"Serve un nuovo atto di intesa"
“Nell’area industriale di Taranto nei prossimi anni dovremmo avere il più grande centro siderurgico europeo, una grande raffineria, un discutibilissimo inceneritore, un cementificio, e forse anche un rigassificatore. Eppure nessuno di questi progetti, in sinergia con le altre aree produttive presenti nel territorio, sarà attuato secondo un modello industriale di qualità e compatibile con il territorio stesso, da accompagnarsi e sostenersi con l’offerta di servizi avanzati e centri di alta formazione, dove possano incontrarsi ricerca e sviluppo, università e industria (polo tecnologico), offrendo servizi e supporto a un modo innovativo di fare produzione, ma anche e soprattutto offrendo al nostro territorio, ai giovani e alle future generazioni nuove opportunità di crescita e di occupazione”.
Lo affermano, in una nota congiunta, Alessandro Marescotti di Peacelink e Stefano De Pace di Tarantoviva. Gli ambientalisti riconoscono che “l’Ilva, considerata tra gli stabilimenti di più alto livello in Europa in fatto di produzione dell’acciaio, ha costituito un notevole veicolo occupazionale per la città di Taranto”, ma a fronte di ciò ora l’area ionica “è in un evidente stato di sofferenza ambientale: il 93% dell’inquinamento è di origine industriale (dati Apat 2006).
La situazione non sembra migliorare con gli atti di intesa sull’Ilva. Anzi sta peggiorando con il trasferimento delle produzioni siderurgiche sporche da Genova a Taranto. Ci preoccupa la scelta di non applicare all’Ilva di Taranto il protocollo di Kyoto grazie ad un intervento operato in sede governativa dai deputati di Taranto, Vico e Franzoso (il primo dei Ds ed il secondo di Forza Italia). Tale intervento punta a far ottenere all’Ilva di Taranto una deroga agli impegni stabiliti con il Protocollo di Kyoto e quindi un aumento delle emissioni in aria delle quote di CO2”. Ed in effetti, così è stato. “Il Ministero dell’Ambiente - prosegue la nota - ha reso pubblico il piano d’assegnazione delle quote di CO2 relativo al periodo 2008-2012.
In esso è conferito un aumento del 50% di emissioni di CO2 all’Ilva, che passa così dagli attuali 8 milioni (piano 2003-2007) ai 12.158.763 (piano 2008-2012), corrispondenti a una media annua di 10 tonn di acciaio. Eni, pur raddoppiando la sua produzione, vede ridursi la quota assegnata, mentre Edison dal canto suo passa dai 2 milioni attuali ad oltre tre nel 2012. I record di produzione conseguiti negli ultimi 4 anni da Riva, inglobando a Taranto anche l’area calda di Genova, hanno nei fatti anticipato le quote assegnate per il 2008/2012. Il Piano prevede anche che le imprese possano acquistare o vendere quote di CO2 rispetto a quelle assegnate. In questo momento il costo per tonn di CO2 è intorno ai 30 euro. Facile moltiplicare tale somma con le enormi quantità in gioco e vederne i costi e i benefici reali. All’interno dell’area industriale, si è profilata la possibilità di insediamento anche di una nuova centrale termoelettrica che, nella richiesta dell’Ilva, porterebbe da 450 a 600 MW la produzione di energia”.
Secondo Marescotti e De Pace “emerge la necessità di attivare processi finalizzati a uno sviluppo eco-compatibile che possa conciliare la salvaguardia degli aspetti lavorativo e ambientale, e non basandosi su vecchie logiche alternative che se privilegiavano l’uno sacrificano l’altro. Esiste un problema ambientale serio che riguarda tutti e che va affrontato nelle opportune sedi, con il coinvolgimento degli organi istituzionali competenti per promuovere, entro brevissimo termine, un tavolo di discussione e di confronto tra le istituzioni nazionali, regionali e locali, le forze politiche, sindacali e sociali per affrontare in maniera organica e in termini seri e responsabili i problemi ambientali a Taranto”.
In questo senso, gli ambientalisti considerano “gli atti di intesa uno strumento avanzato di politica ambientale ma siamo fermamente convinti che sia opportuno prevedere adeguati sistemi da parte delle componenti pubbliche in caso di inadempienza del soggetto privato. Taranto resta città dei veleni. Chiediamo che Riva si assuma le proprie responsabilità. Chiediamo un piano di risanamento ambientale radicale e scrupoloso porterebbe nuove occasioni di incremento quantitativo e qualitativo dell’occupazione, in un’area che soffre di elevati indici di disoccupazione. Chiediamo al Presidente Vendola quali misure intende adottare per respingere la politica di Riva. Quali misure si intenda adottare per avviare una radicale bonifica e un serio risanamento ambientale nel territorio di Taranto. Quali misure si intende adottare per monitorare con criteri rigorosamente scientifici l’andamento delle patologie e della mortalità legate ai fattori di rischio ambientale. Chiediamo ancora una volta un ampio e approfondito confronto politico e culturale, occasione di crescita e di arricchimento su temi di grande rilievo per la comunità, attraverso dibattiti pubblici e una discussione aperta con le comunità locali”.
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E sulla vertenza ambientale si sofferma anche Giovanni Guarino del movimento “La Città che vogliamo”. “Nei giorni scorsi - afferma in una nota - si è discusso molto riguardo al futuro e di come il prossimo sindaco di Taranto dovrà governare la questione ambientale. Con merito e competenza l’associazione TarantoViva, nel convegno su “Polveri sospese… polveri in sospeso”, ha lanciato diversi spunti di riflessione. Del tutto fuori luogo mi è parso l’intervento della Cisl. Affermare che bisogna rendere compatibile la presenza dell’Ilva con la città, e che per far questo sia necessario un intenso lavoro da parte delle istituzioni, non solo si cade nell’ovvietà ma ci si prende anche gioco dei cittadini”.
Guarino, ricorda che il presidente della Provincia Gianni Florido, per anni esponente di spicco della Cisl ionica, “è colui che con la sua amministrazione ha ritirato la costituzione di parte civile della Provincia nel processo all’inquinamento, nonché ha riconosciuto e sostenuto un Atto d’Intesa palesemente debole, che non soddisfa una intera città, ed in cui è del tutto ignorata una istituzione importante come la circoscrizione Tamburi”.
La Città che vogliamo esprime perplessità anche in ordine alla situazione delle centraline di monitoraggio ambientale. Guarino, inoltre, non dimentica essendo stato anche delegato di fabbrica per la sicurezza all’Icrot, “le occasioni perse dal territorio per ridurre le emissioni inquinanti dal polo siderurgico. A fine anni ottanta - continua - un gruppo di sindacalisti ionici si recarono Kimizu, in Giappone, dove una industria siderurgica è riuscita ad integrarsi perfettamente con la città facendo proprie tutte le tecnologie indispensabili per ridurre al minimo le emissioni nocive. Era stato avviato un processo per creare a Taranto le stesse condizioni createsi a Kimuzu. Ma con la privatizzazione tutto si è interrotto. E’ indispensabile rialzare la testa ed individuare amministratori validi e che sappiano affrontare la grande industria a testa alta”.
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