Rosso di Puglia
Questa particolarità, inizialmente considerata sinonimo di sviluppo, ha dimostrato negli anni di non poter generare valore aggiunto al territorio, soprattutto attraverso una mancata inclinazione agli scambi economici secondo modalità che ne avrebbero consentito una rete di rapporti commerciali con l’oriente principalmente, e che, essendo concentrate in territori limitati, avrebbero assunto la forma di veri e propri distretti industriali. La differenza sostanziale fra le atmosfere “industriali” che si respirano a Taranto e nelle regioni del centro Italia, da sempre governate dalla sinistra, è l’assenza di una cooperazione tra le imprese ed i lavoratori, e tra le imprese ed i fornitori costituenti l’indotto.
Il “saper fare” che caratterizza il “capitale sociale” dell’Emilia e della Toscana ad esempio, non si basa solo sul tramandarsi in famiglia le conoscenze tecniche ed amministrative, ma anche nel mantenere vive quelle competenze relazionali e sociali che sono obbligatorie per operare con successo.
Si tratta quindi di specializzazioni flessibili e fortemente contestualizzate che purtroppo nella realtà industrializzata di Taranto non hanno mai trovato terreno fertile, o meglio, che non hanno mai trovato “motore politico” che le rendesse applicabili in un’area presa d’assedio dall’acciaio. Ma questo non riguarda soltanto le specializzazioni e gli aspetti economici, ma anche la cultura del sacrificio, il duro lavoro, ed il risparmio che purtroppo non ha soffiato sul fuoco dell’imprenditorialità di questi ceti, che nati contadini e operai, avrebbero avuto l’ambizione esplicita di una forte mobilità sociale. Ambizione che senza ogni dubbio avrebbe favorito anche la concertazione tra le classi, attraverso un percorso di reciprocità e di solidarietà sociale che rappresenta, ancora oggi, una peculiarità di altre terre… lontane, ma non troppo.
La storia purtroppo mette in risalto una mancata connessione tra lo sviluppo diffuso, le subculture territoriali e la possibilità di un confronto fra le generazioni. Interessante è l’analisi storica (dai primi del novecento ai giorni nostri), del radicamento della subcultura politica, intendendo quest’ultima come un sistema politico locale, organizzato intorno ad un partito e caratterizzato da una decisa regolamentazione sociale e da un’elevata capacità di negoziazione tra i diversi interessi.
Il 19 Novembre la camera ha approvato il decreto legge Finanziaria 2007. Il ministero dell’Ambiente riceverà 500 milioni di euro, 300 dei quali andranno alla difesa del suolo, del mare e dei parchi. Gli altri 200 andranno al fondo per il protocollo di Kyoto 25 milioni saranno destinati all’implementazione delle politiche di sviluppo sostenibile. Sono inoltre in arrivo risorse per combattere l’inquinamento atmosferico. A questo proposito la Finanziaria stanzia 300 milioni di euro per 3 anni al fine di ridurre la quantità di anidride carbonica in atmosfera.
E quindi le domande da porsi su Taranto sono tante, sono domande che raccolgono le speranze di una cittadinanza che vive nell’attesa che qualcosa accada e che qualcuno paghi per gli scempi prodotti da un’industrializzazione “allergica” alla sostenibilità.
Va altresì valorizzato il “capitale sociale”, intendendo con esso l’insieme delle relazioni fra il pubblico ed il privato, consentendo un prodotto tra gli elementi che conduca ad un miglioramento della competitività, esaltando le risorse localmente disponibili, e programmando la fruibilità di beni collettivi. Questa visione decentrata passa necessariamente per una regolazione locale e regionale, ad una forma di governo che però sappia inserirsi coerentemente in un più ampio disegno nazionale. E se il disegno fosse gia stabilito?
Nel rapporto che hanno appena compilato, gli esperti del Comitato intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici puntano senza mezzi termini il dito sulle emissioni di biossido di carbonio (CO2) come causa principale dell’aumento delle temperature, tagliando la testa ad ogni dubbio.
Se il rosso dell’Emilia, che si appresta a varare un piano regionale nel segno di Kyoto fosse diverso dal rosso di Puglia? C’è l'impegno di attuare in Emilia-Romagna il Protocollo di Kyoto e cioè l'accordo internazionale per ridurre le emissioni di gas responsabili dell'effetto serra. Il Piano prevede stanziamenti regionali pari a circa 90 milioni di euro in tre anni per la realizzazione di interventi che riguardano il risparmio energetico e la valorizzazione delle fonti rinnovabili negli edifici, negli insediamenti produttivi e nei trasporti. La Regione proporrà un'intesa al Governo per un co-finanziamento di interventi anche in rapporto alle nuove risorse e iniziative attivate dalla Legge finanziaria.
Ma su quali interessi e su quale livello di concertazione oggi lavora il centrosinistra pugliese?
Le regioni rosse possono tornare ad essere punti di riferimento e di progettazione politica per soluzioni applicabili a livello nazionale, ma occorre agire. La Puglia si trova di fronte a due possibili scenari: da una parte inventare soluzioni nuove che mirino al rinnovamento capitalizzando le esperienze del passato, dall’altra cedere all’immobilismo, facendo affidamento sulle mancate rendite del passato e agendo in modo opportunistico al tatticismo della politica.
Bisogna imparare dal passato o restare fermi e gettare fumo negli occhi degli elettori con una colorazione istituzionale che è nuova rispetto al passato perchè nominalmente di sinistra ma che in realtà non sta facendo altro che ripercorrere, in maniera forse anche più subdola, le politiche imprenditoriali d'assalto, poco lungimiranti, miranti al profitto e alla valorizzazione di alcuni territori del resto già avvantaggiati a discapito di altri, come se questi ultimi fossero già marchiati a fuoco con un segno d'infamia come si faceva con le adultere nel passato. Solo che per esempio non è Taranto la traditrice, ma la tradita; tradita appunto col miraggio dell'acciaio negli anni Sessanta, tradita dalle amministrazioni di centro destra che hanno vampirizzato il territorio spolpando fin dove possibile, tradita infine dall'attuale politica regionale, che ancora, a quasi un anno dall'insediamento, non è stata in grado di proporre un piano di sviluppo economico e culturale in senso lato della nostra città, ripercorrendo di fatto una strada anacronistica che vuole imporre a Taranto uno pseudo-sviluppo derivante dall'industria pesante e da una concezione della portualità che appare sempre più dipendente da forze esterne alla città.
Chiediamo invece al Governatore Vendola di trovare un modo per proporre un’offerta politica che ricongiunga i ceti produttivi e la spinta ad un nuovo sviluppo che però sia reso sostenibile attraverso il supporto di un moderno tessuto sociale di servizi a livello locale.
Chiediamoci quindi cosa fare, in questo momento di grande crisi che però potrebbe, paradossalmente, essere anche momento ideale di rinnovamento a partire dalla tabula rasa innescata dal dissesto; chiediamoci perchè nel 2007 non si può sognare, pianificare, realizzare uno sviluppo territoriale che sappia ragionare in termini di distretti industriali e magari tecnologici e non più di grandi monoliti industriali; chiediamoci perchè le istituzioni non riescono ad avere uno sguardo più lungo dei confini della Regione Puglia e non riescono a guardare alle best practices che hanno luogo in altre Regioni, così vicine del resto, come Toscana ed Emilia, in maniera tale da apprendere e sviluppare modelli di crescita già collaudati (non per niente parliamo di Regioni con province ricche e con una vivibilità estremamente elevata in termini di qualità del lavoro e della vita in genere e sono risultati che richiedono anni di impegno quindi significa che lì si è lavorato bene); chiediamoci se c'è un’incapacità manifesta a governare un territorio, o se si tratta di una deliberata volontà politica di affossare Taranto in particolare in nome di interessi che sicuramente vanno al di là di quelli prettamente locali; chiediamoci infine cosa fa la differenza tra il rosso di quelle regioni, che è un rosso di passione e impegno reale, e il nostro, che è invece, decisamente annacquato e scialbo. Chiediamoci questo, chiediamolo alle istituzioni e alla classe imprenditoriale che più di una volta ha dimostrato di non essere all'altezza del proprio compito di volano dello sviluppo, e pretendiamo un deciso, repentino e imponente cambiamento di rotta.
Mao Zedong, Sulla pratica
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