Sparta: militarismo al potere, terrorismo sugli schiavi
La supremazia dei Dori smentisce nuovamente le teorie filosofiche - non è un caso sottolinearlo ancora - che fanno coincidere i vincenti con il più elevato sistema di valori e cultura che meriterebbe (proprio in quanto vincente) di governare per qualità e virtù, quasi che la maggior forza sia sinonimo di migliore civiltà.
Dai Dori derivarono gli spartiati di Sparta che ridussero in schiavitù i Micenei i quali diventarono gli iloti.
Sparta rappresenta una sorta di "esperimento storico" per la verifica dell'impatto culturale del militarismo. L'assenza a Sparta di espressioni artistiche e culturali elevate costituisce un punto su cui riflettere a fondo per comprendere l'aridità culturale del militarismo al potere. Il “sommo poeta” di Sparta è infatti Tirteo, poeta-soldato del VII secolo a. C. che esalta la guerra e la potenza dell’oplita spartano e che prospetta la bellezza del morire combattendo sul campo di battaglia, unico mezzo per conseguire la gloria e l’immortalità perenne nel ricordo dei posteri:
“… E l’azione gagliarda gli sia scuola di guerra,
né con lo scudo resti fuori tiro.
Entrando nella mischia, con la lancia o con la spada
ferisca e faccia del nemico preda…”.
Tirteo si rivolge ai giovani e declama:
“Giacere morto è bello quando un prode lotta
per la sua patria e cade in prima fila…
Via, combattete gli uni accanto agli altri, giovani,
non datevi alla fuga, al panico,
fatevi grande e vigoroso l’animo nel petto,
bandite il meschino amore della vita…”.[1]
Sparta, al tempo stesso, costituisce un ottimo esempio di piramide sociale in cui un'esigua minoranza (gli spartiati) riesce a dominare sul resto della società con i classici metodi della gerarchizzazione militare: viene da pensare al "nonnismo" delle caserme in cui un 10% di "nonni" riesce ad imporre il volere al 90% di soldati strutturando la piramide dei privilegi verso l'alto e la scala degli obblighi crescenti verso il basso. Secondo alcuni calcoli ogni spartiato aveva ai suoi piedi 222 schiavi (gli iloti).[2]
Scrive Tucidide in “La Guerra del Peloponneso”:
“Gli spartiati temevano sempre che gli iloti preparassero qualche rivolta, e poiché avevano paura del loro coraggio e del loro gran numero, ricorsero a questo espediente: proclamarono che tutti gli iloti che ritenevano di essere particolarmente forti e coraggiosi si facessero avanti, perché avrebbero avuto la libertà. Si fecero avanti circa duemila iloti, e gli spartiati, dopo averli coronati di fiori, li condussero in processione presso i templi della città come per ringraziare gli dei per la libertà ottenuta. Ma dopo questa cerimonia, i duemila iloti scomparvero e nessuno seppe mai quale fosse stata la loro fine”.
Il timore di una rivolta generale degli iloti dominava la mente degli spartiati e li spingeva a ideare e attuare tecniche che oggi potremmo definire terroristiche. Scrive a questo proposito Umberto Diotti circa il trattamento riservato agli iloti:
“Ogni anno gli spartiati dichiaravano guerra agli iloti: si trattava di un rito, che voleva riaffermare senza equivoci la loro posizione di dominatori assoluti (…) Un’usanza particolarmente feroce fra i giovani spartiati era la krupteia (dal verbo krupto, “sto nascosto”). Si trattava di una vera e propria iniziazione alla vita guerriera: i giovani dovevano nascondersi in campagna per un certo periodo di tempo e di notte assalire e uccidere a caso quanti più iloti potevano. Ciò serviva anche per mantenere gli iloti nel terrore e spegnere in loro ogni desiderio di rivolta (…) Un’educazione come quella spartana, poi, produsse eccellenti guerrieri ma nessun grande uomo politico e nessun artista”.[3]
Nonostante tutto, gli iloti riuscirono a ribellarsi e si rifugiarono sul monte Itome.
[1] Tirteo, Frammenti VI e VII, Gentili, Prato, trad. di F. M. Pontani
[2] “Si calcola che nel secolo VIII a.C. nel territorio della polis spartana vivessero circa 9.000 spartiati, 100.000 perieci e 200.000 iloti”, scrive Umberto Diotti nel libro “La Civiltà Greca”, De Agostini, Novara, 2000
[3] Umberto Diotti, La Civiltà Greca, De Agostini, Novara, 2000, p.182-3
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