Ricordo di ciò che ci ricorda Domenico Sereno Regis: lotta nonviolenta alla tirannia presente
Ricordare una persona che ci ha dato molto non è tanto farne il panegirico quanto raccogliere e coltivare ciò che ci ha lasciato. Ora è Domenico che ci ricorda delle cose importanti, grazie alle quali non ci dimentichiamo di lui. Dimenticare sarebbe far uscire dalla mente. Ri-cordare è tenere nel cuore. Dunque, è un’attività: fare memoria, agire ora, interpretare, continuare.
1- Domenico ci ricorda la politica di base, dal basso, di tutti, partecipata, condivisa, nel pensare globalmente ma agire localmente. La facciamo? Ne siamo capaci? Siamo attenti alla vita della città, del circondario, della regione? Sì, facciamo, ogni tanto, l’ora di silenzio per la pace nella piazza principale della città, un atto che interpella molti passanti; proponiamo questa biblioteca e le attività di questo Centro Studi alla vita culturale e educativa della città. Non siamo assenti, ma io sento (almeno per me, poco attento alla vita della mia città) che potremmo cercare una maggiore e migliore presenza cittadina. I contributi che da questo centro possono venire sono richiesti maggiormente da fuori Torino che non da Torino.
2- «Ricordati che la vita è lotta e servizio», disse Domenico ad un giovane. Lottare, sì. Lottare non è offendere e ferire, non è violenza. Anzi, la nonviolenza è lotta, è la lotta migliore e più efficace. Anche lottare contro, sì. Non contro le persone, ma contro le malefatte e i malcostumi morali e politici: contro il fascismo, che è ogni culto della violenza, ogni uso della guerra, cioè dell’omicidio di massa; contro la demagogia plebiscitaria, eversione della democrazia; contro l’attuale privatizzazione della res-publica, con cui il materialmente ricco compera e domina a proprio uso il patrimonio civile e la casa di tutti, che è la Costituzione, la legge uguale per tutti, e si fa leggi personali di autoassoluzione, rifiutando di venire giudicato. Nessun furto è più grave di questo, compiuto dal ladro delle regole comuni, dei diritti e garanzie e doveri di tutti, che lui cattura e manipola a proprio esclusivo vantaggio. Questa è tirannia sostanziale, da combattere con grande forza. Questa è la tragica situazione italiana, l’imbarbarimento che ci obbliga alla lotta nonviolenta. Contro, ma come? Ogni cittadino civile deve opporre obiezione di coscienza a questa aggressione tirannica, deve disobbedire civilmente, con la forza di accettare le conseguenze, per dimostrare a tutti gli onesti la violenza del tiranno che offende la giustizia. Così si può svuotarne il potere, che consiste tutto nell’essere accettato dai cittadini passivi.
3- Questa lotta, con le idee libere e franche, e con la resistenza civile, è un servizio alla civiltà, per la libertà giusta, che è solo quella di tutti, che è la liberazione di chi non è libero. Libertà falsa e violenta è quella oggi esaltata, quella di libere volpi fra libere galline, cioè dei prepotenti liberi di sopraffare e ingannare i poveri e gli sprovveduti, lasciati liberi di essere ingannati.
4- Dicono: «Non basta dire no». Sicuro! Ma anzitutto bisogna dire dei no per poter dire i sì che sono da dire. No alla guerra, voluta per dominare infliggendo dolore, pensata come mezzo legittimo e normale della politica, mentre è sempre criminale. No alla violenza blanda che adesca, corrompe, sfibra moralmente i cittadini per aggregarli come pecore stolte: prima della pubblicità volgare del tiranno ciarlatano, è la stupidità continuamente iniettata dai suoi media che istupidisce e schiavizza menti e cuori di troppi cittadini privati ad arte di risorse culturali affinché non possano difendersi, e così ridotti a consumatori privi di aspirazioni umane e ammiratori plaudenti del ciarlatano in trono. No alla demagogia liberista, che non ha diritto di invadere l’agorà civile, e deve essere bandita. Questi no sono già dei sì. Il sì ai valori della Costituzione, che sono da articolare in programma e volontà, nel concreto. Ma senza ispirazione alta non c’è concretezza che valga. L’opposizione alla tirannia non può essere un alternarsi ad essa, come in una normale dialettica tra impostazioni ugualmente legittime. La tirannia blanda e mentale non è legittima. Non alternanza, ma alternativa fortemente qualificata, deve essere l’opposizione alla tirannia. L’appello agli italiani deve chiamare la demagogia col nome di tirannia. L’appello elettorale deve richiamare a valori alti, non mediare in basso, altrimenti è complicità. Meglio una minoranza attorno ad un appello giusto, che una maggioranza ottenuta con un compromesso morale. La giustizia può affermarsi domani o dopodomani, ma se oggi si svende, se oggi la perdiamo di vista, non sappiamo quando la ritroveremo. L’alleanza degli oppositori deve essere la più ampia possibile, per cercare giustamente la maggioranza, ma anzitutto deve essere opposizione.
5- Tutto questo è lotta nonviolenta, contro la violenza usando non altra violenza, ma la forza dell’attenersi alla verità, la forza dell’unità e della tenacia. I giudizi che guidano questa lotta non sono violenza: essi sono gravi perché vedono che alta è la gravità delle cose, ma sono contro i mali, non contro le persone che li compiono. Queste sono persone miserabili – da commiserare, più ancora che disprezzare – che hanno bisogno, nella loro disastrosa ignoranza e miseria umana, di incontrare valori e testimonianze di umanità. Vanno ridotte a vita privata, quindi ricuperate. La nonviolenza non combatte nemici (da eliminare), ma resiste e contrasta avversari (da impedire), allo scopo di riguadagnarli all’umanità che essi offendono stoltamente. Infatti, la nonviolenza è l’opposto di ciò che molti credono: non è astensionismo e purismo, ma lotta attiva con le forze umane del buon diritto di tutti, del coraggio e della resistenza, della coscienza consapevole, libera, non confusa dalle sirene adescatrici della violenza blanda.
6- Tutto questo non è utopia. È un cammino in corso, accidentato, con ritardi e cadute, come tutti i cammini umani erti e meritevoli. Un cammino avviato, che ha già una storia, consegnata a noi per essere proseguita. Il 900, secolo della massima violenza, è anche il secolo della nonviolenza che si fa storia, politica, civiltà. La nonviolenza sta maturando come cultura politica, come etica civile, come liberazione dalla violenza: la nostra personale violenza, anzitutto, e quindi quella dei sistemi disumani. L’attenzione alla nonviolenza, come maturo cammino verso la pace, entra nella cultura universitaria, nella filosofia della politica, addirittura comincia a comparire nella riflessione di qualche partito, e si dimostra centrale nella ricerca spirituale di quanti ispirano la propria vita alla profondità religiosa.
7- Dico queste cose come se le ricordasse oggi a noi Domenico Sereno Regis. Nei suoi anni, come altri battistrada, egli ha visto e intravisto queste cose, avvertito questi pericoli, condotto queste lotte, alimentato queste speranze. Se davvero gli siamo grati per quanto ha fatto, adesso tocca a noi farlo. Ricordarlo non è parlare di lui, voltati indietro, ma andare avanti in ciò che tocca oggi a noi.
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