Il Grande Salento c'è! Ma chi sono i Salentini?
Da più parti si fa un gran parlare del progetto “Grande Salento” che unisce le Amministrazioni provinciali di Brindisi, Lecce e Taranto con i seguenti obiettivi: l’aeroporto di Brindisi diventerà l’aeroporto del Grande Salento, i due porti di Taranto e Brindisi concorreranno sinergicamente per le attività industriali e commerciali effettuate via mare. Il turismo si snoderà per le vie del Barocco e per l’antica terra dei Messapi. Secondo gli intenti dei promotori, il territorio ricalca sostanzialmente l’antica terra d’Otranto, omogenea per vocazioni e tradizioni e tenta di superare ogni forma di campanilismo. Dal punto di vista geografico territoriale, però, il Salento è situato tra il mar Jonio ed il mare Adriatico e delimitato dalla cosiddetta "soglia messapica", una depressione che corre lungo la linea Taranto-Ostuni e che lo separa dalle Murge.
Questa terra, dai greci anticamente chiamata Messapia, era appunto abitata dai Messapi o Sallentini, che difendevano la propria autonomia dallo strapotere dell’antica città di Taras. Parliamo perciò di una netta contrapposizione tra la Messapia e Taranto. Il Salento, anche dal punto di vista linguistico, non comprende Taranto (dove si parla il dialetto tarantino), né il resto della sua provincia ad ovest del capoluogo (dove si parla generalmente il dialetto pugliese.
Si potrebbe continuare citando le differenze della provincia jonica dal versante occidentale con il Salento dal punto di vista delle risorse agro-alimentari, delle peculiarità urbanistiche e architettoniche etc. Lo stesso territorio della Terra delle gravine ben si distingue dal resto del Salento. Allora, ben a ragione, Pietro Giacovelli, assessore della Provincia di Taranto alle Aree Protette, sostiene che l’idea del Grande Salento sia “un po’ avveniristica e abusata” poiché non devono confondersi le identità culturali di tre distinti popoli: “…quello della Terra delle gravine, dei Messapi e dei salentini”.
Ciò che è da rimarcare, infatti, è che l’operazione "Grande Salento” rischia di snaturare l’idea e l’identità del Salento quando fa coincidere tale area con quella delle intere tre province, incluse, cioè, la città di Taranto ed il territorio al suo nord ovest (Ginosa, Laterza, Castellaneta, etc.) e i comuni del nord brindisino come Fasano e Cisternino, lontani per cultura e lingua, al Salento. Negli intenti dei promotori le idee legate al progetto “Grande Salento” potrebbero essere di grande suggestione in quanto si discute di un progetto inteso come “sistema Salento” che si riconosce parte a sua volta del
“sistema Puglia”.
In realtà, all’immagine patinata e accattivante che il Salento è riuscito a conquistarsi in questi ultimi anni, troppo spesso è corrisposta una realtà con irrimediabili punti deboli, legati essenzialmente alle peculiarità diverse che contraddistinguano appunto il territorio nella sua complessità. Non esiste crescita, individuale e collettiva, se non esiste il riconoscimento della propria individualità. Come può mai svilupparsi un territorio, grande come quello della provincia di Taranto, se - consapevole delle proprie peculiarità dal punto di vista geografico, paesaggistico, linguistico, economico, culturale-, non si fa promotore di se stesso all’interno del contesto locale e nazionale?
Quale cittadino del versante occidentale della provincia di Taranto potrebbe mai affermare di essere salentino? I salentini, in realtà, li riconosciamo come diversi da noi ginosini, laertini etc. Semmai il nostro tipo di vissuto culturale ed economico ci avvicina alle popolazioni limitrofe lucane, al territorio di Metaponto con i suoi scavi archeologici, a quello di Matera con i suoi settori produttivi. Allora un sistema di concertazione con questi territori avrebbe più senso perché ci sarebbero maggiori affinità ed interessi economici e culturali. La stessa città di Taranto, con la sua popolazione di ben 200.000 abitanti, potrebbe fungere da volano di sviluppo per tutta la sua provincia, avviando una politica di riscatto economico e culturale.
Ci si chiede se Taranto potrà farcela per emergere e distinguersi grazie alle sue ricchezze storiche, culturali, paesaggistiche, industriali. L’auspicio è che ciò accada. Nell’interesse dei tarantini, ma anche di tutti i pugliesi. In che modo? Magari creando un nuovo marchio: “Costa Jonica”, che veda coinvolto tutto il territorio della costa jonica, appunto, da Taranto fino alle coste lucane e calabresi. Affinità geografiche, orografiche, storiche, linguistiche ed economiche legano la provincia jonica occidentale ai territori della Basilicata e della Calabria. Parliamo in questo caso di una realtà caratterizzata da grande omogeneità, un sistema già concreto, esistente realmente, cui manca solo un riconoscimento formale. Potremmo creare un sistema tale che ci consenta non di contrapporci semplicemente al “grande Salento” o alle altre realtà pugliesi, ma di competere su larga scala e sviluppare le nostre realtà in modo sinergico.
Taranto può, anzi, deve svolgere il ruolo di centro propulsore di questo sviluppo, poiché ne ha i presupposti storico-culturali e le necessarie infrastrutture: il porto, il vicino aeroporto, i collegamenti stradali e autostradali, la rete ferroviaria. La classe dirigente sarà in grado di raccogliere la sfida per attuare questo ambizioso progetto? Ma, soprattutto, ci sarà la volontà politica per realizzarlo?
Avv. Luigi Montanaro
sindaco di Ginosa
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