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Interventi di Biagio De Marzo, Francesco Ruggieri e Lea Cifarelli

Profitti e Danni: non c'è equilibrio

Primi interventi all’articolo del procuratore Sebastio in ordine al rapporto tra danni ambientali, salute e attività industriali
27 giugno 2007
Fonte: Corriere del Giorno

- Colgo al volo l’invito rivolto dal Magistrato Francesco Sebastio ai lettori del Corriere del Giorno, a conclusione della sua lettera/ editoriale del 23 giugno, dal titolo “Profitti e danni: dov’è l’equilibrio?” Credo anch’io che “in questa nostra città si può parlare di questioni serie in maniera serena e costruttiva”, esponendo civilmente le proprie argomentazioni ed ascoltando quelle altrui. Riprendo quindi gli interrogativi sulla “Diossina nell’impianto di agglomerazione dell’Ilva di Taranto”, formulati qualche giorno addietro in una “Lettera aperta” indirizzata al dr. Sebastio, al prof. Assennato (ARPA Puglia) e, per conoscenza, al Presidente Florido ed al Sindaco Stefàno. L’ecocompatibilità ambientale è legata al punto di equilibrio tra le “esternalità positive” e quelle “negative”. Per l’Ilva di Taranto, l’ultima arrivata tra le “esternalità negative” è la diossina, che si presume che venga cacciata fuori dal camino di AGL/2 (denominazione del reparto di produzione dell’agglomerato in Ilva) e che altrettanto presumibilmente può depositarsi anche sul circostante terreno agricolo ed anche in mare, con il rischio, sempre presunto, che vada a finire in qualche modo nella catena alimentare.

L’ipotesi sulla “diossina nell’agglomerato”, peraltro già presente in letteratura dove viene indicata come possibile “sottoprodotto” infinitesimo nel processo di agglomerazione, ha colto di sorpresa i “vecchi agglomeratori tarantini”, me compreso. Anche solo la parola “diossina” mette paura perciò è nell’interesse generale, e della massima urgenza, accertarne o escluderne la presenza nell’impianto tarantino. In questa direzione, ma con tempi non noti, vanno i recenti prelievi, sulle cui modalità sono emersi numerosi interrogativi. Per avere qualche certezza in più, nella già citata “Lettera aperta” ho esposto alcune considerazioni sugli elettrofiltri. In condizioni normali, i fumi prodotti nel processo di agglomerazione prima di arrivare al camino attraversano gli elettrofiltri. Se nei fumi si suppone che ci sia diossina, è ragionevole pensare che essa si trovi anche nelle polveri captate dagli elettrofiltri. E allora, se finora non ci ha pensato nessuno, perché non iniziare subito a fare prelievi di polvere dagli elettrofiltri, da mandare in laboratorio a caccia di diossina ed altro? Questo mio suggerimento trova riscontro in quanto è accaduto a Trieste nella Ferriera di Servola. Il 14 ottobre 2003 fu sottoscritto il Protocollo di Intesa “Azioni per il miglioramento delle condizioni ambientali dell’area industriale di Servola”. Negli ultimi due paragrafi delle “Conclusioni” del “Rapporto sullo stato dell’ambiente” per il periodo da gennaio 2004 a giugno 2005, si legge: “Gli interventi migliorativi sugli impianti dello stabilimento, pertanto, si sono rivelati inefficaci, non avendo sortita alcuna tangibile azione migliorativa.

Nel corso dell’attività di monitoraggio, inoltre, sono emerse nuove criticità quali la presenza di emissione dallo stabilimento e conseguente immissione nell’attiguo comprensorio abitativo di microinquinanti organici quali PCDD + PCDF ed IPA (benzo(a)pirene), la cui entità e distribuzione spaziale sul territorio di ricaduta deve essere attentamente valutata, in ragione del potenziale rischio sanitario di soggetti esposti, quale la popolazione residente e le maestranze dello stabilimento”. Val la pena segnalare che il PCDD (policlorodibenzodiossine) e il PCDF (policlorodibenzofurani) sono stati trovati nelle emissioni del camino E5 dell’impianto di agglomerazione di Servola e che la Regione Friuli Venezia Giulia, “con proprio provvedimento prescrittivo che recepisce le indicazioni fornite dal Dipartimento provinciale ARPA di Trieste, ha inteso estendere i controlli di PCDD + PCDF anche alle ricadute contenute nelle polveri PTS in 5 postazioni esterne vicinali all’area dello stabilimento, cui la ditta deve ancora ottemperare”. Il mio suggerimento di far analizzare subito le polveri negli elettrofiltri e di fare prelievi sul
terreno contiguo è proprio peregrino?

Ing. Biagio De Marzo
Consigliere Ordine Ingegneri di Taranto e di Federmanager AJDAI

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- L’economia politica, come molte altre scienze e attività umane è frutto del libero arbitrio dell’uomo; è condivisibile discutere sull’equilibrio tra profitti e danni ma occorre prima porre dei paletti ben precisi: la vita umana in che modo può entrare in discussione nella definizione del punto di equilibrio? Quando le “esternalità positive” pareggiano quelle negative? Quanti morti insomma dobbiamo contare per pareggiare il conto? Fortunatamente oltre alla economia politica abbiamo altri importanti riferimenti; per un cattolico esiste una norma fondamentale, la prima e unica costituzione universale, che prende il nome di Bibbia; ma anche per i non cattolici esistono valori che non consentono di barattare la vita umana con il profitto. Il primo punto da chiarire dunque è che non possiamo porre sulla bilancia dell’equilibrio profitti/danni la vita umana; noi, perlomeno, la pensiamo così; e da qui ovviamente ne deriva il resto. Ma vogliamo, solo per meglio esplicitare il nostro pensiero, assumere per buona la visione politico- economica del rapporto profitto/danni. I danni che la grande industria per intero ha creato e continua a creare al territorio sono purtroppo estremamente chiari e quantificabili; al di là delle percentuali di diossina o di PM10 che possono essere rilevate, per noi l’indicatore numero 1 è l’incidenza delle malattie tumorali che continua a crescere in modo esponenziale.

Quali sono i benefici per la Comunità? È qui che occorre capirsi bene; si parla troppo spesso di “ricatto occupazionale” e dunque di “strategicità della grande industria” che sta a dire tenetevi inquinamento e morti se volete continuare a lavorare; di per sé tutto ciò è assurdo e inaccettabile ma, inutile nascondersi dietro un dito, la realtà dice che così stanno le cose. Ma in che misura l’industria ”pareggia” il conto offrendo occupazione? Parlando dell’Ilva (che è indubbiamente la più grande realtà industriale) rileviamo che in una decina di anni ha ridotto di oltre 30.000 unità gli occupati effettuando peraltro un totale turn-over generazionale e portando al massimo delle potenzialità la produzione; un operazione imprenditoriale ineccepibile; il turn over completo, alla luce dei 40 anni necessari ormai per giungere alla pensione, significa che i 13.000 occupati attuali non aumenteranno di una sola unità nel corso dei prossimi decenni; il “ricatto occupazionale” dunque si riduce a significare: gli 80.000 disoccupati potrebbero diventare 93.000. Del resto Riva nel 2005 ebbe a chiedersi pubblicamente se chiudendo l’Ilva i 13.000 metalmeccanici sarebbero dovuti diventati tutti bagnini!

E dunque, per sintetizzare, se pure accettassimo l’idea del bilancio profitti/danni, qualcuno ci spieghi dov’è, per la Comunità tarantina il profitto! Il problema del bilancio “esternalità positive”/”esternalità negative” dunque non si pone; ciò che dobbiamo una volta per tutte capire è quando si cominceranno a porre rimedi seri; i profitti oggi sono incamerati da Riva che ha il dovere di rispettare puntualmente le leggi e, soprattutto, dallo Stato che da sempre ha utilizzato e sfruttato il territorio per ricavarne fonte di sviluppo. L’Italia del boom economico, delle lavatrici, dei frigoriferi, delle Fiat, si è fatta laminando (lavoro pulito) nel Nord Italia le lamiere prodotte (lavoro sporco) a Taranto. Dunque è ora che la politica locale si decida a fare le cose sul serio; l’era delle intese, nei fatti improduttive, è finita; L’ecocompatibilità è possibile ma prevede costi elevati; oggi siamo in presenza di un enorme disequilibrio se ci riferiamo al rapporto tra i danni (nemmeno quantificabili) subiti dalla Comunità e i profitti che in termini di occupazione e in genere di reddito sono vicino allo zero. Come a Bagnoli, come a Genova, come ormai in tutt’Italia dove l’area a caldo è di fatto sparita, lo Stato destini a Taranto tutte le risorse necessarie per rendere il più compatibile possibile la presenza della grande industria con la dignità e la qualità della vita. Anziché chiedere sconti sul rispetto di Kyoto si richiedano interventi straordinari e mirati per la Città.

Noi continueremo, come da oltre dieci anni a questa parte, a fare il nostro, speriamo che le premesse e le promesse elettorali si concretizzino con fatti concludenti in termini di radicale cambio di strategia. Per intanto ringraziamo il Giudice Sebastio e il Corriere per la tenacia con cui mantengono vivo il dibattito.

Francesco Ruggieri

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- Caro Direttore,
colgo con piacere l´invito del Procuratore Sebastio pubblicato di recente sulle colonne del nostro Corriere. Con il dichiarato intento di animare un nuovo e importante dibattito in Città, il Procuratore interroga noi tutti sul tema delicato dell´ecocompatibilità ponendo l´accento sull´equilibrio tra profitti e danni. L´esempio di Taranto e della sua storia, in particolare da 30 anni a questa parte, è di imbarazzante pertinenza. Una realtà, quella ionica, che attorno alla grande industria ha costruito o distrutto, a seconda del punto di vista di chi osserva, la propria identità. Una città nata dal mare e che di questo avrebbe dovuto campare, diviene una realtà prevalentemente, quando non esclusivamente, industriale. Le gloriose origini della magna grecia del tutto seppellite dalle polveri della produzione e del cosiddetto progresso. Le menti e le coscienze di cittadini potenzialmente operosi e che avrebbero potuto e dovuto diversificare il tessuto produttivo della nostra città, annullate dal miraggio del posto fisso e della omologazione, tanto da poterlo considerare un esempio di "danno da lucro cessante" riprendendo un’espressione usata dal Procuratore.

Egli, inoltre, ci ricorda che "quando si parla di ecocompatibilità si fa riferimento alla tesi secondo la quale un tasso di inquinamento è accettabile se l´attività che lo determina produce ricadute positive in termini economici". Già, ma nella nostra Città l´attività della grande industria può definirsi ecocompatibile? Possiamo, in tutta onestà, affermare che il rapporto tra profitti e danni è in equilibrio? Personalmente ritengo di no. Se osservo lo stato in cui è ridotta la mia amata Taranto, non provo che rabbia e incredulità. Questa città ha sacrificato tutto alla grande industria, ricevendo in cambio, eccezion fatta per i primi anni 80, un innegabile impoverimento.

Il Procuratore, richiamandosi alle tesi di Politica Economica, ricorda a noi lettori che il sistema è disarmonico quando "effetti negativi superano quelli positivi", e allora si rende necessario un doveroso adeguamento. Certamente la produzione ha contribuito alla crescita di una realtà come la nostra in termini occupazionali, e di "indotto" (comunque molto meno di quanto ci si attendesse in origine), ma quale è stato il prezzo da pagare? Un costo altissimo, troppo perfino per la nota pazienza di cui gode la popolazione tarantina. Lei, procuratore, cita gli esempi concreti che rientrano nel cosiddetto "danno emergente", come ad esempio i danni alla salute che a noi tarantini suonano tristemente familiari. Il carico di dolore, ansia e sofferenza è indescrivibile come lo è il senso di impotenza dinanzi all´impunità di una condotta che solo oggi iniziamo a perseguire e che rischia
di offendere doppiamente il ricordo dei nostri cari.

"Spetta a chi ne ha il compito di fare in modo che si raggiunga un equilibrio accettabile, tenendo conto però che ci sono diritti costituzionalmente protetti e non comprimibili", afferma il Procuratore, chiedendosi quali soluzioni possono essere pensate per la nostra fattispecie. Ebbene, i nostri rappresentanti politici possono fare molto. Sfortunatamente,troppo spesso sembrano dimenticare le ragioni del loro mandato, che è bene ricordarlo, riguardano la difesa e la salvaguardia degli interessi delle popolazioni chiamati a rappresentare. Se la popolazione è povera e affamata di lavoro, la responsabilità è ancora più grande. La magistratura deve operare libera di punire comportamenti irresponsabili senza timore di doversi occupare di ritorsioni occupazionali. Gli amministratori, a loro volta, dovranno, una volta per tutte, mettere in atto un meccanismo virtuoso che porti la nostra economia ad emanciparsi dalla grande industria. Non ultimi noi cittadini, possiamo e dobbiamo fare moltissimo, pensando a noi stessi come a soggetti attivi, protagonisti. Il concetto di cittadinanza attiva riassume l´idea di un cittadino stanco di subire decisioni prese dall´alto sulla propria testa. Un attore consapevole dei propri diritti, dei propri doveri, che sceglie scientemente di dialogare con il mondo politico e non solo, riappropriandosi della propria socialità.

Questo, a Taranto, è quanto mai vitale, se è vero come è vero che le decisioni più "impopolari" vengono prese sulla pelle delle comunità meno capaci di ribellarsi ai soprusi.

Cordialmente
Lea Cifarelli

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