Vi ricordate di piazza Fontana? Fu «strage di Stato»
Per i 50 anni dalla strage di Piazza Fontana i megafoni dei Palazzi ci sommergeranno di vecchie e nuove bugie. A me pare importante ri-dire le verità scomode. Per questo ho preparato una lettura cercando in 30 minuti di riassumere i perché delle bombe e accennando alle lezioni da trarne sull’oggi. Soltanto 30 minuti perché spero che poi venga voglia di discuterne… Domenica ho fatto la “prima” a Imola: chi c’era dice che funziona e mi incoraggia a replicare. Dunque se la cosa interessa… e se esistono un contesto e un luogo e un adatti… contattatemi: in coda trovate le info utili. Se qualcuna/o fosse interessato ma dicesse «a che titolo ‘sto tipo vuol parlare di una storia così complessa?» rispondo: feci parte del collettivo che scrisse la controinchiesta «La strage di Stato» e poi da solo, nel ’75 , pubblicai «Agenda nera» cioè una breve storia del neofascismo italiano; per questo mi sento se non un “esperto” (bah) comunque un testimone.
Attenzione: qui sotto dove trovate […] significa che sto ancora ritoccando il testo, in cerca di una migliore sintesi.
Il 12 dicembre 1969 è un venerdì, giorno in cui le banche sono più affollate del solito.
A Milano nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana la bomba scoppia alle 16,37: ci sono 17 morti (14 sul colpo) ma anche 87 feriti. Alcuni resteranno mutilati per sempre: vite distrutte eppure di loro non si è parlato quasi mai.
Ma c’è una diciottesima vittima legata a quell’infame strage. Morirà in questura a Milano pochi minuti prima della mezzanotte del 15 dicembre (o forse pochi minuti dopo la mezzanotte… sono versioni differenti ma importanti per giustificare che se ne occupi un altro giudice, quello che entra in turno alle ore 24).
Quella notte a Milano era caldo, strano per un 15 dicembre: da una finestra del quarto piano della questura milanese vola Giuseppe Pinelli – per tutti Pino – ferroviere anarchico. Nessun colpevole per la sua morte sentenziarono anni dopo. Del resto, dopo molti processi, i giudici non condannarono nessuno per piazza Fontana.
E’ subito chiaro che la bomba del 12 dicembre non è il gesto di un folle o di un isolato. Infatti quel giorno erano previsti 5 attentati, concentrati in 53 minuti, a Roma e a Milano.
Tre gli attentati a Roma che provocano 16 feriti: una bomba alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, una seconda in Piazza Venezia e una terza lì vicino all’Altare della Patria.
A Milano invece una seconda bomba – ATTENZIONE – viene ritrovata inesplosa in piazza della Scala, a poche centinaia di metri dalla Banca dell’agricoltura. Fu fatta scoppiare alle 21,30 dagli artificieri della polizia: si distruggono così indizi che potevano essere preziosi. Strano. Tanto più che quando gli artificieri dicono “non c’è pericolo, inutile farla esplodere” da Milano chiedono indicazioni ai “superiori” cioè a Roma e da lì rispondono “Fatela scoppiare”. Non vi sembra uno strano modo di indagare? E’ la prima stranezza di una lunga serie. […]
Dunque il 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana c’è la prima strage di una lunga serie. E ci sono i primi morti di quella che poi verrà chiamata «strategia della tensione» …
I primi morti… però quello non è il primo tentativo di uccidere: dal 3 gennaio al 12 dicembre 1969 vi sono in Italia 145 attentati politici, circa uno ogni tre giorni. Novantasei sono di riconosciuta marca fascista, degli altri molti di incerta attribuzione.
Per esempio il 25 aprile due ordigni sono piazzati a Milano: uno al padiglione della Fiat nella Fiera Campionaria e l’altro alla Stazione Centrale. Venti persone. Fra l’8 e il 9 agosto 1969 ben dieci bombe vengono collocate su altrettanti treni lungo la penisola; ne scoppiano otto ferendo leggermente dodici persone. […] .
Anni dopo (troppi anni dopo) sarà ufficiale quello che molti sospettano subito: sono sempre le stesse mani a costruire e innescare le bombe.
L’episodio più grave – ma quasi sconosciuto – si registra il 4 ottobre 1969, quando vengono deposti a Trieste, su un davanzale dei bagni della scuola materna slovena, quasi 6 chili di gelignite, con una potenza doppia rispetto all’ordigno di piazza Fontana. Il contatto, cioè lo scoppio, è fissato per le 12. Solo un difetto tecnico impedisce la deflagrazione che avrebbe investito i bambini dell’asilo. L’attentato mancato fu tenuto segreto … e solo nel gennaio 1971 se ne ebbe notizia. Molti anni dopo, nel 1996, furono individuati i quattro autori di quella mancata strage, tutti del gruppo neofascista Ordine Nuovo.
Dunque la volontà di uccidere era chiarissima. A chi sa ben guardare anche le protezioni verso i fascisti risultano evidenti.
Ricordo a chi è più giovane o ha perso la memoria le principali stragi che seguirono Piazza Fontana: 8 morti in piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974; 12 morti sul treno Italicus il 4 agosto 1974 e poi altri chiamiamoli “minori” alla questura di Milano, a Peteano…
C’è una strage sul treno, il 22 luglio 1970, di cui pochissimo si parlò allora e dopo: perchè 7 morti sono pochi? Perchè Gioia Tauro è “periferia” dell’Italia? O per altre ragioni? […]
UN BREVE STACCO MUSICALE
Per Piazza Fontana gli investigatori si concentrano sulla pista anarchica: in questura a Milano viene interrogato Pinelli mentre a Roma si arresta Pietro Valpreda.
Dopo che Pinelli è volato dalla finestra della questura i poliziotti fanno capire ai giornalisti che si è ucciso perchè colpevole. Anzi no: Pinelli si getta dalla finestra quando capisce che l’assassino è il suo amico Pietro Valpreda: sconvolto, il ferroviere grida «è la fine dell’anarchia» e si butta. Anzi no… le versioni cambiano. Non si riesce a capire neppure quanti poliziotti c’erano in quella stanza. Si arriva all’assurdo […] Tutto così assurdo che Dario Fo ne trarrà uno spettacolo, «Morte accidentale di un anarchico», volutamente tragico e ironico. Non deve inventare nulla Dario Fo: le bugie e le versioni inverosimili che durano un giorno o poco più, arrivano tutte dagli inquirenti. […]
PARTE LA CANZONE DI DARIO FO
Il ballerino Pietro Valpreda, che vive a Roma, viene arrestato e accusato di essere l’attentatore di Milano. Resterà in galera 3 anni.
Il presidente della repubblica Giuseppe Saragat plaude alla “cattura del mostro”. Il suo telegramma di felicitazioni al Capo della polizia è letto al telegiornale da un giovane giornalista che – indovinate un po’ ? – si chiama Bruno Vespa.
I titoli dei quotidiani potete immaginarli. Gli anarchici sono certamente colpevoli, mostri.
Presidente del Consiglio è il democristiano Mariano Rumor. Nel suo messaggio dopo l’attentato dichiara «quello che è accaduto rende indifferibile la firma del contratto dei metalmeccanici». Qualcuno, forse un po’ ingenuo, si chiede cosa c’entrino gli operai. Qualcun altro pensa che quella frase è quasi una rivendicazione e va tradotta così: “se non volete bombe smettetela con gli scioperi”.
Rumor è della Dc, la Democrazia Cristiana, il partito che, da oltre 20 anni, guida i governi italiani. Forse i più giovani non sanno cos’era la Democrazia Cristiana. In breve un partito di centro, con varie anime. Il suo simbolo è uno scudo crociato: per ribadire che è il partito dei cattolici (pensa qualcuno) o la lunga mano del Vaticano (penso io).
Da anni la Dc governa anche con i socialisti, il Psi. Un governo dunque di centro-sinistra: allora le parole avevano un maggior senso di oggi e con centrosinistra si intendevano forze di centro e di sinistra impegnate a discutere e spesso litigare su un progetto comune. Adesso si parla di centrosinistra ma a guardare i programmi bisognerebbe dire centro-centro-centro-centro-centro-sinistra. O forse destra-destra-centro. Idee confuse o parole bugiarde?
Ma torniamo a quel dicembre 1969.
Pochi giornalisti coraggiosi dubitano della pista anarchica: una si chiamava Camilla Cederna. Viene quasi linciata dai colleghi, in particolare da “Il corriere della sera”.
Anche il sindaco di Milano, Aldo Aniasi, ex partigiano che era allora nel Psi, il partito socialista, non crede siano stati gli anarchici.
Ma soprattutto siamo noi studenti e operai a riempire le piazze per dire “non crediamo alla verità di Stato” e “non ci fermerete”… Non avevamo paura? Certo che ce l’avevamo ma ne andava del nostro futuro.
UN BREVE STACCO MUSICALE
BISOGNA CHIARIRE IL QUADRO IN CUI AVVIENE LA STRAGE PER CAPIRE CHI L’HA VOLUTA
L’Italia è una pedina importante nello scacchiere della guerra che fu detta fredda (per distinguerla dalle guerre aperte, calde) che si combattè fra due blocchi, quello a guida Usa e quello dell’Urss. Il mondo era diviso in due? In realtà esistevano i Paesi non allineati che furono detti «terzo mondo» (a proposito di come si perde il significato delle parole, oggi con questa espressione si intende tutt’altro).
L’Italia è nel blocco degli Usa che guardano con graaaaaaande preoccupazione a un Paese dove il Pci, cioè il partito comunista, è molto forte. […]
Bisogna ricordare che l’Italia è interna alla NATO, l’organizzazione militare creata – in teoria – per difendere i Paesi “liberi” dall’Urss e dagli altri Paesi detti comunisti o socialisti. In teoria perchè la Nato esiste ancora mentre l’Urss non c’è più dal 1989 e dunque quella organizzazione militare a guida Usa serviva (e serve) ad altro…
Nella Nato di quel periodo ci sono Paesi democratici, assai diversi fra loro, ma anche due Stati fascisti: Spagna e Portogallo. Dall’aprile 1967 ce n’è un terzo, la Grecia dove un golpe ha instaurato una dittatura militar-fascistoide.
In questo quadro mondiale (ovviamente più complesso di così ma ho dovuto sintetizzare con l’accetta) … in questo quadro mondiale arriva una rivolta giovanile – giovanile e non solo – che poi sarà detta “il 68 e la sua onda lunga”. Da oltre un anno gli studenti di mezzo mondo sono in lotta; anzi negli Usa le rivolte – contro la guerra in Vietnam – degli universitari durano dal 1966. Nel maggio ’68 in Francia c’è stata quasi la rivoluzione, con barricate e scioperi generali.
Quel che ci importa – perché qui ha senso «la strategia della tensione» – è che nel 1969 in Italia l’autunno è previsto caldo, per il rinnovo dei contratti, e caldo sarà. La mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici è impressionante. Sottolineo lavoratrici perché in quegli anni sta crescendo ovunque un movimento delle donne. Che negli anni successivi cambierà in meglio la scena italiana.
C’è una novità. Imprevedibile negli anni precedenti. Con lo slogan “operai studenti uniti nella lotta” si mettono le basi di un’alleanza ideale ma per certi versi concretissima. Un solo esempio: immaginatevi gli studenti di medicina che vanno davanti alle fabbriche a incontrare gli operai e le operaie per ragionare con loro di perché nei luoghi di lavoro si muore e ci si ammala molto più che altrove, a ragionare di cosa si può fare per difendere la vita e la salute: con ogni evidenza così si mettono le basi di una medicina diversa ma anche di un nuovo sapere operaio, dunque di un nuovo possibile potere. Pericoloso per chi comanda e fonda il suo dominio anche sull’ignoranza. […]
Insomma le lotte di quel periodo in Italia non chiedono solamente aumenti salariali o il diritto allo studio e al lavoro ma iniziano a portare avanti un’idea diversa di società.
Se oggi di quel periodo si è persa la memoria… non è un caso: serve a coprire i colpevoli delle stragi ma soprattutto a nascondere che sul piano sociale, economico, politico l’Itala è tornata (meglio: è stata fatta tornare) indietro: per le condizioni materiali di vita, nell’esercizio dei diritti, nella possibilità di organizzarsi sindacalmente e politicamente.
UN BREVISSIMO STACCO MUSICALE
Torniamo alle bombe del 12 dicembre. Da subito alcuni indizi portano verso i neofascisti (in particolare verso il padovano Franco Freda da una parte e il romano Stefano Delle Chiaie dall’altra) ma vengono lasciati cadere dagli investigatori. Peggio: alcuni poliziotti vengono intimiditi o trasferiti. Un paio di testimoni muoiono in circostanze strane… poi altre persone legate alla strage o al tentativo di indagare sulla “pista nera” fanno una brutta fine. Io non giurerei che tutti siano stati uccisi ma troppe coincidenze insospettiscono e magari sarebbe stata buona cosa indagare invece di chiudere subito gli occhi.
NEL GIUGNO 1970 ESCE IL LIBRO «LA STRAGE DI STATO»: sconvolgente da leggere per chi in Italia presumeva – e magari presume – di vivere in una democrazia, sicuramente imperfetta ma comunque una democrazia.
«La strage di Stato», come si intuisce dal titolo, accusa lo Stato di avere incoraggiato, aiutato, coperto e “gestito” i fascisti che organizzano la strage di piazza Fontana. Non alcuni funzionari dello Stato ma i suoi vertici hanno gestito quella strage.
D’altronde se ad aiutare e coprire i fascisti fossero stati solo alcuni funzionari statali – poche mele marce, come si dice – sarebbero stati condannati.
Che invece per piazza Fontana (e per quasi tutte le stragi successive) non vi siano state condanne conferma che lo Stato nel suo insieme si impegnò per seppellire la verità insieme a quei poveri morti…
Praticamente tutti i vertici dei servizi segreti italiani degli anni ’70 vengono incriminati o destituiti per aver coperto o aiutato i fascisti. Altre stranezze: nel febbraio 1972 il governo scioglie l’intero comando della Terza Armata, anzi l’intera Terza Armata viene frazionata. Le ragioni? Non si conoscono, fate pure le vostre ipotesi…
Direte: ci furono magistrati o poliziotti onesti che cercarono davvero la verità? Sì, ma questo è uno dei discorsi che lascio per la discussione che spero seguirà.
In copertina di quel libro, «La strage di Stato», c’è la foto di Pietro Valpreda (che ovviamente si trova in carcere) con un sottotitolo secco: «controinchiesta».
Nessun nome degli autori sulla copertina.
All’interno è firmato «un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare». Cioè compagne e compagni che si ponevano fuori dalla sinistra istituzionale.
La controinchiesta è pieno di novità, piccole e grandi, uscite da indagini condotte “dal basso”. Nel loro insieme una trama impressionante.
«La strage di Stato» inizia in modo sorprendente. Vi leggo le prime righe. «l’uomo scompare la mattina di Natale 1969 a Roma … il cadavere viene scoperto più di un mese dopo, la mattina di mercoledì 28 gennaio dall’operaio di un cantiere».
QUELL’UOMO SCOMPARSO SAPEVA TROPPO: SI CHIAMAVA ARMANDO CALZOLARI
ERA UN FASCISTA, UCCISO DAI SUOI STESSI CAMERATI PERCHE’ – SCHIFATO DALLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA – MINACCIAVA DI PARLARE.
Vale la pena aggiungere due parole. Armando Calzolari, 43 anni, ex ufficiale della marina mercantile, è un uomo di fiducia di Junio Valerio Borghese.
Un nome che ai giovani è sconosciuto. Borghese fu uno dei capi del fascismo e poi comandante della X Mas, un abile militare dice chi si intende di quelle cose ma soprattutto capo di torturatori in proprio o per conto dei nazisti dal 1943 in poi. Borghese alla fine della guerra viene salvato dai processi grazie all’intervento degli Stati Uniti che pendano possa tornare utile nella lotta al comunismo. Così da libero cittadino nell’Italia democratica Borghese dà vita al Fronte Nazionale. Il suo sogno è fare in Italia un golpe come quello del 1967 in Grecia.
Torniamo a Calzolari: il suo cadavere viene trovato in avanzato stato di putrefazione 35 giorni dopo la scomparsa, in un pozzo, da un operaio che lavora con una ruspa. Nel pozzo, profondo due metri e 85, c’è poca acqua eppure chi indaga parla di un casuale “annegamento”. Eppure un amico di Calzolari (Dante Baldari) testimonia di aver ispezionato quel pozzo giorni prima e che dentro non c’era nessuno. Il perito stabilisce che la morte risale a 20-30 giorni prima, dunque tra il 31 dicembre e il 9 gennaio. Come minimo sei giorni dopo la scomparsa. La località del pozzo a Roma è nota come «Affogalasino». Nome curioso: una coincidenza oppure un avvertimento per qualcun altro?
Nella controinchiesta si citano varie testimonianze sui litigi fra Calzolari e gli altri camerati. Non era una fantasia… ma ci vollero 6 anni – non 6 mesi – perché un giudice dicesse che Calzolari era stato ammazzato. Nel febbraio 1976 infatti il procuratore Enrico Di Nicola sentenziò che Calzolari «fu ucciso e poi gettato nel pozzo». 6 anni, un po’ tardi per seguire i fili di quella pista.
Cos’altro c’è nella controinchiesta? MOLTE STORIE di neofascisti, dei loro legami con militari e servizi segreti, con la Grecia (ma anche con Portogallo e Spagna, due Paesi allora fascisti come ho ricordato) e di come i fascisti si infiltrano nei gruppi della sinistra extraparlamentare e soprattutto fra gli anarchici. Ci sono testimonianze di come quei fascisti infiltrati proponessero a tutti di fare attentati.
Un quadro prezioso di notizie ovviamente corredato da ipotesi e da riflessioni politiche.[…]
Le notizie date da «La strage di Stato» erano attendibili? Sì. Con qualche errore ovviamente e con qualcosa (nel quadro politico) che allora non si sapeva, ma nell’insieme è tutto giusto: è quello infatti su cui nel 1993 si muoverà un magistrato coraggioso, Guido Salvini… Ah, nessuna parentela con un altro Salvini, il signor 49 milioni rubati, che forse conoscete.
Il libro ebbe un successo straordinario… era veritiero, ben scritto. Se per un attimo volete sorridere dentro una storia così tragica vi dirò che nessun altro libro uscito dalla sinistra detta estrema ebbe mai un tale successo, tranne “Porci con le ali” che però si occupava soprattutto di sessualità e ne parlava con un linguaggio piuttosto diretto, cosa impensabile in Italia sino a pochi anni fa.
«La strage di Stato» fu diffuso in modo militante ma anche nelle normali librerie. Venne ristampato di continuo. Per qualche anno fu introvabile ma adesso è ripubblicato da Odradek…
Sul fatto che fosse opera di un collettivo (e sulla decisione di mantenere l’anonimato) magari discutiamo dopo.
SERVONO ALTRE DUE PAROLE SULLA STRATEGIA DELLA TENSIONE, per arrivare all’oggi
«Strategia della tensione» è la definizione di un giornalista inglese su quello che sta accadendo in Italia nel 1969.
Con «strategia della tensione» si intende «incoraggiare l’estrema destra a passare al terrorismo» per creare un clima di insicurezza in Italia e giustificare così leggi speciali oppure per spingere verso un colpo di stato militare.
Chi vuole il golpe in Italia? O in alternativa leggi speciali che limitino la libertà di sciopero e di stampa? Ne possiamo discutere ma per me è evidente che bisogna cercare fra i padroni, in una parte della Dc, in ambienti militari più legati agli Stati Uniti
Quando uscì «Strage di Stato» sapevamo dei colonnelli greci e dei loro legami con l’estrema destra italiana. Molte altre cose non sapevamo; a esempio che nel maggio del 1965, dunque due anni prima del colpo di Stato in Grecia, vi era stato all’Hotel Parco dei Principi di Roma un convegno promosso dai vertici militari italiani cui parteciparono fascisti e neofascisti. Molti dei quali negli anni successivi sarebbero divenuti fra i principali protagonisti, sul piano operativo, della «strategia della tensione». In prima fila esponenti di Avanguardia nazionale con quel Mario Merlino che poi si infiltrò fra gli anarchici romani e quello Stefano Delle Chiaie che ho nominato all’inizio. Ma c’era anche un certo Carlo Maria Maggi, del gruppo neofascista di Ordine nuovo, il quale molti anni dopo verrà condannato per la strage del 1974 di piazza Della Loggia a Brescia. Ho detto condannato? Macché assolto due volte. Ma il processo non è regolare. Bisogna rifarlo. E alla fine Carlo Maria Maggi sarà condannato.
Molte, troppe coincidenze legano i vertici militari italiani a fascisti e neofascisti… A rigor di logica è probabile che siano anelli di una stessa catena.
Provo a dirlo facendomi qualche domanda.
Furono i vertici militari italiani a trasmettere la cultura della «guerra non ortodossa» (con questa definizione si intende il terrorismo) all’estrema destra, creando o rafforzando i loro collegamenti in funzione anticomunista? La mia risposta è sì. Furono i vertici militari a mettere in campo quella «strategia della tensione» che porterà a Piazza Fontana? Io rispondo sì. Lo fecero d’intesa con la Nato, cioè con gli Usa? E di nuovo la mia risposta è sì. Dentro il governo molti sapevano fin dall’inizio? Sì, certamente.
Domanda finale: allora l’Italia era un Paese a sovranità limitata? Ancora rispondo sì e aggiungo: «l’Italia è ancora un Paese a sovranità limitata»… e tanto per fare un esempio – uno solo – vi ricordo che ospitiamo armi nucleari senza che il Parlamento ne abbia mai discusso. […]
ULTIMO BREVE STACCO MUSICALE
COME SONO FINITI I PROCESSI INTORNO A PIAZZA FONTANA?
Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione stabilì che quella strage fu opera di (virgolette) «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo» e (virgolette) «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura» i quali però non sono più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo dalla Corte d’assise d’appello di Bari. Gli esecutori materiali sono ignoti, secondo la Corte di Cassazione. Ci sarebbe molto da aggiungere ma mi fermo qui.
Perché raccontare questa terribile vicenda oggi?
Ovviamente perché comprendere la storia è importante. E per restituire dignità alle vittime e infamia agli assassini. Ma anche perché bisogna capire quanto uno Stato pieno di bugie e di ricatti, di segreti e di crimini – fino a organizzare stragi – è pericoloso. Quanto dunque la democrazia possa essere un involucro vuoto con il costante rischio di tornare verso il fascismo, magari mascherato.
Molte cose sono cambiate in 50 anni ma dentro lo Stato c’è chi anche oggi guarda ai neofascisti – oggi si chiamano Forza Nuova e Casa Pound – come una carta da giocare.
L’informazione pigra e l’amnesia indotta dunque hanno fatto sparire dalla memoria le stragi fasciste e di Stato. Nella rimozione delle tragedie di quel periodo resta così la definizione “opposti estremismi” sbagliata perché erano molto più terroristi i vertici delle istiuzioni. Oppure si parla degli “anni di piombo” (un’altra frase travisata: nel film tedesco omonimo ANNI DI PIOMBO indicava il peso repressivo dello Stato e il piombo simbolico cioè il peso della dimenticanza del passato nazista) ma ci si riferisce ai rossi, cioè alle Brigate Rosse che vennero dopo e che ovviamente sono tutta un’altra storia.
Per questo ho tentato di raccontarvi perché fu «strage di Stato» e non solo neofascista.
Chi è interessato si faccia sentire allo 0542 29945 o ancor meglio su pkdick@fastmail.it (non ho il cellulare o meglio “lui non ha me”). Dal punto di vista tecnico mi basta un leggio e un computer con qualcuno che faccia partire 4 brevi brani musicali. Ovviamente NON voglio essere pagato ma solo rimborsato per le spese di viaggio; e in qualche modo ospitato … però non su un divano o su un sacco a pelo perché a 71 anni – li faccio proprio domani – qualche acciacco ahimè si fa sentire.
Al più presto dovrò fare un “calendario” delle repliche (comodo anche per risparmiare sui viaggi e sulle spese) sperando siano molte; a oggi sono sicuro solo del 18 ottobre a Bertinoro, quasi sicuro del 4 dicembre a Torino e probabilmente a metà novembre andrò in Sicilia e poi in Sardegna. Per sapere le date e i luoghi restiamo d’accordo che fra qualche giorno metterò un calendario – poi costantemente aggiornato – su IN SCENA ovvero la terza “voce” che trovate in alto sotto la testata del blog.
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