Una poesia di Rutebeuf (1230-1285)

Il peto del villano

La poesia è la descrizione sarcastica e impietosa dei poveri contadini, cosiderati così rozzi e volgari da non meritare neppure l'inferno. I diavoli rifiutano l'anima del contadino perché troppo puzzolente.
12 maggio 2020

È nel celeste paradiso
che ha posto la gente di buon cuore;
ma chi non ha in sé né carità
né senno né bontà né verità,
non ottiene in premio quella gioia,
né credo che uno possa mai goderla
se non ha in sé pietà umana.
Lo dico per la razza villana
che non amò mai chierici e preti;
non credo che a quella Dio assegni
un luogo o un posto in paradiso.
Gesù Cristo non permetta mai
che un villano sia accolto
con il figlio di Santa Maria:
lo vietano ragione e giustizia,
troviamo nella Scrittura.
Il Paradiso non lo può avere
né per denaro né per altri beni,
e nemmeno l'inferno si spetta,
per questo il Maligno è a bocca asciutta.
Udrete qui, grazie a quale oltraggio,
il villano scampò a quella prigione. 
Un giorno un villano si ammalò;
l'inferno era già predisposto
per accogliere la sua anima,
questo vi dico in verità.
Sul posto si reca un diavolo
per fare rispettare la legge.
Appena sceso là dentro, il diavolo
gli appende al culo un sacco di cuoio,
perché il diavolo è convinto
che è dal culo che esca l'anima.
Ma per guarire, quella sera
il villano aveva preso una pozione:
aveva mangiato tanto buon manzo
all'aglio e brodo grasso e bollente,
che la pancia non era cadente,
ma tesa come una corda di chitarra.

Non sospetta di essere morto:
se riesce a fare un peto è guarito. 
A prendere forza si sforza con forza,
in questo sforzo mette ogni forza:
tanto si sforza, tanto si rinforza,
tanto si gira, tanto si rigira
che ne viene fuori un peto potente.
L'altro riempie il sacco e lo lega,
perché il diavolo per penitenza
gli aveva pestato coi piedi
la pancia, e, dice bene il proverbio:
chi troppo stringe, stringe cacca.
A forza di camminare il villano
arrivò alla porta col peto dentro al sacco.
Getta sacco e tutto in Inferno,
ma ecco che il peto erompe il botto:
ecco tutti quanti i demoni
furibondi, fanno fuoco e fiamme
e maledicono l'anima villana.
L'indomani tennero capitolo,
si accordarono su questo punto:
che nessuno vi porti mai l'anima
uscita dal culo di un villano:
quest'anima non può non puzzare.
Su questo si accordarono un tempo,
che sia in Inferno che in Paradiso
sia vietato l'ingresso al villano,
ne avete udito bene il perché.
Rutebeuf non sa mettere in versi
dove abbia posto l'anima villana:
non ha avuto questi due regni,
vada dunque a cantare con le rane,
questa gli pare la cosa migliore;
oppure segua la dritta via,
per alleviarsi la penitenza,
fino alla terra del padre di Audigier:
in Cornellandia, dico,
dove Audigier caca nel cappello.

Fonte

Note: Questa poesia fa parte di un filone letterario, la cosiddetta "Satira del villano", filone letterario europeo nato nel XII secolo collegato all'abbandono delle campagne e alla nascita dei borghi urbani. Il villano viene visto come un essere rozzo e sporco, e tuttavia abbastanza malevolo e furbo da imbrogliare gli uomini di ceto superiore. Nasce così lo stereotipo del villano sporco e cattivo, esperto in frodi e raggiri. Il villano diventa un individuo da scansare, a cui non riservare alcuna pietà e compassione.
Sul web non era presente in lingua italiana questa poesia di Rutebeuf molto indicativa di come, durante il medioevo, i contadini poveri venissero emarginati e umiliati. E' il caso pertanto di inserirla, per ridare dignità ai poveri, a quei poveri che neppure l'inferno voleva ospitare. Il titolo in francese è "Le Dit du pet au vilain" (Il detto della scoreggia del villano).
Il Italia la satira del villano è portata avanti da Matazóne da Caligano, un giullare del XIII secolo, autore del "Detto dei villani". Il villano è rappresentato come un essere bestiale e disgustoso, detestato della plebe stessa urbana artigiana, la quale utilizza gli stessi stereotipi della satira aristocratica.

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