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Nuovo intervento del Giudice Sebastio sull'Ambiente.

Profitti e danni: " Dov'è l'equilibrio? "

Il Dott. Sebastio riapre la discussione sul Corriere del Giorno.
23 giugno 2007

Caro Direttore,
. Ho constatato, con stupore e gratitudine, il dibattito provocato da quel mio scritto sul problema della ecocompatibilità e dalle Sue considerazioni aggiuntive. Ma allora è vero che in questa nostra città si può parlare di questioni serie in maniera serena e costruttiva e si può provocare un dibattito di opinioni magari contrastanti fra loro, ma esposte civilmente e con passione!

E perciò, caro Direttore, vogliamo prenderci il piacere di aggiungere qualche ulteriore breve considerazione a quanto già osservato, approfondendo, per quanto è possibile, un argomento così serio e di così vitale importanza? Il momento ce lo consente, essendo ormai passata la buriana elettorale ed essendosi rasserenate le tempeste politiche che ci hanno fin qui "deliziato". Nel precedente commento abbiamo parlato di Diritto Costituzionale puntando la nostra attenzione sopratutto sull’incomprimibile diritto alla vita. Oggi, se me lo consente, parliamo un po’ di Economia politica, materia, questa, che può sembrare astrusa e inaccostabile e che, invece, può essere appassionante e chiara. Quando si parla di "ecocompatibilità ambientale" si fa riferimento alla tesi secondo la quale un tasso di inquinamento è accettabile se l’attività che lo determina produce delle ricadute positive in termini economici: si sostiene, quindi, che se un’attività imprenditoriale produce profitto, si possono accettare anche gli eventuali effetti negativi da questa derivanti. Quando si ragiona fra noi di queste cose non ci si rende conto che stiamo enunciando, praticamente, la teoria economica delle "esternalità": basta consultare un qualunque manuale di Economia Politica (cito, a caso, il testo di Giovanni Palmerio sesta edizione, pag. 521) nel quale si fa l’esempio (udite udite) di "una fabbrica di prodotti industriali che con i suoi residui inquina l’aria e le acque...". Orbene, si sostiene dagli economisti che un’attività produce all’esterno degli effetti positivi (esternalità positive) e negativi (esternalità negative): il sistema è disarmonico allorchè queste ultime superano le altre, il che rende necessario un adeguato intervento per riportarlo in equilibrio.

Quali sono le estemalità positive? Indubbiamente la produzione industriale, che favorisce l’economia nazionale e, venendo più al particolare, la distribuzione di ricchezza a livello locale (che è ciò che più interessa) in termini di occupazione, di stipendi ecc. Il discorso, però, non può fermarsi qui ma va portato avanti, poichè occorre valutare anche il complesso delle esternalità negative. Quali sono gli effetti negativi, cioè i danni che un’attività industriale non adeguatamente controllata puo’ arrecare? II Diritto Civile distingue il "danno emergente", determinato dagli effetti negativi di una data attività, dal "danno da lucro cessante", causato dalla necessitata rinuncia a certi tipi di attività altrimenti proficue. Possiamo dire che, nel caso di una ipotetica fabbrica inquinante (quella dell’esempio del Palmerio) il danno emergente si concretizza nei danni alla salute di un numero indeterminato di essere umani: quanto costa alla società la gestione e il carico di malattie invalidanti e addirittura letali? Quanto incide sull’economia familiare dei malcapitati? E il carico di dolore, di sofferenze, di paure ed ansie che tali malattie portano con loro non è pure un danno, probabilmente più grave di quello economico? Ed ancora, quanto costa alla società il danneggiamento di un territorio, di beni pubblici, di impianti, di case, strade, parchi ecc.?

A quali cifre iperboliche può arrivare il "danno emergente" se si pone mente a questi aspetti non secondari della questione? Vi è, poi, il c.d. "danno da lucro cessante": a quanto ammonta il danno determinato dallo stravolgimento di un territorio nel quale potevano esercitarsi attività certo meno produttive, ma comunque tali da consentire pur sempre dei profitti? Campagne distrutte e private di coltivazioni pregiate, fiumi e tratti di mare inquinati e quindi sottratti alla pesca, coste bellissime distrutte e sottratte all’attività turistica esterna, ma anche al godimento di popolazioni locali che ormai vivono nel ricordo struggente di bellezze naturali perdute. Non è tutto questo un evidente "danno da lucro cessante", che va aggiunto al "danno emergente" di
cui si è parlato più sopra?

Vede, caro Direttore, come anche una materia potenzialmente arida quale è l’Economia Politica può diventare materia viva e vitale, comprensibile anche ai non addetti ai lavori? Abbiamo visto come un sistema del genere prevede, quindi, esternalità positive e negative: esso è armonioso allorchè queste sono almeno in equilibrio (meglio sarebbe se le positive fossero in vantaggio): se ciò non è, spetta a chi ne ha il compito fare in modo che si raggiunga un equilibrio accettabile, tenendo però conto (ricorda il precedente scritto?) che vi sono dei diritti costituzionalmente protetti e non comprimibili (diritto alla vita).

Gli economisti non forniscono soluzioni valide per ogni fattispecie, poichè queste vanno trovate caso per caso e figurarsi se queste soluzioni le possiamo indicare noi due, caro Direttore, affannati quotidianamente dalla spinta a cercare di fare decentemente almeno il nostro lavoro: affidiamoci perciò a chi si assume, presumibilmente in maniera consapevole e responsabile, questo compito immane e riteniamoci paghi almeno di avere tentato di fornire un contributo di chiarezza in un settore al quale si nota una tendenza a ragionare spesso su slogan e frasi fatte, che, a volte, possono sembrare sorretti da idee, magari non del tutto obbiettive e disinteressate.

Che dice, caro Direttore, vogliamo provare a stimolare ancora una volta la pubblica opinione? Termino, allora, con lo stesso invito della mia precedente noterella: cosa ne dice, caro Direttore, e cosa ne dicono i Suoi lettori?

Cordialmente

Francesco Sebastio
Magistrato di Taranto

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