007.

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