Plinio il Giovane tra tolleranza e repressione
Nipote dell’erudito Plinio il Vecchio, allievo di Quintiliano, esercitò l’avvocatura e intraprese il cursus honorum. Tra le mogli si ricorda l’ultima, la giovane Calpurnia, della quale possediamo alcune descrizioni.
Sotto il dispotico Domiziano assunse atteggiamenti di opposizione senza però scoprirsi troppo. Sotto l’imperatore Traiano, invece, Plinio ottenne diversi privilegi tra i quali il consolato e, successivamente, la carica di legato imperiale. Uno dei maggiore studiosi di Plinio il Giovane è Francesco Trifoglio che, pur essendo un appassionato del letterato latino, è costretto a dichiarare che “alla tentazione della vanità Plinio fu soggetto e non sempre seppe difendersene con sufficiente cautela”.
Il Panegirico
Il Panegirico (o Panegyricus) è il ringraziamento scritto rivolto a Traiano che aveva nominato console Plinio. Da quest’opera si può comprendere la concezione politica del neoconsole.
Secondo Plinio l’impero è necessario e ineluttabile e l’imperatore detiene il potere assoluto. Di questo potere egli può fare un buono o un cattivo uso. Compito del letterato è quello di suggerire all’imperatore uno “speculum principis”, un modello di sovrano al quale ispirarsi per condurre in maniera ottimale l’impero. Il registro linguistico, visto il fine, risulta quindi elevato.
L’epistolario
L’opera comprende 247 missive in nove libri. Plinio, con l’epistolario, è l’inauguratore di un nuovo genere: l’epistolario d’arte. Le lettere, pur trattando fatti reali e pur essendo destinate a persone vere, sono scritte per interessare e dilettare il pubblico. Questo ci porta a comprendere pienamente quanto inguaribile fosse la vanità di Plinio. Nelle epistole lo stile e il linguaggio si adattano ai temi trattati. Lo stile è vivace ma con signorilità, brioso, fatto apposta per piacere al lettore. La fatica di revisione di Plinio, ha dichiarato a tal proposito Francesco Trifoglio, ha portato ad una perfetta limpidezza dello stile.
Plinio e gli schiavi
In un’epistola (Epist.VIII, 16) Plinio il Giovane esprime umanità, affetto e rispetto per gli schiavi, polemizzando con chi li disprezzava. Tuttavia egli accetta il sistema schiavistico. Nell’epistola Plinio intende far mostra della sua umanità. Già Seneca aveva espresso delle considerazioni umanitarie a proposito della schiavitù. Plinio intende offrire, all’interno della propria “domus” quel rispetto e quella dignità che al di fuori non vengono garantiti. Al di là delle mura della casa la sua “humanitas” non può andare. E del resto, come Seneca, anche Plinio il Giovane non mette in discussione l’istituto stesso della schiavitù. Scrive Francesco Trigoglio: “Plinio è uno degli uomini più sensibili del suo tempo, ma è del suo tempo” (dal suo saggio “La personalità di Plinio nei suoi rapporti con la politica, la società e la letteratura”, Accademia delle Scienze di Torino,1972).
Plinio, i cristiani e i diritti umani
Plinio, in qualità di governatore di Ponto e Bitinia, in Asia Minore, scrive una epistola all’imperatore Traiano. In essa si chiede come trattare i cristiani che allora venivano condannati alla pena capitale semplicemente per il loro culto: esisteva dunque il reato d’opinione. Solo qualora i cristiani avessero rinnegato la loro fede sarebbero stati rilasciati. Mentre, come scrive Plinio stesso, “se perseveravano, ordinavo che fossero messi a morte. Ero infatti ben convinto che, qualunque fosse l’argomento della loro confessione, almeno la loro caparbietà e la loro inflessibile cocciutaggine dovevano essere punite (…) Non ho trovato nulla, all’infuori di una superstizione balorda e squilibrata”.
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