La cultura della nonviolenza

Pietro Pinna e l’obiezione di coscienza in Italia

Scrisse nel 1948: “Faccio noto a codesto comando di essere venuto nella determinazione di disertare la vita militare per ragioni di coscienza".
Fonte: CESVOT

Pietro Pinna

La vicenda di Pietro Pinna racconta un caso di “eroismo” di una persona normale.

La nonviolenza non è appannaggio esclusivo di grandi pensatori, ma può essere compresa, attuata, anche teorizzata, da tutti. La storia di Pietro Pinna e della sua obiezione di coscienza è
questa: è la storia di un ragazzo comune che compie una scelta dirompente, che lascia il segno, che modifica lievemente il corso delle cose: l’eroismo (suo malgrado) di una persona “normale”.
Siamo nel 1948. Pinna, diplomato, chiede di svolgere il servizio di leva come allievo ufficiale; i motivi che lo hanno portato a questa scelta, apparentemente incomprensibile, sono prevalentemente di ordine economico. La famiglia di Pinna, come molte famiglie italiane, conosce in quegli anni la povertà e la fame.
Pietro ha da poco un lavoro e con il suo sostegno può alleviare le difficoltà economiche familiari. Ritiene che svolgere il militare da ufficiale possa consentigli di continuare a contribuire alle spese della famiglia; da qui tale scelta sofferta, che merita rispetto perché dettata da un senso di responsabilità. Tuttavia la cultura militare è incompatibile con i suoi convincimenti più profondi. Viene convocato in caserma a Lecce per l’avvio del corso per ufficiale; da s ubito cresce il suo disagio per la scelta fatta: decide di rifiutare il servizio militare.
Nella sua dichiarazione, che attesta il primo caso italiano di obiezione di coscienza, l’espressione “obiezione di coscienza” non compare. Ecco il testo:
“Faccio noto a codesto comando di essere venuto nella determinazione di disertare la vita militare per ragioni di coscienza. Trascurando qui di prendere in considerazione nei dettagli le convinzioni dettatemi da ragioni di fede, storiche, sociali e altro, dico che le mie obiezioni nascono essenzialmente dall’impegno totale assunto sin dalla fanciullezza ad una apertura ideale e pratica a tutte le creature umane. Modi capitali indispensabili di essa apertura: nonviolenza e nonmenzogna, mai limitabili e per nessun motivo. Logica e
naturale è così la mia spontanea reazione anzi impossibilità a collaborare con l’Istituzione militare, le cui evidenti manifestazioni prime sono in antitesi con tali mie più profonde ragioni di vita. Mi dichiaro pienamente consapevole del mio atto di rottura con la legge attuale e resto in attesa d’una pronta decisione al riguardo” (P. Pinna, La mia obbiezione di coscienza, Edizioni del movimento nonviolento, 1994).
Inizia così il lungo iter processuale di Pietro Pinna, anche avvincente.
La scelta di Pinna, presto seguito da altri, dapprima pochi, poi tantissimi, apriva la strada all’obiezione di coscienza in Italia e costituisce il primo capitolo di una lunga storia, spesso non conosciuta, in parte mai scritta. Le tappe di questa strada sono ancora lunghe, passano attraverso i processi a Don Milani, La Pira, Balducci, le varie proposte di legge, la L. 772/1972, la L. 230/98, l’ultimo intervento legislativo: la L. 64/2001.

Note: Cultura della Nonviolenza
A cura di Domenico Muscò
Atti delle Attività di Formazione
Autori testi
Laura Bozzi, Angelo Contarino, Andrea Danilo Conte,
Elisabetta Giannoni, Alberto L’Abate, Domenico Muscò, Rodolfo Ragionieri.
CULTURA DELLA NONVIOLENZA
Siena, 8, 15, 22 novembre 2003

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