Gas serra, come ridurli all'Ilva
Ci auguriamo che Taranto non sia vista come una malata cronica o inguaribile da cui tenersi lontani. Auspichiamo che le buone notizie e i convegni della speranza non siano negate alla città più inquinata d'Italia.
Tuttavia è interesse di tutti che a Brindisi possa farsi strada la scelta del cambiamento e della sua necessità per entrambe le città: Taranto e Brindisi.
Taranto e Brindisi sono città simbolo per come l'ambiente è minacciato. Taranto e Brindisi insieme debbono lottare perché le lega un "asse del male" che produce effetto serra ed emissioni cancerogene.
Taranto e Brindisi sono le due città che maggiormente contribuiscono alle emissioni di gas serra in Italia.
Occorrono scelte di prospettiva che puntino ad un nuovo sviluppo e non al semplice incremento e aggravamento degli attuali pesi industriali.
Abbiamo perciò apprezzato il fatto che l'Arpa Puglia abbia espresso un giudizio critico sul raddoppio dell'Eni a Taranto che comporterebbe un incremento delle emissioni di Co2 (anidride carbonica).
Dallo studio dell'Arpa emerge una stima di 547 mila tonnellate annue di Co2 per la produzione di energia e altre 157 mila tonnellate annue per gli altri nuovi impianti. Si tratterebbe quindi di ben 704 mila tonnellate annue di Co2 supplementari per Taranto. Praticamente ogni tarantino avrebbe tre tonnellate e mezzo di anidride carbonica in più all'anno. Tali emissioni si sommerebbero ad un altro incremento di emissioni di Co2: quelle dell'Ilva. Da alcuni anni a Taranto è stata infatti trasferita la produzione a caldo di cui Genova si è voluta sbarazzare per ragioni di inquinamento.
Ciò nonostante a Taranto vi sono stati parlamentari che - anziché chiedere la limitazione delle emissioni - hanno chiesto al governo una deroga rispetto al protocollo di Kyoto al fine di tollerare l'incremento delle emissioni dell'Ilva.
Questa azione di indebolimento del protocollo di Kyoto è una cosa che nuoce al futuro del Pianeta.
Ci rivolgiamo all'Arpa affinché - di fronte a tutto ciò - svolga un'azione di seria informazione scientifica. E' venuto il momento di sostenere le strategie di innovazione tecnologica per una reale prevenzione e protezione ambientale rispetto alle emissioni di gas serra. Oggi è possibile ridurle nel settore siderurgico senza mettere a rischio un solo posto di lavoro. Questo l'Arpa lo può dire grazie alla propria autorevolezza e grazie all'autorevolezza di numerosi studi scientifici. L'autorizzazione integrata ambientale in corso dovrebbe prescrivere per l'Ilva le migliori tecnologie per abbattere le emissioni di Co2, alle quali - è importante annotarlo - si accompagnano le altre emissioni di IPA, benzene, diossina, mercurio, ecc.
Noi di PeaceLink abbiamo trovato su Internet una ricerca scientifica di altissimo livello che spiega come ridurre le emissioni di Co2 in ambito siderurgico. Ci permettiamo di suggerirla all'attenzione di questo Convegno. Tale ricerca è intitolata "Percorsi di transizione verso la riduzione delle emissioni di Co2 nell'industria dell'acciaio" (Transition paths towards CO2 emission reduction in the steel industry) ed è stata scritta da Berend Wilhelm Daniëls. E' uno studio completo e pregevole che costituisce lo "stato dell'arte" in materia. Esso è disponibile sul sito
http://dissertations.ub.rug.nl/faculties/science/2002/b.w.daniels/
Non sembri presunzione questa affermazione, ma ci sentiamo di aggiungere che alcuni parlamentari, prima di presentare interrogazioni per chiedere la non applicazione a Taranto del Protocollo di Kyoto, farebbero bene a documentarsi su studi del genere. Li dovrebbero far tradurre (magari dai servizi tecnici della Camera e del Senato) e divulgare perché attestano come sia possibile ridurre dal 30 al 60% le emissioni di Co2. La ricerca che segnaliamo giunge a valutare tagli possibili dell'85-90% di Co2 in alcuni processi: si veda in particolare il capitolo 4.
Ci rivolgiamo all'Arpa perché queste conoscenze vengano messe in circolo in una Regione che necessita di scienza e di coraggio scientifico. Dovrebbero, in particolare, essere messe a disposizione proprio di chi - pur avendo cariche di responsabilità politica e istituzionale - non è molto documentato ma è tuttavia molto dipendente dagli stereotipi secondo cui un taglio delle emissioni di Co2 significherebbe un taglio dei posti di lavoro.
Infine un rilievo al Convegno: perché dovremmo "adattarci" ai cambiamenti climatici? Il titolo del convegno è davvero poco chiaro: ad "adattarsi" dovrebbe essere il modello produttivo, non noi.
Per PeaceLink
Biagio De Marzo
Carlo Gubitosa
Alessandro Marescotti
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