Vogliamo ancora diossina sul sorriso dei nostri bimbi?
Se oggi conosciamo gli ultimi sconvolgenti dati sulla siossina prodotta dall'Ilva di Taranto, aggiornati al 2005, gran parte del merito è di Vittorio Ascalone, un chimico che si è occupato anche di farmacologia, nato a Milano e residente a Lecce. Facendosi guidare da una innata curiosità e dal suo spirito ambientalista, il dottor Ascalone è andato a scovare queiu dati in un "cassetto" del ministero dell'Ambiente. Erano lì, ma nessuno li cercava. Neanche il noto giornalista Gigi Riva, che nel suo servizio pubblicato sull'epsresso qualche settimana fa si era fermato ai avolori forniti dell'Eper (European Pollutant Emnission Register) cinque anni fa.
Nel 2002 all'Ilva venivano attribuiti 71 grammi di diossina all'anno. In pratica l'8,8% del totale europeo e d il 30,6% di quello italiano. Intanto qualcosa è cambiato. Dai 71 grammi di allora si è passati ai 93 del 2005. La diossina prodotta nella nostra città equivale al 90,3% del valore nazionale. Un dato che comunque va preso con le pinzie per due ordini di ragioni:
1) in questi ultimi anni le altre regioni italiane hanno imposto delle forti restrizioni agli impianti di agglomerazione ed alcuni di questi (vedi Cornigliano) sono stati chiusi. Cosi all'Ilva di Taranto è rimasta una sorta di monopolio nella produzione di Diossina;
2) C'è un altro aspetto della vicenda che ha dell'incredibile: i numeri finora snocciolati non sono il frutto di un monitoraggio tecnico-scientifico, ma il risultato di una autodichiarazione presentata dalla stessa azienda, come ci ha rivelato il dottor Ascalone e come è ben chiarito nel sito ministeriale www.eper.sinanet.apat.it . "
la prima cosa da fare è avere dei dati sperimentali seri, ossia veri. Vorrei sapere perchè il nuovo governo dell'Arpa non ha effettuato controlli fino ad ora. Forse non ha i mezzi e/o le conoscenze per dosare le diossine? E allora che funzioni ha questa agenzia regioanle per l'ambiente? Se ora ha bisogno di esperti esterni per condurre il monitoraggio significa che non ci sono neanche le competenze. E allora il problema diventa politico"
Il dottor Ascalone tira in ballo anche le responsabilità della Regione Puglia: " perchè i friulani sono tutelati dalla loro regione che impone limiti moltoseveri per la diossina (0,4ng/Nim2) ed i pugliesi no? Il valore della qualità della vita è così opinabile?"
Quali direttive di marcia suggerisce a questo punto il dottor Ascalone?
"in questo ambito, ovvero in ambito ambientale e sanitario le competenze, a mio avviso, dovrebbero essere centralizzate e spettare allo Stato. La frammentazione, la delocalizzazione di competenze e la mancanza di una chiara gerrchia di queste è spesso causa di deresponsabilizzazione e danni conseguenti. E l'Arpa non può limitarsi a raccogliere dati scientifici corretti, ma dovrebbe agire nella prevenzione".
Dott. Vittorio Ascalone
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Caro Direttore,
le scrivo in riferimento a quanto si legge in questi giorni sull’argomento diossina in qualità di semplice cittadina attenta ai problemi che riguardano la vita umana, forse sulla base del fatto che sono una biologa e spero, un domani, una futura mamma. Non nego di essere rimasta molto colpita dalle parole del Dott. Vitacco nella vostra intervista dello scorso 4 maggio, circa il fatto che non si conoscono ancora dati scientifici sugli effetti della diossina sulla labiopalatoschisi.
Potrebbe anche essere così, ma da un medico primario di neonatologia mi aspettavo, forse ingenuamente, un impegno maggiore nell’informare i cittadini sui danni della diossina sullo sviluppo. Di studi scientifici sull’argomento ce ne sono tantissimi, infatti facendo una semplice ricerca su internet su siti di rilevanza scientifica internazionale (National Library of Medicine – National Institutes of Health), è possibile scoprire che la diossina rappresenta il più potente veleno teratogeno conosciuto. In particolare, i primi dati sugli effetti embriotossici della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, nota come TCDD, risalgono al 1970; grazie a tali studi, è stata osservata la capacità del veleno di provocare malformazioni neonatali per lo più al palato (palatoschisi nei ratti), al cervello, al fegato e al rene in diverse altre specie animali.
A queste mie parole qualcuno potrebbe obiettare che tali ricerche sono state effettuate non sull’uomo ma su modelli animali, per cui non è possibile dimostrare la loro validità anche per lo sviluppo umano. Ma fino a che punto dobbiamo e possiamo aspettare un'altra catastrofe ecologico-ambientale come quella di Seveso del 1976 , per avere altre “cavie umane” che dimostrino l’effettivo danno della diossina sull’essere umano?
Per chi non lo sapesse, Seveso fu teatro di uno dei più drammatici disastri ecologici d'Italia. L'area di Seveso e di alcuni comuni vicini fu contaminata da una nube tossica contenente elevate quantità di diossina (più di 30 Kg) sprigionatasi in seguito ad un incidente ai locali impianti chimici della società elvetica ICMESA. Oggi, a circa 30 anni di distanza, le conseguenze di quella contaminazione continuano ad avvertirsi. Nel 2000 uno studio pubblicato su “The Lancet” (la più autorevole rivista medica europea) dal dott. Paolo Mocarelli ed altri ricercatori dell'Università di Milano-Bicocca, ha rilevato un alterazione nel rapporto maschi/femmine nelle nascite nell'area di Seveso. Ma non solo. Dallo studio emerge che la diossina ha conseguenze permanenti sull'apparato riproduttivo degli uomini (l'incremento di nascite femminili si è avuto anche ad anni di distanza, quando i livelli di diossina erano scesi) e in modo più significativo quanto più è precoce la contaminazione. "Tutto questo anche quando la contaminazione era minima, con livelli circa 20 volte superiori a quelli normalmente presenti nelle popolazioni dei paesi industriali", spiega Paolo Mocarelli, "e comunque più bassi di quelli associati con molti degli altri effetti della diossina". Che non sono pochi: il TCDD è marcatamente teratogeno, cioè dà malformazioni nell'embrione, nonché cancerogeno. Ma ha anche numerosi effetti tossici: causa una rara forma di dermatite (cloracne), la porfiria, l'ipercolesterolemia, danni epatici e renali, l'irsutismo e alterazioni della personalità.
Sempre il Dott. Mocarelli, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Helsinki (Finlandia), di Kuopio (Finlandia) e della Georgia (Usa), ha pubblicato un articolo nel 2004, attraverso il quale dimostra che lo sviluppo dei denti dei bambini può essere sensibile alla diossina ambientale, specificando inoltre che lo sviluppo dei denti negli animali è uno dei migliori target di tossicità della TCDD. Studi su ratti e topi hanno provato che un’esposizione a diossina durante lo sviluppo porta palatoschisi, disturbo nello sviluppo della mandibole, malformazioni dei reni, alterazioni nello sviluppo e nella funzione del tratto riproduttivo. Ancora, topi femmine esposte a diossina durante la gestazione e l’allattamento, hanno manifestato alterazioni nello sviluppo e nella differenziazione della ghiandola mammaria; e ancora, in embrioni di uccelli e pesci la diossina ha causato danni cardiovascolari e disturbi nello sviluppo facciale.
Tornando agli effetti sull’uomo, nell'articolo si esaminano i risultati di uno studio condotto 25 anni dopo l'incidente di Seveso su 48 soggetti provenienti da 3 diverse zone ad esposizione crescente. Gli studi puntano ad esaminare le malformazioni orali e dentali di questi soggetti ora adulti, ma al momento dell'incidente ancora bambini. Per non dilungarmi troppo vi riporto solo alcuni numeri:
1) il 93% dei soggetti che hanno mostrato malformazioni sullo smalto dei denti aveva meno di 5 anni al momento dell'incidente
2) l'ipodonzia (assenza di uno o più denti permanenti) era presente nel 12,5% dei soggetti esposti e 4,6 % nei non esposti (soggetti controllo).
In conclusione, l’articolo afferma che malformazioni nello sviluppo dentale sono correlate con l'esposizione alla diossina durante l'infanzia, e quindi i risultati supportano l’ipostesi che la diossina può interferire con l'organogenesi umana. Questo è stato possibile grazie anche al fatto che dopo l’incidente vennero conservati dei campioni di siero dei soggetti esposti, per cui ancora oggi la popolazione di Seveso si sottopone ogni quattro-cinque anni a tutta una serie di test ed esami: questionari con centinaia di domande, prelievi ematici, visite ginecologiche, ecografie.
Perché allora attendere inerti un’altra Seveso, per stabilire gli effetti di un aumento delle emissioni di PCDD (policlorodibenzo-pdiossine) e PCDF (policlorodibenzo-p-furani) a Taranto? Perché non cominciamo a monitorare anche noi quanta diossina accumuliamo nel nostro organismo semplicemente respirando o mangiando carne o pesce che a sua volta accumula il veleno attraverso le catene alimentari?
Dott.ssa Barbara Artioli
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