"Un Tavolo di consultazione permanente sull'Ambiente"
Bruno Pastore, un mese da assessore comunale all’Ambiente. Come sono trascorsi questi primi trenta giorni?
“Con la consapevolezza delle difficoltà che siamo stati chiamati ad affrontare. Abbiamo lavorato in solitudine perchè ci manca l’apporto del Consiglio comunale, non ancora insediatosi. Sostanzialmente ci siamo confrontati con due tipi di problemi: il primo di carattere amministrativo, l’altro economico. Amministrativo perchè la macchina comunale è rallentata nelle sue funzioni a causa del dissesto, del commissariamento e probabilmente anche della dis-amministrazione degli anni precedenti. Le figure sane dell’Amministrazione, quelle per intenderci che non sono percepivano buste paga d’oro, hanno vissuto in isolamento e quindi ora occorre recuperare l’entusiasmo e la partecipazione dei dirigenti. E devo dire in tutta franchezza che la risposta è stata buona, il sistema sta lentamente ripartendo...”
E le difficoltà economiche?
“Novecento milioni di euro sono una spada di Damocle su qualsiasi tipo di iniziativa. E’ fin troppo chiaro che senza misure economiche straordinarie, il rilancio del Comune di Taranto sarà difficile. Già la prossima finanziaria dovrà contemplare interventi adeguati, altrimenti il risanamento sarà impresa ardua”.
Assessore, sta forse cercando di dirci che ha le mani legate dal dissesto?
Siamo in un’area dichiarata area ad elevato rischio ambientale e da mesi questa città non ha nemmeno la rete di monitoraggio della qualità dell’aria. “Ho verificato personalmente, tra le pieghe del bilancio del mio assessorato, che non sono disponibili i 200mila euro per pagare questo servizio. Si tratta di un grave handicap al quale stiamo cercando di porre rimedio. Nei prossimi giorni mi recherò all’assessorato regionale all’Ambiente per valutare la possibilità di reperire fondi. Taranto resta una città industriale con insediamenti a fortissimo impatto ambientale e per questo è fondamentale monitorare gli agenti inquinanti. Non vogliamo criminalizzare nessuno, ma occorre trovare adeguati meccanismi di coesistenza”. Possibilmente senza ricatti e forzature. “Capisco la preoccupazione che misure più drastiche in campo ambientale possano determinare levate di scudi delle grandi industrie, così come capisco le preoccupazioni delle migliaia di famiglie che traggono sostentamento dall’industria, però come assessore all’Ambiente ho un compito ben preciso: salvaguardare il territorio su cui vivono 200mila persone evitando che ci siano situazioni di rischio per la salute. Per esempio non vedo perchè Comune, Provincia e Regione non debbano fare fronte unico e chiedere che i valori di riferimento della diossina siano adeguati alle normative europee, fatte proprie anche da regioni italiane come è avvenuto nel Friuli Venezia Giulia”.
Avete avuto contatti con i rappresentanti delle grandi industrie?
“Solo informali. Ho chiesto in varie occasioni che le grandi industrie manifestino nei confronti del territorio un’attenzione particolare che ho identificato col nome di capitalismo solidale. Se una realtà industriale macina utili per milioni di euro, una parte di questi soldi deve essere reinvestita sul territorio non solo in termini di riduzione dell’impatto ambientale, ma anche come fornitura di strumenti, di servizi, di attività, in modo da stabilire una corretta sinergia”.
E come dovrebbero essere utilizzate queste risorse?
“Sicuramente non per l’ordinaria amministrazione. Piuttosto per finanziare progetti per l’Università affinchè diventi un polo di attrazione nel campo della ricerca e della specializzazione con il contributo delle grandi imprese. Questo potrebbe servire anche per diversificare le attività produttive. A Taranto serve un cambio di mentalità cioè occorre non soffermarsi solo su quello che si vede, per esempio l’immondizia per strada, ma impegnarsi per un miglioramento reale della qualità della vita. Il dissesto tra le altre cose negative ha contribuito a cancellare il senso civico comune, ognuno va per i fatti suoi, è venuto meno il vincolo dell’appartenenza perchè non c’è più controllo, nè partecipazione. Il dissesto economico ha portato come conseguenza il dissesto morale”.
La partita dell’atto d’intesa con l’Ilva a che punto è?
“Ci rendiamo conto che c’è una ragione di stato a cui, però, in alcuni momenti può essere opposto il principio dell’autodeterminazione nel senso che non tutto quello che ti viene proposto va bene. L’atto d’intesa con un po’ di volontà può essere rivisto per dare risultati migliori. Bisognerà spingere in questo senso facendo gioco di squadra con la Regione, ma anche con la Provincia”.
La Provincia dice... e la verifica politica, già archiviata o rischia di allargarsi anche al di la del Canale navigabile?
“Le folgorazioni sul Ponte Girevole sono possibili, per carità, però resta da vedere come si concluderà questa fase. L’Udeur che viene indicato come l’elemento destabilizzante della Provincia, ha posto solo un metodo: se c’è stato un rallentamento dell’attività per le elezioni, allora è necessario fare un patto che ci porti a fine legislatura. Un patto che deve essere prima programmatico e poi politico. Se non siamo d’accordo sulle cose da fare, inutile dire che la coalizione è coesa. Sono convinto, però, che anche sulle differenze che non solo l’Udeur, ma che anche altri partiti hanno manifestato, si può trovare un momento di sintesi”.
Tre impegni programmatici per i prossimi mesi.
“Più che fare promesse sono interessato al percorso. Uno dei nostri compiti è quello di far rispettare le regole e allora quello che mi interessa e che subito dopo l’estate si riesca a costruire un tavolo permanente di consultazione tra imprese, Comune, Provincia, Arpa, Regione, associazioni che abbia come obiettivo non la contrapposizione, ma la consapevolezza che l’ambiente è un bene di tutti e come tale va difeso e salvaguardato”.
Rigassificatore e raddoppio raffineria Eni?
“Avevo espresso le mie perplessità a titolo personale sul rigassificatore, ora le confermo come rappresentate delle istituzioni. Tra l’altro in sede di Via, il progetto ha subito ben due stop, per cui forse si era stati troppo frettolosi e superficiali nel giudicarlo un’opportunità. A mio avviso si tratta di un impianto che preclude altre possibilità di sviluppo alternative all’industria. Anche per l’Eni penso che Taranto abbia già dato”.
Michele Tursi
michele.tursi@corgiorno.
Sociale.network