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Interessante intervento di Giancarlo Girardi sulle morti bianche all'ILVA

«La classe operaia deve svegliarsi»

Il cuore del problema resta sempre l’organizzazione del lavoro, l’articolazione del potere nella fabbrica, i “rapporti di forza” e che oggi con la privatizzazione si è molto squilibrata a vantaggio della proprietà.
7 agosto 2007
Giancarlo Girardi
Fonte: TarantoSera

ILVA di Taranto “Io so perché è avvenuto...lo so perché ci sono stato!” Quanti di noi potrebbero e dovrebbero dire ciò che lì accade e il perché della spaventosa sequenza di questi eventi tragici. Oggi Mimmo, prima di lui altri giovani... Luigi, Paolo, Pasquale, tanti ancora purtroppo ce ne potrebbero essere. Dopo venti, trenta e più anni trascorsi in quella fabbrica, all’ombra degli altoforni e delle acciaierie, a contatto con quei problemi e quei rischi, molti di noi sanno. Lo hanno capito anche chi non vive quella realtà direttamente e che per loro scelta hanno fatto carriere sindacali o politiche, che oggi occupano postazioni istituzionali rilevanti a livello locale o nazionale. Loro prima di altri hanno il dovere di intervenire perché sanno.

Il cuore del problema resta sempre l’organizzazione del lavoro, l’articolazione del potere nella fabbrica, i “rapporti di forza” come si diceva un tempo e che oggi con la privatizzazione si è molto squilibrata a vantaggio della proprietà. E’ la regola con cui si realizza il modo di lavorare, i tempi,la qualità e le quantità delle produzioni. Sono queste le questioni che per Ilva non si trattano, sono prerogative della proprietà.

Oggi essa è imposta unilateralmente e per questo si muore allo stesso modo in Cina, India e nella civile Italia perché mercato globale e concorrenza regolano tutto al livello più basso nel modo di lavorare e nel costo del prodotto. Oggi la classe operaia, vecchia e sempre attuale definizione del mondo del lavoro, è anch’essa sola, non ha una sua vera rappresentanza politica, i suoi problemi non sono ancora ritornati ai primi posti nei programmi dei partiti della sinistra, manca quel rapporto tra fabbrica e territorio sempre presente negli anni 70 e che legava i grandi problemi, gli stessi ieri come oggi, dell’ambiente e della sicurezza e ne intravedeva le soluzioni in un rapporto continuo con le Istituzioni.

Ci manca, diciamocelo, un grande ed unitario sindacato, un grande partito dei lavoratori organizzato nel mondo delle produzioni e acuto conoscitore delle realtà lavorative, il tramite necessario con la società civile. Oggi finalmente una legge c’è, ma non basta, perchè si continuerà ad operare in solitudine, perchè non si è adeguatamente rappresentati ed organizzati. Sino a quando i partiti e le istituzioni resteranno fuori delle fabbriche e dai loro problemi, saranno incapaci di capire, di sentirli e quindi di intervenire, la politica resterà subalterna ai grandi interessi economici.

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